Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-06-2012, n. 8935 Ordinanza ingiunzione di pagamento: opposizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza 19 aprile 2010, la Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma che aveva respinto l’opposizione proposta dal signor R.A. all’ingiunzione amministrativa emessa il 123 ottobre 2007 dal Collegio regionale di garanzia elettorale presso la Corte d’appello di Roma per il mancato deposito della dichiarazione prevista dalla L. n. 515 del 1993, art. 7, comma 6.

2. La corte ha osservato che la norma contenuta nella L. n. 515 del 1993, art. 7, comma 7, impone l’adempimento in parola ai candidati indipendentemente – dalla loro elezione, e pertanto anche dal concreto impegno – anche economico – profuso dal candidato nella competizione elettorale. Nessuna rilevanza potevano assumere le particolari ragioni che fossero alla base della candidatura, ivi compreso il riempimento della lista per spirito di partito e senza volontà di svolgere alcuna campagna elettorale.

3. Per la cassazione di questa sentenza ricorre il R. per due motivi, con atto notificato il 19 luglio 2010.

Il Collegio regionale di garanzia elettorale resiste controricorso.

Motivi della decisione

4. Con il primo motivo del ricorso si denuncia il vizio di motivazione su un fatto controverso e decisivo, e si espongono ragioni a sostegno di un’interpretazione della L. n. 515 del 1993, art. 7, commi 6 e 7, che escluderebbe l’obbligatorietà della dichiarazione in un sistema, qual è quello vigente, nel quale si vota per la lista e non vi sono voti di preferenza.

5. Il motivo, inammissibile per la censura di vizio di motivazione in relazione ad un’interpretazione di una norma di legge, sarebbe in ogni caso infondata seppure fosse stata proposta correttamente come falsa applicazione della L. n. 515 del 1993, art. 7. Il comma 7 della citata disposizione afferma che alla trasmissione al collegio regionale di garanzia elettorale della dichiarazione sono tenuti anche i candidati non eletti. L’abrogazione tacita di questa disposizione, nella quale si risolve la tesi interpretativa sostenuta dal ricorrente, non è giustificata dall’incompatibilità della norma sopravvenuta con quella anteriore.

6. Questa corte, poi, ha già avuto occasione di affermare il principio di diritto applicabile nella fattispecie che, in tema di sanzioni amministrative, l’omessa trasmissione della dichiarazione relativa alle spese elettorali sostenute e alle obbligazioni assunte per la propaganda elettorale, al Collegio Regionale di garanzia elettorale presso la Corte d’Appello di Roma, integra una violazione amministrativa, direttamente applicabile, della L. n. 441 del 1982, ex art. 2, comma 1, n. 3 e della L. n. 515 del 1993, art. 7, comma 7, anche nei confronti dei candidati non eletti (Cass. 18 luglio 2008 n. 19995).

7. Con il secondo motivo si censura per violazione della L. n. 689 del 1981, art. 3, l’affermazione del giudice di merito che il ricorrente non avesse provato di aver agito in assenza di colpevolezza, ricorrendo elementi idonei a ingenerare nell’autore della violazione il convincimento della liceità della sua condotta.

Si sostiene che la prova era costituita dalle ragioni poste a fondamento della sua interpretazione della norma contestatagli.

8. Il motivo è infondato. In fattispecie analoga, questa corte (Cass. 18 luglio 2008 n. 19995) ha affermato il principio di diritto, che qui deve essere ribadito, che l’error iuris, integrante causa di esclusione della responsabilità in tema d’infrazioni a norme amministrative, in analogia a quanto previsto, a seguito della sentenza n. 364 del 1988 della Corte Cost., dall’art. 5 c.p., rileva solo a fronte di un’inevitabile ignoranza del precetto violato, rapportata alla conoscenza o all’obbligo di conoscenza, generale o specifico, delle leggi che grava sull’agente, e all’induzione in esso per elementi positivi idonei a ingenerare in lui il convincimento della liceità del suo operato (cfr. Cass. 22 novembre 2006, n. 24803).

Nel caso in esame, lungi dall’esservi stata induzione in errore dell’odierno ricorrente, sul punto della liceità dell’omessa presentazione della dichiarazione concernente le spese sostenute e le obbligazioni assunte per la propaganda elettorale, vi è stata diffida ad adempiere da parte dell’organo competente, come ha correttamente osservato il giudice di merito.

9. In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio di legittimità sono a carico del soccombente, e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.700,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte Suprema di Cassazione, il 27 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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