Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-06-2012, n. 8931 Ammissione al passivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 30 agosto 2010 la signora S.A. P. proponeva opposizione, L. Fall., ex art. 99, allo stato passivo del fallimento In-Carto s.p.a. in liquidazione, dichiarato il 26 febbraio 2010 dal Tribunale di Genova: in cui il suo credito retributivo era stato ammesso per Euro 3304,00), al privilegio di cui all’art. 2751 bis cod. civ., n. 3 (somma corrispondente agli emolumenti dell’anno 2008) e per Euro 19.642,00 al chirografo, per provvigioni di agente.

Esponeva che si trattava, in realtà, di prestazioni lavorative svolte in favore della società nel territorio francese in forza di un contratto di rappresentanza V.R.P. (Voyager, Representant, Placier), caratterizzato da elementi di internazionalità e, come tale, disciplinato dalla legge francese, che assimilava il prestatore di tali attività a un lavoratore dipendente.

Costituitasi ritualmente, la curatela resisteva all’opposizione.

Con sentenza 19 novembre 2010 il Tribunale di Genova rigettava l’opposizione, con compensazione delle spese di lite.

Motivava:

– che il privilegio era riconosciuto dalla legge in considerazione della natura del credito e dipendeva quindi dalle caratteristiche della fattispecie;

– che ai fini dell’attribuzione del privilegio per crediti da lavoro subordinato non aveva rilevanza la qualificazione giuridica (che l’opponente intendeva attribuire in base alla legge francese), bensì l’elemento di fatto della subordinazione;

– che nel caso in esame la figura del V.R.P. non rispondeva al predetto requisito, essendo invece assimilabile all’agente autonomo o al procacciatore di affari, attivo entro una zona predeterminatatà, retribuito tramite provvigioni, senza previsione di un orario di lavoro: mentre non costituivano indizi presuntivi in senso contrario la stabilità del rapporto, compatibile con il contratto di agenzia, ed il rispetto delle istruzioni fornite dalla società IN-Carto, così come il godimento di tutele previdenziali e assistenziali garantite dalla legge francese.

Avverso il provvedimento, comunicato il 19 novembre 2010, la signora S. proponeva ricorso per cassazione articolato in cinque motivi, notificato il 20 dicembre 2010 ed ulteriormente illustrato con memoria, ex art. 378 cod. proc. civ..

Deduceva:

1) la violazione del Regolamento della Comunità europea numero 1346/2000 e la carenza di motivazione nel non ritenere applicabile la legge francese al suo rapporto contrattuale;

2) la violazione della L. n. 218 del 1995, art. 57, degli artt. 3 e 6 della Convenzione di Roma del Giugno 1980 e degli artt. 4 e 8 del Regolamento della Comunità europea 17 giugno 2008 n. 593;

3) la violazione delle norme sul giusto processo e sulla tutela del contraddittorio.

4) la violazione di legge nel mancato espletamento della consulenza tecnica d’ufficio;

5) la carenza di motivazione in relazione all’omesso riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato.

Resisteva con controricorso la curatela del fallimento In-Carto s.p.a..

All’udienza del 7 marzo 2012 il Procuratore generale e i difensori precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione del Regolamento della Comunità europea numero 1346/2000 e la carenza di motivazione.

Il motivo è infondato.

Anche a prescindere dal rilievo che la censura omette di indicare quali diverse conseguenze in ordine al privilegio richiesto sarebbero riconducibili alla normativa francese, si osserva come il Regolamento 29 maggio 2000 n. 1346 (Regolamento del Consiglio relativo alle procedure di insolvenza) all’art. 4 (Legge applicabile) attribuisce alla legge dello stato di apertura del fallimento la disciplina non solo degli effetti sui contratti in corso (art. 4, comma 2, lett. e), ma anche dei crediti da insinuare nel passivo (ibidem, lett. g) e delle disposizioni relative all’insinuazione, alla verifica e all’ammissione dei crediti (ibidem, lett. h). Pure riservate alla legislazione nazionale corrispondente al foro concorsuale sono le disposizioni che disciplinano la ripartizione del ricavato della liquidazione dei beni e del grado dei crediti: e cioè, proprio i presupposti per l’ammissione allo stato passivo e la relativa collocazione dei credito.

Il concorso con il successivo art. 10 (Contratti di lavoro) -secondo cui, "gli effetti della procedura di insolvenza sul contratto e sul rapporto di lavoro sono disciplinati esclusivamente dalla legge dello Stato membro applicabile al contratto di lavoro" – è solo apparente, perchè tale norma influisce solo sugli aspetti civilistici della continuazione, o no, del rapporto: diversi da quelli attinenti all’ammissione al passivo fallimentare.

Con il secondo motivo la ricorrente censura la violazione della L. n. 218 del 1995, art. 57, degli artt. 3 e 6 della Convenzione di Roma del Giugno 1980 e degli artt. 4 e 8 del Regolamento della Comunità europea 17 giugno 2008 n. 593.

Il motivo è infondato.

La Convenzione di Roma ed il Regolamento della Comunità europea 593/2008 non riguardano le procedure concorsuali, avendo il diverso oggetto di individuare la legge applicabile alle obbligazioni contrattuali. Si tratta, quindi, di norme di diritto internazionale privato che fanno riferimento al momento genetico e funzionale dei rapporti giuridici negoziali, al di fuori dell’ipotesi di una procedura di insolvenza: specificamente disciplinata, invece, dal precitato Regolamento 29 maggio 2000 n. 1346 del Consiglio della Comunità europea.

Anche il terzo motivo, relativo alla violazione delle norme sul giusto processo è infondato, dal momento che le regole del contraddittorio sono state rispettate nel processo di opposizione allo stato passivo, in cui l’opponente ha avuto modo, con l’atto introduttivo e la comparsa conclusionale, di svolgere compiutamente le proprie difese. Del resto, la ricorrente neppure allega un pregiudizio concreto al suo diritto di difesa, che le abbia impedito di sviluppare appieno le sue censure al provvedimento del giudice delegato.

Inammissibile appare il quarto motivo con cui ci si duole del mancato espletamento della consulenza tecnica d’ufficio richiesta.

Si tratta, infatti, di un mezzo istruttorio (e non di una prova vera e propria) sottratto alla disponibilità delle parti ed affidato al prudente apprezzamento del giudice, nell’ambito di un potere discrezionale il cui mancato esercizio può essere implicitamente motivato nel contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato (Cass. sez. lavoro, 21 Aprile 2010 n. 9461; Cass., sez. 3, 14 Novembre 2008 n. 27247; Cass., sez. 1, 5 Luglio 2007, n. 15219).

Nella specie, il Tribunale di Genova ha dato conto delle ragioni che portavano ad escludere la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, in carenza di alcuno degli indici di subordinazione ravvisabili nelle prestazioni svolte dalla signora S..

Oltre a ciò, la consulenza tecnica d’ufficio era stata richiesta dalla parte al fine di acquisire le norme e le disposizioni rilevanti nell’ordinamento francese, disciplinanti il rapporto di lavoro denominato di V.R.P.: per quanto detto, irrilevanti ai fini del giudizio.

Con l’ultimo motivo si lamenta la carenza di motivazione in relazione all’omesso riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato.

Ribadita l’applicabilità della legge italiana, ai fini della graduazione del credito ammesso allo stato passivo, la censura è inammissibile, risolvendosi in una difforme valutazione di merito del rapporto contrattuale, che non può trovare ingresso in sede di legittimità.

Il ricorso è dunque infondato e dev’essere respinto, con la conseguente condanna alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità delle questioni trattate.

P.Q.M.

– Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre le spese generali e gli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 7 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2012

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