Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 12-10-2011) 22-11-2011, n. 43066

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 18 gennaio 2011 il Tribunale di Catanzaro, costituito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., in accoglimento del ricorso proposto da M.G., annullava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 30 dicembre 2010 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vibo Valentia in relazione ai delitti di omicidio volontario e porto in luogo pubblico di un’arma comune da sparo e, per l’effetto, revocava la misura cautelare personale in precedenza disposta.

2. Il provvedimento impugnato così ricostruiva la vicenda.

Nel tardo pomeriggio del 27 dicembre 2010, nella frazione Scaliti di Filandri, venivano rinvenuti i cadaveri di cinque persone, tutte appartenenti alla famiglia F.. Tre delle vittime erano state raggiunte da numerosi colpi di pistola all’esterno della stalla di loro proprietà, mentre i corpi delle altre due venivano rinvenuti all’interno della stessa. Sul luogo del delitto venivano sequestrati trentasei bossoli: trenta risultavano esplosi da un’arma cal. 9×21 ed erano presenti sia all’esterno che all’interno del capannone adibito a ricovero degli animali; altre sei bossoli erano stati esplosi da una pistola cal. 7,65 e venivano trovati solo all’esterno del capannone in prossimità dei cadaveri.

Il pomeriggio di quello stesso giorno V.E. si presentava spontaneamente agli inquirenti, confessava di essere l’autore del fatto e consegnava una pistola "Yavuz 16, regard mc" cal. 9×21, priva di caricatore. La perquisizione effettuata presso l’abitazione di Francesco V.S. consentiva di sequestrare una pistola Beretta, semiautomatica, cal. 7,65, con serbatoio inserito completo di sette cartucce e di un colpo in canna.

Il testimone oculare del fatto, G.I.S., riferiva la dinamica dell’accaduto, chiarendo che, verso le ore 16,30 del 27 dicembre, si trovava in compagnia di Pa. e F.P. a bordo di un mezzo, che veniva bloccato da due furgoni e un "Fiorino" incolonnati su cui viaggiavano complessivamente quattro persone, riconosciute in E., S.F., P. V. e M.G.. V.E. chiedeva spiegazioni sul luogo in cui i F. facevano pascolare le loro pecore e richiamava un episodio verificatosi alcuni giorni prima: in quell’occasione uno dei suoi figli aveva minacciato G.I. S. con un pezzo di legno, per costringerlo ad allontanare le pecore dal suo terreno. Il diverbio verbale sfociava presta in una violenta lite tra i F. e gli E.; nel corso della stessa V.E. esplodeva da distanza ravvicinata quattro-cinque colpi di pistola contro i F. (il padre D. e i figli P. e G.), quindi rincorreva armato Pa. ed F.E. e G.. Quest’ultimo riusciva a rifugiarsi all’interno di una casetta da cui aveva modo di sentire esplodere altri colpi d’arma da fuoco e di vedere V.E. sparare all’indirizzo di F.E.. Alle dichiarazioni del teste oculare facevano seguito le attività di individuazione fotografica.

3. Ad avviso del Tribunale gli elementi raccolti nei confronti di M.G. non integravano un quadro di gravità indiziaria.

Il teste G., infatti, non aveva attribuito alcuna condotta specifica all’indagato che non era stato oggetto dell’individuazione fotografica. Non erano, inoltre, chiari i tempi e le modalità con cui M. aveva raggiunto il luogo del delitto. A tale proposito, il Tribunale osservava che, mentre G. riferiva che il quarto uomo (identificato dagli inquirenti in M.) aveva raggiunto il luogo del fatto contemporaneamente agli altri tre indagati, con il furgone a bordo del quale si trovava P. V. (ossia uno dei due esecutori materiali), M., invece, affermava di avere raggiunto il luogo del delitto da solo a bordo del suo furgone, secondo quanto riferito anche da sua moglie, M.V.M..

Non era stato, inoltre, possibile accertare se fosse stato proprio M. a minacciare, qualche giorno prima del delitto, G..

Infine il tipo di auto (una "Jeep" di colore bianco) che G. aveva attribuito alla persona che lo aveva minacciato non coincideva con il tipo di macchina (una "Suv Kia Sorrento" di colore grigio) effettivamente posseduta dall’indagato.

Era rimasto, infine, indimostrato che M. fosse consapevole che gli altri indagati si erano recati armati sul posto, considerato anche che egli viveva in un’abitazione distinta e autonoma rispetto ai F..

4. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica di Vibo Valentia, il quale lamenta erronea applicazione della legge penale, carenza e contraddittorietà della motivazione con riferimento alla valutazione delle dichiarazioni rese da G.I.S..

Il Tribunale, infatti, dopo avere testualmente affermato che il teste aveva ricostruito "minuziosamente la dinamica del fatto, individuandone gli autori e descrivendo le condotte di ciascuno di essi", ritiene non adeguatamente dimostrato il contributo fornito alla commissione del delitto da parte di M., nonostante che dalle dichiarazioni – ritenute pienamente attendibili – di G. risultassero le seguenti circostanze gravemente indizianti.

L’indagato era alla guida del furgone sul quale era trasportato, verosimilmente, uno degli autori dell’omicidio armato di pistola. Era il proprietario del furgone che, insieme con gli altri mezzi (un altro furgone e il "Fiorino") su cui viaggiavano gli altri concorrenti nel reato, ebbe ad impedire materialmente il passaggio del mezzo su cui si trovavano Pa. e F.P., oltre allo stesso G.. Si poneva, insieme con V.P. (è irrilevante in tale ottica la circostanza che il teste lo indichi erroneamente come "uno dei figli di E."), al centro della strada nella proprietà dei F. ad attendere il sopraggiungere degli altri componenti della famiglia e, quindi, insieme con P. V., si avvicinava a E., G. e F.D. (i primi ad essere uccisi) e partecipava attivamente alla lite da cui scaturì il delitto. Risaliva, quindi, sul proprio mezzo, insieme con V.E., dopo che questi era giunto sul posto armato di una pistola cal. 9×21 e due caricatori, allontanandosi insieme con gli autori del grave fatto di sangue. Era tra i soggetti che fecero alle vittime segno di andare verso il capannone (luogo di consumazione degli omicidi), perchè vi era una questione da chiarire.

Ad avviso del ricorrente il complesso di questi elementi era univocamente indicativo di un concorso materiale nella consumazione dell’omicidio e, in ogni caso, era, quanto meno, riconducibile all’ipotesi del concorso morale, poichè la presenza, certamente non occasionale, dell’indagato sul luogo del delitto rafforzò sicuramente il proposito criminoso degli autori del grave fatto di sangue.

Infine, il racconto di G. non era smentito dalle dichiarazioni rese da V.M.A., il cui racconto si arrestava ad un momento precedente il racconto del teste oculare e non ne inficiava in alcun modo la piena attendibilità.

Irrilevanti, infine, apparivano le valutazioni relative all’episodio verificatosi nei giorni precedenti il delitto e alla corrispondenza alle sembianze di M. dell’uomo che aveva minacciato G., posto che lo stesso indagato aveva ammesso la sua presenza sul luogo dei delitti.

Motivi della decisione

Il ricorso del Procuratore della Repubblica di Vibo Valentia è fondato.

1. Nel giudizio posto a base dell’ordinanza impugnata è presente una palese discrepanza dei criteri di valutazione probatoria prescritti dall’art. 192 c.p.p., comma 1 e dal 2, atteso che la disamina degli elementi di prova è stata condotta dal Tribunale in modo frammentario e senza affatto ricercare le interazioni riscontrabili tra le diverse risultanze probatorie.

Nella giurisprudenza di legittimità è stato chiarito che il procedimento logico di valutazione degli indizi si articola in due distinti momenti. Il primo è diretto ad accertare il maggiore o minore livello di gravità e di precisione degli indizi, ciascuno considerato isolatamente, tenendo presente che tale livello è direttamente proporzionale alla forza di necessità logica con la quale gli elementi indizianti conducono al fatto da dimostrare ed è inversamente proporzionale alla molteplicità di accadimenti che se ne possono desumere secondo le regole di esperienza. Il secondo momento del giudizio indiziario è costituito dall’esame globale e unitario tendente a dissolverne la relativa ambiguità, posto che "nella valutazione complessiva ciascun indizio (notoriamente) si somma e, di più, si integra con gli altri, talchè il limite della valenza di ognuno risulta superato e l’incidenza positiva probatoria viene esaltata nella composizione unitaria, sicchè l’insieme può assumere il pregnante e univoco significato dimostrativo, per il quale può affermarsi conseguita la prova logica del fatto… che – giova ricordare – non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto alla prova diretta (o storica) quando sia conseguita con la rigorosità metolodogica che giustifica e sostanzia il principio del cd. libero convincimento del giudice" (Sez. Un. 4 febbraio 1992, Ballan).

Le linee dei paradigmi valutativi della prova indiziaria sono state recentemente ribadite dalle Sezioni Unite secondo cui il metodo di lettura unitaria e complessiva dell’intero compendio probatorio non si esaurisce in una mera sommatoria degli indizi e non può, perciò, prescindere dalla operazione propedeutica che consiste nel valutare ogni prova indiziaria singolarmente, ciascuna nella propria valenza qualitativa, tendente a porne in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo (Sez. Un. 12 luglio 2005, n. 33748; Sez. Un. 30 maggio 2006, n. 36267).

2. La struttura e l’articolazione della motivazione dell’ordinanza impugnata risultano manchevoli sotto il profilo testè indicato, in quanto il Tribunale del riesame ha valutato la posizione di M. analizzando i singoli elementi investigativi senza preoccuparsi di calarli all’interno del contesto che avrebbe potuto indubbiamente contribuire a chiarire la loro effettiva portata dimostrativa e la loro reale congruenza rispetto al tema d’indagine prospettato dall’accusa formulata nel capo d’imputazione. L’ordinanza impugnata, infatti, ha frazionato i vari momenti della vicenda, soffermandosi, in particolare, sulle modalità e sui tempi dell’arrivo di M. presso la proprietà dei F., omettendo di valutare il complesso dei successivi comportamenti dell’indagato, così come riferiti dall’unico teste oculare.

E’, al riguardo, evidente la carenza e la frattura logico- argomentativa del provvedimento impugnato che, dopo avere ricostruito l’accaduto sulla base delle dichiarazioni rese da G. – presente sul luogo in cui si verificarono gli omicidi e ritenuto soggetto pienamente attendibile -, ha omesso di apprezzare una serie di circostanze obiettive riferite dalla suddetta persona informata sui fatti per cui si procede. Si richiamano in proposito: a) il contestuale trasferimento di M., alla guida del proprio furgone, insieme con altri due mezzi con i quali viaggiava incolonnato, alla ricerca dei F.; b) la guida, da parte di M., del furgone su cui viaggiava, verosimilmente, uno degli autori dell’omicidio, armato di pistola; c) l’accertata presenza di M. a bordo del furgone che, insieme con gli altri due mezzi, ostacolò il cammino di quello su cui viaggiavano Fo.

P. e P. e lo stesso G., impedendo loro di proseguire il cammino; d) la collocazione di M., insieme con V.P., al centro della strada di proprietà dei F. per impedire loro di proseguire il cammino; e) l’indicazione data da M., insieme con gli altri complici, alle vittime di andare verso il capannone per chiarire una questione;

f) l’attiva partecipazione di M. alla lite scoppiata fra V.P., da un lato, ed E., G. e D. F., prontamente degenerata nella uccisione di questi ultimi;

g) il contestuale allontanamento di M., insieme con E. V., armato; i) la conoscenza (ammessa dallo stesso indagato) di contrasti tra lo zio, V.E., e i F..

Il Tribunale, dopo avere attribuito rilievo centrale alle dichiarazioni rese da G., ha, da un lato, proceduto ad una disamina incompleta e parcellizzata delle singole circostanze da cui riferite e, dall’altro, ha contraddittoriamente ricercato riscontri (peraltro non richiesti, trattandosi di persona informata sui fatti) al suo racconto attraverso le dichiarazioni dell’indagato e della moglie di quest’ultimo che, in un’ottica comprensibilmente difensiva, hanno riferito di uno spostamento di M. presso la proprietà di F. non contestuale a quello dei membri della famiglia V..

Infine, con evidente vizio logico e metodologico, il Tribunale ha ritenuto di sminuire la rilevanza (peraltro riconosciuta nell’incipit del provvedimento impugnato) del racconto di G. in ordine alla dinamica omicidiaria sulla base di una non comprovata attribuibilità a M. dell’azione intimidatoria posta in essere qualche giorno prima in danno di G., costituente un mero antefatto irrilevante ai fini della valutazione del concorso di M. nella consumazione degli omicidi, tenuto conto delle stesse ammissioni dell’indagato in ordine alla sua presenza sul luogo in cui si verificarono i delitti.

Per tutte queste ragioni s’impone l’annullamento dell’ordinanza impugnata e il rinvia per nuovo esame al Tribunale di Catanzaro.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Catanzaro.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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