Cass. civ. Sez. V, Sent., 01-06-2012, n. 8823 Redditi d’impresa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 566/40/09 depositata il 5.11.2009 la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva ritenuto legittimo il frazionamento da parte della società M.E.F.I. (Materiali Edili Forniture Industriali) s.r.l. di una perdita su crediti, derivanti da un credito verso una ditta in concordato preventivo, che avrebbero dovuti essere dedotte interamente nell’anno d’imposta 2002 e non negli anni successivi (nella specie 2005).

L’Agenzia delle Entrate impugna la sentenza della Commissione Tributaria Regionale deducendo i seguenti motivi:

a) violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 101, comma 3 e art. 109, D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ritenendo illegittima la deduzione "pro quota" della perdita di crediti nell’esercizio in cui il Tribunale ha omologato, ai sensi dell’art. 180 c.p.c., il concordato preventivo;

b) violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, avendo la CTR respinto l’appello dell’Ufficio rilevando la natura strumentale degli immobili, questione non dedotta dal contribuente, quindi "ultra petita" c) omessa motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, avendo omesso la CTR di indicare gli elementi sulla base dei quali affermare che gli immobili in questione fossero per le loro caratteristiche insuscettibili di utilizzazione diversa senza radicali trasformazioni.

La società intimata si è costituita con controricorso chiedendo, in subordine la disapplicazione delle sanzioni.

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 12.4.2012, in cui il PG ha concluso come in epigrafe.

Motivi della decisione

1) Il primo motivo del ricorso principale è fondato.

Qualora il debitore sia sottoposto alla procedura di concordato preventivo, la perdita deve essere dedotta per intero nell’esercizio in cui è stata emesso il decreto di ammissione alla procedura, R.D. n. 267 del 1942, ex art. 163, non essendo possibile frazionarlo prò quota negli esercizi successivi.

L’art. 66, comma 3 del T.U.I.R., applicabile ratione temporis, prevede che "le perdite su crediti sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi, e in ogni caso, per le perdite su crediti, se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali". Il tenore letterale di questa disposizione consente d’interpretarla nel senso che l’anno di competenza per operare la deduzione deve coincidere con quello in cui si acquista certezza che il credito non può più essere soddisfatto, perchè in quel momento stesso si materializzano gli elementi "certi e precisi" della sua irrecuperabilità.

Diversamente opinando si rimetterebbe all’arbitrio del contribuente la scelta del periodo d’imposta in cui gli sarebbe più vantaggioso operare la deduzione, snaturando la regola espressa dal principio di competenza, che rappresenta invece criterio inderogabile ed oggettivo per determinare il reddito d’impresa. (Sez. 5, Sentenza n. 16330 del 03/08/2005, cfr anche Sez. 5, n. 9218 del 21/04/2011; Sez. 5, n. 22135 del 29/10/2010).

Le regole sull’imputazione temporale dei componenti del reddito, dettate in via generale dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 817, art. 75, sono tassative ed inderogabili, non essendo consentito al contribuente di ascrivere a proprio piacimento un componente positivo o negativo del reddito ad un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come "esercizio di competenza" (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 26665 del 18/12/2009, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 4297 del 23/02/2010). Il recupero a tassazione dei ricavi nell’esercizio di competenza non può, quindi, trovare ostacolo nella circostanza che essi siano stati dichiarati in un diverso esercizio non potendosi lasciare il contribuente arbitro della scelta del periodo più conveniente in cui dichiarare i propri componenti di reddito, con innegabili riflessi sulla determinazione del proprio reddito imponibile (cfr. Cass. Sez. 5, n. 3418 del 12/02/2010).

2) Anche gli ulteriori motivi sono fondati. La ricorrente non ha dedotto nè allegato nell’originario ricorso che i beni in questione fossero strumentali per natura, e la CTR ha rigettato l’appello dell’Ufficio sulla base di una deduzione mai svolta, incorrendo nella violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo del tutto omesso i giudici di motivare la ragione per la quale gli immobili fossero per le loro caratteristiche insuscettibili di utilizzazione diversa senza radicali trasformazioni e risulta de tutto assente la motivazione relativamente al pronunciato accoglimento dell’appello incidentale.

4) La richiesta di disapplicazione delle sanzioni, formulata nel controricorso è inammissibile trattandosi di domanda nuova non proposta nei gradi di giudizio di merito. Il potere delle commissioni tributarie di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni in caso di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle norme alle quali la violazione si riferisce, potere conferito dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8 e ribadito, con più generale portata, dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 2, e quindi dal D.Lgs. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3, deve ritenersi sussistente quando la disciplina normativa, della cui applicazione si tratti, si articoli in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione; l’onere di allegare la ricorrenza di siffatti elementi di confusione, se esistenti, grava sul contribuente, sicchè va escluso che la Corte di cassazione possa pronunciarsi al riguardo, in mancanza di domanda ritualmente formulata nei gradi di merito, dovendosi anche escludere che il giudice tributario di merito debba decidere d’ufficio l’applicabilità dell’esimente, nè, per conseguenza, che sia ammissibile una censura avente ad oggetto la mancata pronuncia d’ufficio sul punto, questione peraltro, non formulata sotto tale profilo (cfr. Cass. Sez. 5, n. 7502 del 27/03/2009; Cass. Sez. 5, 25/10/2006, n. 22890) Va, quindi, cassata senza rinvio la sentenza impugnata, e non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., va respinto l’originario ricorso della società e dichiarata la legittimità dell’avviso di accertamento.

Poichè la giurisprudenza favorevole all’Ufficio si è formata in epoca successiva alla proposizione del ricorso sussistono giusti motivi per dichiarare compensate tra le parti le spese di tutti i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Cassa senza rinvio la sentenza impugnata e, decidendo ex art. 384 c.p.c., dichiara la legittimità dell’avviso di accertamento.

Dichiara compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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