Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 10-10-2011) 22-11-2011, n. 43101

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 22 marzo 2010, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Genova, all’esito di giudizio abbreviato, dichiarava A.A., I.L. e P.A. colpevoli di numerosi fatti di cessione di quantitativi di cocaina a soggetti tossicodipendenti, commessi in (OMISSIS), condannandoli alle pene ritenute di giustizia.

2. A seguito di impugnazione degli imputati, la Corte di appello di Genova, con la sentenza in epigrafe, in parziale riforma della sentenza impugnata quanto ad A. e a P., ritenuta per il primo la continuazione con i reati oggetto di precedente sentenza di condanna passata in giudicato, riduceva la pena inflitta allo stesso in anni tre, mesi quattro di reclusione ed Euro 25.000 di multa, e riduceva inoltre la pena inflitta a P. in anni sei, mesi otto di reclusione ed Euro 40.000 di multa.

Confermava la sentenza impugnata nei confronti di I. (condannata, con l’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, alla pena di anni cinque, mesi quattro di reclusione ed Euro 28.000 di multa).

3. Ricorrono per cassazione i predetti imputati.

4. A., a mezzo del difensore avv. Pietro Bogliolo, denuncia, con un unico motivo, la inosservanza della legge penale in punto di mancato riconoscimento del fatto di lieve entità, trattandosi di piccole cessioni reiterate nel tempo e in considerazione della tossicodipendenza dell’imputato, e di ritenuta rilevanza della recidiva.

5. I., a mezzo del difensore avv. Raffaella Multedo, denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione in punto di affermazione della responsabilità con riferimento ai soli reati di cui ai capi 6 e 11, riguardanti entrambi condotte di cessione di quantitativi di cocaina a D.T.M., in concorso con A., assumendo che i relativi elementi probatori sono stati travisati o erroneamente interpretati.

6. P., a mezzo del difensore avv. Emanuele Lamberti, espone i seguenti motivi:

6.1. Violazione dell’art. 271 c.p.p., essendo state le operazioni di intercettazione telefonica avviate dal pubblico ministero sulla base di decreti fondati sulla urgenza ex art. 267 c.p.p., comma 2, in difetto di tale presupposto.

6.2. Vizio di motivazione in punto di affermazione della responsabilità con riferimento al solo reato di cui al capo 34, riguardante la cessione di un quantitativo di cocaina ad A., assumendosi che i relativi elementi probatori, emergenti dal contenuto delle intercettazioni telefoniche, sono stati erroneamente interpretati e che comunque non è stata data adeguata e congrua risposta alle deduzioni difensive versate nell’atto di appello.

6.3. Vizio di motivazione in punto di mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, essendosi la Corte di appello illegittimamente basata sull’assunto per cui non essendo certe le generalità dell’imputato non poteva ritenersi certa neppure la sua condizione di incensurato.

Motivi della decisione

1. Osserva la Corte che i ricorsi appaiono manifestamente infondati o per altro verso inammissibili.

2. Con riguardo al ricorso di A., va rilevato che la sentenza impugnata (p. 19^) tocca specificamente il punto relativo alla invocata attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, osservando del tutto correttamente che la frequenza giornaliera delle cessioni e l’approvvigionamento continuo di quantità tutt’altro che trascurabili, svolto con predisposizione di mezzi e sulla base di una consolidata rete di contatti, non consentiva di inquadrare i fatti nella ipotesi di lieve entità. Si tratta di valutazioni che, in quanto adeguatamente espresse e non dissonanti con la previsione normativa, non sono censurabili in sede di legittimità.

Quanto alla rilevanza della recidiva, sulla base del computo della pena operato nella stessa sentenza (p. 19^) non risulta che sia stato operato alcun aumento a tale titolo.

3. Con riguardo al ricorso di I., che attiene ai soli capi 6 e 11 (cessioni di cocaina a favore di D.T.M.), va rilevato che il coinvolgimento della imputata nel fatto, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, emerge sia dalle parziali ammissioni dell’imputata, sia da quelle della D.T., sia, infine, dal contenuti delle conversazioni intercettate, che sono state ineccepibilmente interpretate dalla Corte di appello (v. pagine 11 e 12) come riprova della cessione di quantitativi di cocaina da parte della I. per conto dell’ A.. Le contrarie deduzioni della ricorrente, incentrate su una prospettazione di erronea interpretazione dei giudici di merito delle risultanze processuali, non possono trovare ingresso in questa sede.

4. Con riguardo al ricorso di P., va in primo luogo rilevato che il primo motivo, relativo alla asserita inutilizzabilità dei decreti di intercettazione emessi in via di urgenza dal pubblico ministero, è manifestamente infondato, per la risolutiva considerazione per cui l’eventuale difetto di motivazione del decreto del p.m. è sanato con l’emissione del decreto di convalida da parte del G.i.p., che assorbe integralmente il provvedimento originario e rende utilizzabili i risultati delle operazioni di intercettazione, precludendo ogni discussione sulla sussistenza del requisito dell’urgenza (ex plurimis, Sez. 4, n. 32666 del 24/08/2010, Crupi; Sez. 5, n. 16285 del 16/03/2010, Baldissin; Sez. 6, n. 35930 del 16/07/2009, Iaria).

Quanto all’affermazione di responsabilità in ordine al reato di cui al capo 34, le censure del ricorrente appaiono generiche e comunque attinenti a profili di valutazione del merito, aspetto ineccepibilmente illustrato dalla sentenza impugnata (v. p. 13^ e 14^).

Infine, contrariamente a quanto dedotto, la Corte di appello non ha negato le attenuanti generiche sulla base di una valutazione di non affidabilità della formale condizione di incensuratezza, ma (pp. 19^ e 20^), ma, in positivo, considerando ostativi gli elementi della gravità e della reiterazione dei fatti, in perfetta consonanza con i parametri che il giudice di merito deve considerare in materia.

5. Alla inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in relazione alle questioni dedotte, si ritiene adeguato determinare in Euro mille ciascuno.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro mille in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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