Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-06-2012, n. 8937 Indennità di espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Lecce con sentenza del 29 gennaio 2010 ha respinto la richiesta di G.M.L., nonchè di E. M., M. e Q.C.S. di indennizzo per il vincolo apposto dal comune di Racale con provvedimento consiliare 15 maggio 1984 su di un fondo di loro proprietà ubicato nella località "(OMISSIS)" (in catasto al fg. 13, part. 268) compreso in zona F/3 destinata ad attrezzature sportive;e reiterato una prima volta con Delib. consiliare nn. 22 e 28 del 1998, e poi ancora con Delib. n. 45 del 2004. Ciò perchè: a) l’inclusione dell’immobile in zona F/3 rientrava nel potere del comune di pianificazione del territorio e non poteva costituire vincolo espropriativo, al più ravvisabile nella utilizzazione del bene a parcheggio; b) tuttavia anche a ritenerne la destinazione edificatoria,come era necessario per l’indennizzabilità del vincolo, mancava egualmente la prova del pregiudizio sofferto anche perchè il terreno non aveva avuto utilizzazione alcuna ed al momento della c.t. si presentava completamente abbandonato.

Per la cassazione della sentenza i G. – Q.C. hanno proposto ricorso per 5 motivi; cui resiste il comune di Racale con controricorso.

Motivi della decisione

Con i primi due motivi i ricorrenti deducendo violazione dell’art. 39 del T.U. appr. con D.P.R. n. 327 del 2001 censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto carente di prova il pregiudizio arrecato dal vincolo espropriativo a causa dell’erroneo quesito contenuto nella c.t. con il quale si chiedeva di accertare l’indennità di espropriazione senza considerare: a) la bellezza del luogo nonchè la possibilità di sfruttamento turistico ampiamente documentate unitamente ai prezzi delle vendite attuate nello stesso periodo (oltre 20 Euro mq.), che dovevano appunto indurre all’accoglimento della richiesta; b)che l’indennizzo era dovuto alternativamente per la diminuzione del valore di scambio del terreno o per la sua inutilizzabilità e non certamente per la ricorrenza congiunta di dette condizioni; sicchè per accertarle era sufficiente disporre le opportune indagini tecniche al riguardo.

Con il terzo ed il quarto motivo deducendo violazione degli artt. 188, 244 e 245 cod. proc. civ. si dolgono che la Corte territoriale abbia lasciato irrisolta la questione dell’edificabilità del suolo pur rientrando la zona in un ampio contesto già edificato e munito di servizi, perciò anche ai fini perequativi da qualificare edificatorio; e che pur in quest’ultima ipotesi non abbia considerato documentato il pregiudizio malgrado le richieste istruttorie disattese e la relazione tecnica allegata alla Delib. comunale n. 45 del 2004 ne poneva in evidenza il notevole sviluppo turistico.

Con il quinto motivo insistono nella illogicità della motivazione che ha ricavato la mancanza del pregiudizio dallo stato di abbandono del fondo; mentre con il sesto tale illogicità estendono anche alle considerazioni con cui la Corte di appello ha dubitato della reiterazione del vincolo richiesta per due quinquenni a partire dalla Delib. n. 7 del 95 e Delib. n. 45 del 2004, senza considerare che detto vincolo,come aveva finito per ammettere anche il comune era stato sostanzialmente imposto fin dal 1981.

Questi motivi sono in parte inammissibili ed in parte infondati, pur se va corretta ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ. la motivazione con cui è stata respinta l’istanza dei proprietari.

Muovono infatti i ricorrenti dall’erronea premessa che tutte le prescrizioni urbanistiche che impongano limitazioni allo ius aedificandi e comunque non consentano lo sfruttamento edilizio di un’area siano perciò stesso vincoli preordinati all’espropriazione:

come tali indennizzabili ove reiterati dopo il primo quinquennio con la conseguenza che detta natura ha ravvisato in tutti indistintamente i provvedimenti di natura urbanistica adottati dal comune a far data dal 13 luglio 1981; di nessuno dei quali tuttavia ha riportato il contenuto o quanto meno la funzione con esso perseguita dal comune.

Per converso, la Corte di appello ha correttamente rilevato, senza alcuna contestazione al riguardo delle parti,che il comune con il P.F. del 9 gennaio 1978 definitivamente approvato dalla Regione Puglia con Delib. 13 luglio 1981, non aveva apposto alcun vincolo espropriativo, ma aveva esercitato il potere di pianificazione del territorio (c.d. azzonamento), suddividendolo per zone con caratteri generali ed attribuendo a quella F/3 in cui era compreso il terreno dei ricorrenti destinazione a "spazi pubblici attrezzati a parco per il gioco e lo sport": in conformità pertanto alla giurisprudenza assolutamente consolidata di questa Corte resa anche a sezioni unite (Cass. sez. un. 173/2001), secondo cui in caso di originaria disposizione di piano, ovvero di variante, il suo carattere conformativo (e non ablatorio non discende dalla sua collocazione in una specifica categoria di strumenti urbanistici, ovvero dalla presenza di piani particolarregiati ovvero attuativi, ma) dipende soltanto dai requisiti oggettivi, di natura e struttura, che presentano i vincoli in essa contenuti; ed è dunque configurabile tutte le volte in cui gli stessi mirino ad una (nuova) zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, si da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti in funzione della destinazione della intera zona in cui questi ricadono ed in ragione delle sue caratteristiche intrinseche; o del rapporto (per lo più spaziale) con un’opera pubblica.

Nel caso, la previsione della zona F3, non era rivolta a localizzare singole opere pubbliche (infatti, neppure indicate) pur in conformità alle relative destinazioni, ovvero ad individuare quali immobili fossero interessati alla relativa costruzione, ma, come esattamente ritenuto dalla sentenza impugnata era diretta unicamente ad identificare e circoscrivere la zonizzazione del territorio comunale in ordine alle parti destinande alle menzionate attrezzature di carattere pubblico: perciò restando del tutto estranea al limite temporale di cui alla L. n. 1187 del 1968, art. 2, peculiare dei soli vincoli preordinati all’espropriazione. I quali, d’altra parte, non erano ravvisabili neppure nella successiva Delib. consiliare 15 maggio 1984, neppur essa riportata dai proprietari, che dopo una serie di vicende è stata definitivamente trasfusa nella successiva Delib. 8 giugno 1995, posto che le stesse contenevano soltanto il piano particolareggiato della zona F3, e quindi le norme di attuazione per la realizzazione della destinazione attribuita dal progettista alla ricordata porzione del territorio comunale (pag. 14 ric.).

E tanto era sufficiente a definite la questione della "edificabilità" della stessa lasciata in dubbio dalla Corte territoriale, la quale non era risolvibile in base alla considerazione che un parcheggio non è in via di principio precluso all’iniziativa privata (pag. 6 sent.); e neppure in base alla ubicazione della località in una zona "funzionale alla circostante edificabilità…per un’evidente ratio perequativa" (pag. 10 ric.), ma in base ai noti principi dell’ "edificabilità legale" (da ultimo recepiti dagli artt. 32 e 37 del T.U. app. con D.P.R. n. 327 del 2001) per i quali: 1) un’area va ritenuta edificabile soltanto se, e per il solo fatto che, come tale, essa risulti classificata secondo un criterio di prevalenza o autosufficienza della edificabilità legale; mentre la cosiddetta edificabilità "di fatto" rileva esclusivamente in via suppletiva – in carenza di strumenti urbanistici -ovvero, in via complementare (ed integrativa), agli effetti della determinazione del concreto valore di mercato dell’area espropriata, incidente sul calcolo dell’indennizzo" (Cass. sez. un. 172/2001 e successive); 2) le possibilità legali di edificazione vanno escluse tutte le volte in cui per lo strumento urbanistico vigente all’epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale,la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico,quale è proprio quello a verde pubblico attrezzato in quanto le relative utilizzazioni apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione e che sono, come tali, soggette al regime autorizzatolo previsto dalla vigente legislazione edilizia (Da ultimo: Cass. 665/2010; 400/2010;

21396/2009; 21095/2009; 17995/2009); 3) infine, nelle ipotesi appena considerate per rendere edificatorio il terreno non è sufficiente neppure che l’intervento pubblico sia realizzabile in linea astratta anche ad iniziativa privata: dovendo ciò essere il risultato di una scelta di politica programmatoria ricorrente solo quando gli obiettivi di interesse generale, di dotare il territorio di attrezzature e servizi, siano ritenuti realizzabili (e come tali specificatamente compresi nelle previsioni pianificatorie) anche attraverso l’iniziativa economica privata – pur se accompagnati da strumenti di convenzionamento"; e perciò devolvendosi esclusivamente a ciascuno strumento urbanistico il potere di stabilire se, per quali categorie di opere ed in quali zone le stesse possano venire realizzate "anche attraverso l’iniziativa economica privata" (Cass. 2605/2010 cit.; 21095/2009; 15616/2007; 15389/2007; Corte Costit.

179/1999).

Al lume di queste considerazioni non sembra al Collegio che si potrebbe sfuggire alla seguente alternativa: o ritenere con la sentenza impugnata e con i ricorrenti, che la disposizione dell’art. 39 del T.U., come enunciato dal suo titolo presupponga la sussistenza di un terreno con destinazione edificatoria penalizzato dall’apposizione reiterata di un vincolo espropriativo; ed allora la mancanza del presupposto dell’edificabilità legale del terreno G. – Q.C. esclude in radice l’indennizzabilità di eventuali vincoli apposti su di esso che tale destinazione non possiede.

Ovvero privilegiare il testo della norma che più non menziona la destinazione edificatoria dell’immobile; ed allora occorreva anzitutto che i ricorrenti individuassero e trascrivessero il provvedimento che aveva localizzato l’intervento da realizzare sul loro terreno (per quanto si è detto non sussistente fino al 1995), e quale avesse reiterato il vincolo (gli stessi non hanno invece nè indicato nè riportato il contenuto della Delib. consiliare 29 novembre 2004). Per poi dimostrare attese la natura non edificatoria del terreno e le utilizzazioni consentite dalla classificazione F/3 suddetta quale "danno effettivo" il vincolo avesse apportato ai proprietari precludendole: perciò, giustificando anche sotto questo profilo il risultato conclusivo della sentenza impugnata che neanche attraverso la c.t. siffatta prova era stata fornita dai proprietari, i quali non hanno allegato neppure quali di dette utilizzazioni (non edificatorie) siano state ad essi impedite.

Le spese del giudizio gravano in solido su costoro rimasti soccombenti e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali, che liquida in favore del comune in complessivi Euro 2.700,00 di cui Euro 2.500,00 per onorario di difesa, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2012

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