Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 12-10-2011) 22-11-2011, n. 43034 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

V.A., tratta in arresto a seguito di ordinanza di custodia cautelare in carcere per maltrattamenti dei suoi quattro figli (reato sub A) e tentate lesioni personali volontarie (reato sub B) in danno degli stessi (lanciando verso di loro cinque coltelli), veniva poi prosciolta con sentenza divenuta irrevocabile.

Con domanda presentata alla Corte di Appello di Reggio Calabria la V. chiedeva quindi l’equa riparazione per l’ingiusta detenzione subita.

La Corte d’Appello adita rigettava la domanda ravvisando nel comportamento della V. – alla luce di quanto acquisito agli atti, ed in particolare avuto riguardo alle circostanze fattuali desumibili dalla stessa sentenza di proscioglimento – gli estremi di una condotta sinergica, per condotta gravemente colposa, alla produzione dell’evento restrittivo della libertà personale.

Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione la V., con atto di impugnazione sottoscritto dal difensore, deducendo vizio motivazionale in ordine alla ritenuta sussistenza della colpa grave, sostenendo che la Corte territoriale sarebbe incorsa in errore di impostazione e prospettiva nel valutare le risultanze processuali ai fini che in questa sede interessano.

Il Procuratore Generale presso questa Corte ha sollecitato declaratoria di inammissibilità del ricorso. il ricorso deve essere rigettato per le ragioni di seguito indicate.

Motivi della decisione

Secondo i principi elaborati ed affermati nell’ambito della giurisprudenza di questa Suprema Corte, nei procedimenti per la riparazione per l’ingiusta detenzione, in forza della norma di cui all’art. 646 c.p.p., secondo capoverso, – da ritenersi applicabile per il richiamo contenuto nell’art. 315 c.p.p., comma 3 – la cognizione della Corte di Cassazione deve intendersi limitata alla sola legittimità del provvedimento impugnato, ovviamente anche sotto l’aspetto della congruità e logicità della motivazione, e non al merito. E, per quel che concerne la verifica dei presupposti e delle condizioni richieste perchè sussista in concreto il diritto all’equa riparazione – in particolare, l’assenza del dolo o della colpa grave dell’interessato nella produzione dell’evento restrittivo della libertà personale – le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza N. 43 del 13/12/1995-9/2/1996, hanno enunciato il principio di diritto secondo cui la Corte territoriale deve procedere ad autonoma valutazione delle risultanze processuali rispetto al giudice penale.

Nella fattispecie in esame, la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha motivato il proprio convincimento evidenziando che: a) la V. era affetta da sindrome di alcolismo che la rendeva aggressiva nei confronti di chiunque si frapponesse fra lei ed il disperato ed autolesivo bisogno; b) era risultato acclarato il verificarsi di episodi di forte tensione, sfociati in liti, e scatti d’ira incontrollati; c) il marito della V. aveva riferito l’episodio della lite sfociata nel lancio di coltelli della V. contro i figli che aveva causato forte preoccupazione per la salute di questi ultimi; e) l’esame "ex ante" del comportamento della V. nella sua specificità, pur non conducendo ad ipotesi di reato – con la conseguente sentenza di proscioglimento (essendo stata esclusa la continuità del comportamento diretto ad umiliare i familiari, quanto al reato di maltrattamenti, ed ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2 quanto al reato di cui al capo B) dell’imputazione) – aveva posto la V. stessa in una obiettiva situazione di gravità indiziaria legittimante l’emissione della misura custodiate.

Secondo i principi elaborati ed affermati nell’ambito della giurisprudenza di questa Suprema Corte, nei procedimenti per la riparazione per l’ingiusta detenzione, in forza della norma di cui all’art. 646 c.p.p., secondo capoverso, – da ritenersi applicabile per il richiamo contenuto nell’art. 315 c.p.p., comma 3 – la cognizione della Corte di Cassazione deve intendersi limitata alla sola legittimità del provvedimento impugnato, ovviamente anche sotto l’aspetto della congruità e logicità della motivazione, e non al merito. E, per quel che concerne la verifica dei presupposti e delle condizioni richieste perchè sussista in concreto il diritto all’equa riparazione – in particolare, l’assenza del dolo o della colpa grave dell’interessato nella produzione dell’evento restrittivo della libertà personale – le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza N. 43 del 13/12/1995-9/2/1996, hanno enunciato il principio di diritto secondo cui la Corte territoriale deve procedere ad autonoma valutazione delle risultanze processuali rispetto al giudice penale. Nella fattispecie in esame, la Corte d’Appello di Reggio Calabria, come detto, ha motivato il proprio convincimento attraverso un adeguato percorso argomentativo con le considerazioni sopra sinteticamente ricordate; orbene appare all’evidenza che trattasi di un "iter" motivazionale assolutamente incensurabile in quanto caratterizzato da argomentazioni pienamente rispondenti a criteri di logicità ed adeguatezza, nonchè in sintonia con i principi enunciati da questa Corte in tema di dolo e colpa grave quali condizioni ostative al diritto all’equa riparazione: si ha colpa grave allorquando il soggetto sia venuto meno all’osservanza di un dovere obiettivo di diligenza, con possibilità di prevedere che, non rispettando una regola precauzionale, venendo meno all’osservanza del dovere di diligenza, si sarebbe verificato l’evento "detenzione" (cfr., fra le tante: Sez. 4, n. 3912/96 – cc. 29/11/95 – RV. 204286;

Sez. 4, n. 596/96, RV. 204624); la sinergia, sulla custodia cautelare, del comportamento dell’istante può riguardare "sia il momento genetico che quello del permanere della misura restrittiva"(così, "ex plurimis", Sez. 4, n. 963/92, RV. 191834). Al rigetto del ricorso segue, per legge, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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