Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-06-2012, n. 8936 Revocatoria fallimentare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Fallimento CEA s.r.l. agiva in giudizio nei confronti di C. E., V.A., V.P., S. G., Ma.Ma., R.F. e M.A., esponendo che con contratto d’appalto del 29/8/90, la CEA s.r.l.

aveva assunto l’obbligo, per il corrispettivo di L. 932.500.000 di eseguire tutti i lavori di ricostruzione del fabbricato sito in (OMISSIS), in catasto al fg.48, particelle 179, 258, 259, 181, 260, 261, 262, 263, 264, 265; che con scrittura privata del 1/5/94, le parti, riconosciuto il credito residuo di CEA di L. 73.000.000, avevano convenuto che la società appaltatrice ricevesse, a tacitazione di ogni spettanza, la somma di L. 50.000.000 in cambio della rinuncia all’azione diretta a recuperare il credito vantato; che solo alcuni dei committenti avevano stipulato la transazione; che nessuna somma era stata versata in esecuzione di tale accordo; che CEA era stata dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Isernia del 25/10/95; che la transazione, stipulata nel biennio anteriore alla dichiarazione di fallimento, prevedendo obbligazioni che superavano notevolmente quanto dato o promesso al fallito, era suscettibile di revocatoria L. Fall., ex art. 67, comma 1, n. 1.

Tanto premesso, il Fallimento chiedeva la declaratoria di inefficacia dell’accordo transattivo del 1/5/94 e l’accertamento del credito di L. 73.000.000 quale residuo corrispettivo del contratto d’appalto del 29/8/90, con la condanna dei convenuti al pagamento di detto importo o della somma maggiore o minore risultante all’esito dell’istruttoria, oltre rivalutazione ed interessi e con vittoria di spese.

I convenuti rimanevano contumaci.

Trattenuta la causa in decisione, la stessa veniva rimessa sul ruolo, ordinandosi l’integrazione del contraddittorio nei confronti di M.A., quale rappresentante di D.B.D., e di F. E.. Si costituivano in giudizio F.E. e R. F., contestando la fondatezza della domanda, atteso che la riduzione in via transattiva a L. 50.000.000 del debito riconosciuto di L. 73.000.000 non sorpassava notevolmente quanto promesso al fallito, che i convenuti non conoscevano lo stato di insolvenza della CEA, che inoltre non era creditrice, ma debitrice della somma di L. 20.653.633, come risultante dalla contabilità redatta il 1/7/94 dalla Direzione dei lavori.

Il giudizio, interrotto per la morte del procuratore dei convenuti F. e R., veniva riassunto dal Fallimento; si costituivano i convenuti F., R., V.A. e P., e S.G..

Il Tribunale di Isernia, con sentenza del 28/2/2005, n. 89, accoglieva la domanda e dichiarava inefficace la transazione nei confronti della Curatela, condannando i convenuti al pagamento della somma di Euro 36.151,98, oltre interessi legali dal 1/5/94 al saldo, nonchè al rimborso delle spese di lite.

Interponevano appello R. e V.; il Fallimento chiedeva il rigetto dell’appello ed in via di appello incidentale chiedeva la rettifica della somma a proprio credito in L. 37.701,35;

si costituivano anche S., C. e Ma., riproducendo le richieste degli appellanti principali; rimanevano contumaci F., V. e M..

Con sentenza non definitiva del 15/7/2008, la Corte del merito rigettava l’appello principale di R. e V., nonchè l’appello incidentale di Ma., C. e S., disponendo con separata ordinanza per la prosecuzione del giudizio in relazione all’appello incidentale del Fallimento, in quanto la comparsa di risposta con appello incidentale richiedeva la notificazione ex art. 292 c.p.c. nei confronti dei contumaci.

In detta sentenza, la Corte territoriale, respinti i motivi di impugnazione intesi a far valere la nullità della sentenza, ha respinto il quarto motivo di gravame, con il quale gli appellanti avevano negato la notevole sproporzione tra le prestazioni dedotte nella transazione, evidenziando che, a fronte della rinuncia dell’appaltatore alla somma di L. 23.000.000 sul residuo credito di L. 73.000.000, i committenti avevano reso tre liberatorie, rilevando che non era dato comprendere come la risoluzione nel caso rilevasse come concessione/rinuncia dei committenti ed in quale misura; che correttamente il Tribunale aveva ritenuto la rinuncia della CEA a L. 23.000.000, pari al 31,5% del residuo credito di L. 73.000.000, riconosciuto espressamente e senza riserve nella stessa transazione, ove non vi era alcun accenno ad accolli di spese a ribassi di sorta;

che la corrispondenza in atti sulla situazione contabile redatta dal Direttore dei lavori era tutta successiva alla transazione; che era vaga e generica la rinuncia dei committenti "a qualsivoglia danno di qualsiasi natura", non facendosi riferimento ad alcuna res litigiosa, nè le ipotesi fatte valere dagli appellanti potevano configurare una lite anche solo stragiudiziale, effettivamente insorta tra le parti e di cui si avesse notizia dagli atti di causa. La Corte territoriale ha altresì ritenuto rasentare l’inammissibilità per genericità il quinto motivo di gravame, relativo alla inscientia decotionis, comunque infondato, e che, in ogni caso, non risultava alcun elemento relativo al profilo soggettivo nella sentenza e nella corrispondenza tra le parti.

Infondato è stato ritenuto il sesto motivo: la transazione è solo inopponibile al Fallimento, non invalida, per cui restano valide le dichiarazioni di scienza rese dalle parti, da cui il riconoscimento del residuo debito di L. 73.000.000 e, ove applicabile l’art. 1988 c.c., la prova dell’inesistenza o del minore importo del debito non era integrata dal prospetto contabile del Direttore dei Lavori, ing. Ri.Ni., e dal riferimento di questi ad un ribasso d’asta che "forse" avrebbe riassunto, senza alcun riscontro documentale in atti, l’insieme degli "accolli segnati in progetto ed indicati a fianco di ciascun proprietario" (così il contratto d’appalto). Il Giudice del merito ha infine respinto il settimo e l’ottavo motivo di gravame, rilevando che correttamente è stata fissata dal Tribunale la decorrenza degli interessi legali al 1/5/94, data della transazione, trattandosi di condanna al pagamento del residuo corrispettivo dell’appalto, e che nel contratto d’appalto non era stata disposta l’esclusione dalla solidarietà, in deroga alla regola generale dell’art. 1294 c.c..

Rimessa la causa sul ruolo per l’udienza del 10/12/08, a tale udienza il procuratore degli appellanti principali formulava espressa riserva di impugnazione della sentenza non definitiva.

Eseguita dal Fallimento la notificazione della comparsa di costituzione con appello incidentale ai contumaci, la Corte territoriale, con sentenza 5/8/09, ha accolto l’appello incidentale del Fallimento e condannato R., V.P., Ma., C., S., F., V.A. e M. alle spese del grado.

La Corte del merito ha rilevato che il credito e la sua misura risultavano dal riconoscimento espresso senza riserve da parte dei debitori nella transazione del 1/5/94, come risultante dalla sentenza "parziale" del luglio 2008, pagine 10 e ss., e che nel convertire la somma in Euro, il Tribunale aveva condannato alla somma di Euro 36.151,98 invece che Euro 37.701,35.

Ricorre R.F. avverso sia la sentenza non definitiva che definitiva, sulla base di tre motivi.

Gli intimati non si sono costituiti.

Motivi della decisione

1.1.- Con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1965 c.c., operata nella sentenza non definitiva, in relazione alla individuazione della res litigiosa, ritenendosi necessaria una lite stragiudiziale, nonchè vizio di omessa e/o insufficiente motivazione circa fatto controverso e decisivo, per non avere la Corte territoriale attribuito decisiva rilevanza ai due documenti prodotti sub 8) dagli appellanti, ossia le due lettere datate Napoli 17 sett. 1992 e 4 febbr. 1993, da avv.A. Passaro a CEA s.r.l. e per conoscenza al Direttore dei Lavori, riportate integralmente in ricorso.

1.2.- Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia violazione della L. Fall., art. 67, nella sentenza non definitiva, in relazione al computo degli interessi legali, attesa la natura costitutiva della sentenza dichiarativa di inefficacia, per cui gli interessi sulla somma da restituirsi da parte del soccombente decorrono dalla data della domanda giudiziale (18/4/98) e non dalla data del contratto d’appalto (29/8/90). 1.3.- Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta ex art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza definitiva per violazione delle norme sul procedimento, artt. 101, 156, 159, 190 e 352 c.p.c.: la Corte d’appello, trattenuta la causa in decisione all’udienza dell’11/3/09, aveva disposto la rimessione al Collegio diversamente disposto, avendo fatto parte dello stesso la dr. Pa., autorizzata ad astenersi con provvedimento presidenziale del 16/10/07, disponendo l’incameramento in decisione all’udienza dell’8/7/09, senza concessione di termini ulteriori per gli scritti conclusivi, nei quali gli appellanti avrebbero svolto argomentazioni sul regolare svolgimento del processo, sulla partecipazione del componente del Collegio già autorizzato ad astenersi.

2.1.- In via preclusiva di ogni ulteriore valutazione, va rilevato che il ricorrente ha tentato la notifica del ricorso ex art. 330 c.p.c., comma 1, seconda parte, a mezzo posta al Curatore del Fallimento presso il domicilio eletto, avv. Nicola Palmiotti, via Principe di Piemonte, 41, Campobasso, come indicato nella sentenza impugnata, e che dall’avviso di ricevimento sottoscritto dall’addetto al recapito in data 26/2/2010, risulta la mancata consegna "per irreperibilità del destinatario".

Ciò posto, va rilevato, come tra le ultime evidenziato nella pronuncia 21154/2010, che le Sezioni Unite, nella pronuncia 3818/2009, hanno affermato che la notifica effettuata presso il procuratore costituito o il domiciliatario va effettuata nel domicilio da questi eletto nel giudizio, se esercente l’ufficio in un circondario diverso da quello di assegnazione; diversamente, nel caso di domicilio di un procuratore esercente l’attività nell’ambito della circoscrizione di assegnazione (artt. 170 e 330 c.p.c.), la notifica va effettuata nel suo domicilio effettivo, previo riscontro, da parte del notificante, delle risultanze dell’albo professionale.

Ove peraltro la notificazione dell’atto processuale, in particolare, dell’atto di impugnazione di una sentenza ai sensi dell’art.330 c.p.c., da effettuare pertanto in un termine perentorio, non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, il primo ha la facoltà (diversamente da quanto incidentalmente affermato da Cass. S.U. 3960/2009 e Cass. 14494/2010, nel ritenere necessaria la tempestiva richiesta al giudice ad quem di fissazione di un termine perentorio per completare la nuova notifica), ma anche l’onere, di richiedere all’Ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio, con la conseguenza che, ai fini del rispetto del termine, in tale evenienza la successiva notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, semprechè la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie (Cass. S.U. 17352/2009).

Alla stregua di detto principio, visto l’esito della notifica del ricorso nel domicilio eletto per il giudizio, tale da doversi ritenere la stessa meramente tentata e quindi non effettuata, e vista la totale inerzia del ricorrente a far data dal febbraio 2010, deve concludersi per l’inammissibilità del ricorso, non essendo stato instaurato il contraddittorio con il Fallimento, che costituisce l’effettiva controparte del ricorrente.

Il R., nella memoria ex art. 378 c.p.c., ha sostenuto che la raccomandata n. 76347862928-2 sarebbe stata "consegnata dal portalettere del centro postale di Roma Prati Recapito" il 4/3/2010, come risultante dal servizio "segui raccomandata" delle Poste italiane, ed ha chiesto di essere autorizzato alla rinnovazione della notificazione del ricorso ex art. 164 c.p.c. e/o alla rimessione in termini, per essere incorsa in decadenza alla parte stessa non imputabile, ex art. 153 c.p.c., comma 2.

A riguardo, si osserva che la deduzione del ricorrente di avvenuta consegna della raccomandata è contraddetta dall’avvenuto deposito dell’originale dell’avviso di ricevimento dell’atto spedito a mezzo raccomandata alla Curatela del Fallimento presso il domicilio eletto e di cui si è detto sopra, nè potrebbe tacersi della anormalità della supposta consegna presso il domicilio eletto in Campobasso da parte del portalettere di (OMISSIS) (detta consegna attiene alla restituzione dell’atto al richiedente la notifica).

Non può altresì ipotizzarsi la rinnovazione della notificazione o la rimessione in termini (anche a tacere dalla inapplicabilità ratione temporis dell’art. 153 c.p.c., comma 2, ai sensi della L. L. n. 69 del 2009, art. 58), alla stregua dell’indirizzo giurisprudenziale sopra richiamato, non essendosi attivato il ricorrente dopo la tentata notifica, per riprendere il procedimento notificatorio; pianamente diversa è infine la fattispecie esaminata nell’ordinanza di questa Corte, n. v, 1810/2012, a cui il ricorrente ha fatto riferimento, atteso che in detto caso il ricorso era stato notificato a mezzo posta all’intimato, l’avviso di ricevimento era stato sottoscritto dal portiere, e mancava solo la prova dell’avvenuta ricezione della raccomandata attestante la notifica dell’atto, di cui alla L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 2, per cui era carente solo la prova del completamento del procedimento notificatorio, che invece nel caso deve ritenersi inesistente.

Nè infine potrebbe nella specie ritenersi applicabile l’art. 331 c.p.c. e quindi, a fronte della notifica eseguita nei confronti di S., C., Ma. e V.P., ordinarsi l’integrazione del contraddittorio nei confronti della Curatela, non sussistendo nella revocatoria litisconsorzio necessario, atteso che, come affermato nella pronuncia delle sezioni unite 9660/2009, "l’accoglimento dell’azione revocatoria in materia fallimentare (sia che venga esperita ai sensi dell’art. 66 sia che venga esperita ai sensi della L. Fall., art. 67) in favore del disponente fallito non determina alcun effetto restitutorio nè, tantomeno, un effetto traslativo a favore della massa dei creditori, ma comporta la inefficacia relativa dell’atto rispetto alla massa dei creditori, rendendo il bene trasferito assoggettabile all’esecuzione concorsuale, senza peraltro caducare, ad ogni altro effetto, l’atto di alienazione nei confronti dell’acquirente (cfr. in tal senso, tra le varie: Cass. n. 18573 del 2004; Cass. n. 17590 del 2005)".

Conclusivamente, deve concludersi nel caso per l’inammissibilità dell’impugnazione per mancata instaurazione del contraddittorio.

Non si da pronuncia sulle spese, non essendosi costituiti gli intimati.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 3 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2012

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