Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 12-10-2011) 22-11-2011, n. 43040 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza indicata in epigrafe, pronunciata in data 16 febbraio 2011, il GUP del Tribunale di Firenze, all’udienza preliminare, applicava a A.D. la pena di anni uno e mesi otto di reclusione ed Euro 6.000,00 di multa per violazione continuata della legge sugli stupefacenti, nonchè per la violazione della D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter; con la stessa sentenza veniva altresì applicata la pena di mesi cinque e giorni dieci di reclusione ed Euro 1.330,00 Euro di multa al coimputato D. M. per violazione della legge sugli stupefacenti. Il GUP predetto indicava il termine di 30 giorni per il deposito della motivazione poi depositata il 18 febbraio 2011 e la sentenza veniva quindi comunicata al Procuratore Generale territoriale, per il visto, in data 4 marzo 2011.

Avverso tale decisione – e con atto trasmesso a mezzo raccomandata spedita il 13 aprile 2011 – ha proposto ricorso per Cassazione, limitatamente alla posizione di A.D., il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Firenze il quale ha dedotto violazione di legge e vizio motivazionale per avere il giudice ritenuto di non applicare a detto imputato l’aumento di pena per la recidiva contestata (reiterata, specifica ed infraquinquennale) in considerazione delle "condizioni personali che spingono al crimine l’imputato"; ad avviso del ricorrente si tratterebbe di motivazione del tutto illogica, apparente e di mero stile, assolutamente disancorata dalla gravità oggettiva del fatto addebitato all’imputato e dalla negativa personalità dello stesso gravato da plurimi precedenti penali, anche specifici: elementi da considerarsi quali rivelatori di una spiccata pericolosità sociale e di una condotta di vita caratterizzata da una illecita attività svolta in maniera sistematica.

Motivi della decisione

Preliminarmente va rilevato un assorbente profilo di inammissibilità del ricorso, vale a dire la sua tardività, per le ragioni di seguito indicate.

Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza 12.10.1993, n. 295/2004 (Scopel), pur non affrontando ex professo il tema che qui interessa, hanno rilevato che la sentenza di patteggiamento deve ritenersi emessa nel dibattimento (più precisamente, all’esito del dibattimento) solo nel caso in cui il P.M. non aderisse alla richiesta della parte (secondo la normativa all’epoca vigente) e la richiesta medesima venisse accolta dal giudice, appunto, all’esito del dibattimento: in tal caso "il rito da seguire, ove la sentenza sia impugnata in cassazione, è quello della pubblica udienza". In tutti gli altri casi, invece, la sentenza non può ritenersi emessa nel dibattimento (o all’esito del dibattimento); "anzi, il fine proprio del procedimento speciale in questione è quello di evitare il dibattimento", e, "se la sentenza è impugnata per cassazione, il ricorso va deciso in camera di consiglio, a norma dell’art. 611".

Da tale puntualizzazione deve desumersi che la sentenza di patteggiamento può ritenersi dibattimentale solo quando, in esito al dibattimento medesimo, il giudice applichi la disciplina in questione; in tutti gli altri casi la sentenza deve ritenersi emessa in camera di consiglio.

Tale indirizzo – già confermato poi da plurime decisioni ("ex plurimis", cfr. Sez. 1, 1.7.1994, n. 3245, Valuri) – è stato ulteriormente ribadito in epoca recente da Sez. 1, 21.1.2009, n. 5984, Bruzzese, e da Sez. 1, 3.2.2010, n. 5496, Renna. La sentenza Renna, con specifico riferimento al tema che qui interessa, e muovendo appunto dal presupposto dalla natura di provvedimento camerale da riconoscere alla sentenza di applicazione della pena emessa prima del dibattimento, ha affermato il principio secondo cui "il termine di impugnazione della sentenza di patteggiamento emessa a norma dell’art. 448 c.p.p., comma 1, è di quindici giorni, anche se il giudice abbia formulato irrituale riserva di motivazione dilazionata, e decorre dall’ultima delle notificazioni eseguite all’imputato o al difensore". Con specifico riferimento alla sentenza di non luogo a procedere di cui all’art. 425 cod. proc. pen. emessa nell’udienza preliminare le Sezioni Unite di questa Corte, con la recente sentenza n. 21039 del 27/01/2011 Cc. (dep. 26/05/2011, P.M. in proc. Loy, Rv. 249670) hanno enunciato il principio di diritto così massimato: "Il termine di impugnazione della sentenza di non luogo a procedere, pronunciata all’esito dell’udienza preliminare, è quello di quindici giorni previsto dall’art. 585 c.p.p., comma 1, lett. a), per i provvedimenti emessi in seguito a procedimento in camera di consiglio e lo stesso decorre, per le parti presenti, dalla lettura in udienza della sentenza contestualmente motivata ovvero dalla scadenza del termine legale di trenta giorni, in caso di motivazione differita e depositata entro tale termine, rimanendo irrilevante l’eventualità che il giudice abbia irritualmente stabilito un termine più ampio per il deposito della suddetta motivazione. (In motivazione la Corte ha precisato che laddove si verifichi tale eventualità deve essere comunicato o notificato alle parti legittimate all’impugnazione il relativo avviso di deposito e che da tale comunicazione o notificazione decorre il termine per impugnare)". Orbene, il principio enunciato con la decisione appena citata delle Sezioni Unite – pur se relativo ad una concreta fattispecie di sentenza di non luogo a procedere – deve chiaramente ritenersi applicabile, stante la "eadem ratio", anche a qualsiasi altra sentenza camerale e, dunque, anche alla sentenza di patteggiamento, così come aveva ritenuto la sentenza Renna; il che risulta esplicitato nella stessa sentenza Loy con un "obiter dictum" laddove è stato precisato quanto segue: "E’ il caso di precisare che il sistema delineato sulla base del modello legale prefigurato dall’art. 585 c.p.p. è in generale previsto, come si è detto, per tutte le sentenze camerali, fatti salvi gli opportuni adattamenti, in relazione alla specifica disciplina, quanto all’individuazione del momento dal quale fare decorrere il termine d’impugnazione.

Esemplificativamente, può farsi riferimento: alla sentenza di proscioglimento emessa ai sensi dell’art. 129 c.p.p. (Sez. U n. 43055 del 30/09/2010, dep. 03/12/2010, imp. Dalla Serra, con riferimento all’ipotesi di pronuncia de plano ex art. 459 c.p.p., comma 3); alla sentenza predibattimentale ex art. 469 cod. proc. pen.; alla sentenza di applicazione della pena ai sensi degli artt. 444 e segg. c.p.p., quando la stessa è deliberata fuori dalla sede dibattimentale, vale a dire nel corso delle indagini preliminari, nell’udienza preliminare o prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, ipotesi queste in cui la pronuncia deve ritenersi assunta in camera di consiglio (Sez. U, n. 295 del 12/10/1993, dep. 17/01/1994, imp. Scopel); alla sentenza in materia di estradizione. In tutti questi casi, è fuori discussione che il termine per impugnare è quello di quindici giorni di cui all’art. 585 c.p.p., comma 1, lett. a)".

Passando all’esame del caso in esame, va osservato dunque che irritualmente, secondo il "dictum" delle Sezioni Unite, il GUP ha indicato per il deposito della sentenza un più lungo termine (30 giorni), rispetto a quello legale di 15 giorni (trattandosi di sentenza ex art. 448 c.p.p.; diversamente dalla sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p., per la quale, se non contestualmente motivata, è stabilito per il deposito della motivazione il termine di 30 giorni e di cui si sono specificamente occupate le Sezioni Unite con la sentenza Loy sopra ricordata). Peraltro, la pur non rituale indicazione di tale termine più lungo per il deposito della motivazione della sentenza, non rimane privo di conseguenze ai fini dell’impugnazione; ed invero, come precisato dalle Sezioni Unite nella motivazione della sentenza appena citata – con riferimento alla sentenza di non luogo a procedere, ma, come detto, trattasi di principio applicabile all’evidenza anche a qualsiasi altra sentenza camerale, come peraltro già affermato dal questa Corte con la sentenza Renna, pure sopra richiamata, concernente specificamente la sentenza di patteggiamento emessa al di fuori del dibattimento – deve essere poi comunque dato avviso, ai soggetti legittimati a proporre impugnazione, dell’avvenuto deposito della sentenza, e solo da tale comunicazione o notificazione decorre il termine di 15 giorni per impugnare (nè ovviamente rileva il momento del deposito della sentenza per la quale sia stato irritualmente indicato il più lungo termine per il deposito; quel che conta, ai fini della decorrenza del termine per impugnare, è la necessità della comunicazione o notificazione dell’avviso del deposito ai soggetti legittimati a proporre impugnazione).

Tanto premesso, le scansioni temporali rilevabili dagli atti a disposizione di questo ufficio sono le seguenti: la sentenza di applicazione della pena è stata emessa dal Giudice, in sede di udienza preliminare, il 16 febbraio 2011, con riserva del termine di 30 giorni per la motivazione, depositando poi la sentenza completa di motivazione in data 8 febbraio 2011; la sentenza stessa è stata quindi comunicata il 4 marzo 2011 al Procuratore Generale territoriale il quale ha proposto ricorso spedendo l’atto di impugnazione a mezzo raccomandata il 14 aprile 2011: sulla scorta di tutte le suesposte considerazioni, il proposto ricorso risulta dunque tardivo perchè spedito il 14 aprile 2011, e, dunque, ben oltre il 15 giorno dalla comunicazione (4 marzo 2011) al Procuratore Generale territoriale.

Mette conto sottolineare, tuttavia, che all’imputato A. D. la pena è stata applicata anche per il reato di inottemperanza all’ordine del Questore di lasciare il territorio italiano di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter: tale norma però non può più trovare applicazione come stabilito da questa Corte in applicazione della direttiva comunitaria cd. "rimpatri", per non essere il fatto più previsto dalla legge come reato (V. Corte di Giustizia UE 28 aprile 2011, El Didri) (cfr., al riguardo: Sez. 1, n. 18586 del 29/04/2011 Ud. – dep. 11/05/2011 – Rv. 250233; Sez. Sez. 1, n. 22105 del 28/04/2011 Cc. – dep. 01/06/2011 – Rv. 249732). Trattasi di "abolitio criminis" che ben può essere rilevata di ufficio anche in questa sede, e pur in presenza di ricorso (del P.G.) inammissibile, posto che si verte in una delle ipotesi previste dall’art. 673 c.p.p. (abrogazione o dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice) in cui il giudice dell’esecuzione revoca la sentenza di condanna o il decreto penale (cfr. Sez. Un., De Luca). La sentenza impugnata deve essere quindi annullata senza rinvio, nei confronti di A.D., limitatamente alla violazione di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter, perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato.

All’imputato A.D. è stato applicato, su una pena base di anni due di reclusione ed Euro 6.000,00 di multa (evidentemente per il più grave reato di detenzione illecita di eroina e cocaina a fine di spaccio), anche un aumento di pena di 6 mesi di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa, in continuazione interna – quindi con la continuazione contestata all’interno dell’imputazione di detenzione illecita di droga sub A) – ed in continuazione esterna, cioè con i plurimi episodi di violazione della legge sugli stupefacenti contestati specificamente e con la violazione di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter. Non sono stati ulteriormente specificati in sentenza i passaggi per la continuazione; ma, tenuto conto che gli specifici episodi di spaccio sono stati contestati in numero di quattro, deve ritenersi che l’aumento complessivo di mesi sei di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa a titolo di continuazione sia stato determinato applicando un singolo aumento di pena pari a mesi uno di reclusione ed Euro 500,00 di multa in relazione ai seguenti segmenti:

a) per la continuazione interna al reato continuato di illecita detenzione di droga;

b) per ciascuno dei quattro specifici episodi di spaccio;

c) per la violazione di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter, (per tale ultima violazione era dovuto l’aumento anche della pena pecuniaria, pur non edittalmente prevista, essendo punito con pena congiunta il reato ritenuto più grave): può dunque essere eliminata direttamente da questa Corte la pena di mesi uno di reclusione ed Euro 500,00 di multa da considerarsi riferibile al fatto che non è più previsto come reato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter perchè il fatto non è previsto come reato ed elimina la relativa pena di mesi uno di reclusione ed Euro 500,00 di multa ritenuta in continuazione;

dichiara inammissibile il ricorso del P.G. presso la Corte d’Appello di Firenze.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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