Cons. Stato Sez. V, Sent., 28-12-2011, n. 6955 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il presente ricorso in appello (poi riassunto, a seguito di ordinanza di interruzione del giudizio) è proposto dai soggetti indicati in epigrafe, i quali impugnano la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Puglia con cui è stato rigettato un ricorso proposto in quella sede avverso la concessione edilizia n. 384/97 nonché l’autorizzazione edilizia, in variante, n. 6/98, rilasciate a favore del signor R. L. dal comune di Gioia Del Colle.

Gli appellanti premettono che:

– il signor G. S. F. è proprietario del piano terra del civico 52 di via Flora in Gioia del Colle;

– i coniugi T. L. e M. D. sono proprietari in comunione di un appartamento al primo piano di via Fosse Ardeatine n.42;

– la signora D. è proprietaria di altro appartamento al primo piano del medesimo condominio;

– tali immobili fanno parte di un edificio condominiale realizzato nel 1968, in assenza di Piano regolatore, adottato dal Comune di Gioia del Colle solo nel 1974 e entrato in vigore nel 1977;

– sull’area frontistante agli immobili predetti è stato avviato nel 1997 l’intervento edilizio del signor L. R., ai sensi dell’art. 37 delle N.T.A., assentito con concessione edilizia n.384/1997 avente ad oggetto demolizione e ricostruzione edificio in zona B1 di PRG con ubicazione in via Flora e oggetto di variante autorizzata con atto n.6/1998;

– l’edificio degli appellanti lungo tutto il confine a sud si sviluppa a piano terra con un muro cieco, dotato soltanto di alcune luci poste lungo il confine; invece al primo piano sino all’ultimo il muro perimetrale si arretra in due punti per una profondità di.4,5 metri ed una larghezza di circa 12 metri.. Negli spazi creati da tali arretramenti di notevoli dimensioni, il muro perimetrale è dotato di vedute ed ampi balconi realizzati allo scopo di dare aria e luce alle stanze che compongono i singoli appartamenti;

– al signor R. è stato assentito un intervento edilizio con le seguenti caratteristiche: quattro piani fuori terra, sul confine non solo al piano terra, ma anche su quasi tutto il confine ove l’edifico condominiale si arretra per la indicata profondità di metri 4,5 (in asserita violazione della distanza minima di 10 metri tra costruzioni); parte dell’erigendo fabbricato che su progetto in variante, è rappresentato in arretramento rispetto al confine sì da realizzare le due chiostrine, è posta a distanza inferiore a quella minima di 10 metri rispetto alle pareti finestrate dell’edifico condominiale; il progetto prevede inoltre che sul prospetto di via Flora il fabbricato si ponga a distanza irrisoria sia dalla predetta strada sia dal preesistente allineamento stradale rispetto al quale l’edificio deborda, a partire dal piano terra di circa mt.1,50

Alla luce di tali premesse, gli appellanti deducono

Violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, dell’art. 11 delle n.t.a. del p.r.g. di Gioia del Colle,nonché dell’art.873 cod.civ., riguardanti le distanze minime tra fabbricati; errore ed insufficiente ed errata motivazione;

Quanto alla autorizzazione in variante, omessa pronuncia, violazione dell’art. 15 del p.r.g. e dell’art. 4 della legge n. 493 del 1993, nonché insufficiente istruttoria; in quanto la variante richiesta (che modificava la volumetria, la sagoma e il prospetto) è stata assentita con semplice autorizzazione edilizia, mentre sarebbe occorsa una nuova concessione edilizia e per essere mancato il parere della commissione edilizia;

Violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e 13 delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale; poiché il progetto di demolizione e di ricostruzione non rispetta il principio dell’allineamento della via Flora;

Violazione e falsa applicazione dell’art. 11, lett. b), delle norme tecniche di attuazione del p.r.g.; per essere stato violato l’indice di densità fondiaria.

Il Comune di Gioia del Colle si costituisce in giudizio e resiste all’appello, rilevando come già all’epoca della licenza rilasciata ai ricorrenti esisteva l’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 che prescriveva una distanza minima dal confine.

Anche il controinteressato L. R. si costituisce in giudizio, chiedendo la reiezione dell’appello, rilevando, fra l’altro, che la richiesta variante era in diminuzione e che l’allineamento deve essere inteso come armonizzazione con l’esistente.

Gli appellanti presentano ricorso in riassunzione (dopo interruzione del giudizio) e memorie successive, con le quali, ulteriormente argomentando e contestando le memoria avversarie, insistono per l’accoglimento dell’appello.

Tra l’altro viene rilevato che la Corte di appello di Bari, in procedimento per denuncia di nuova opera, ha confermato la sentenza di primo grado recante dichiarazione di illegittimità dell fabbricato del R., per violazione delle distanze, quanto ai piani superiori al primo.

La causa passa in decisione alla pubblica udienza del 29 aprile 2011.

Motivi della decisione

1.L’appello non è fondato.

2.Va anzitutto rilevato che in via di principio i proprietari di fabbricati vicini possono chiedere il rispetto delle norme che prescrivono distanze tra le costruzioni innanzi al giudice ordinario, allorquando la controversia sia instaurata nei soli confronti di altri soggetti privati, vertendosi in tal caso su questioni di diritto soggettivo, ovvero innanzi al giudice amministrativo quando sia contestata la legittimità del titolo abilitativo rilasciato in violazione delle norme sulle distanze, vertendosi in tal caso in tema di interessi legittimi. (cfr.Consiglio Stato, sez. IV, 16 novembre 2007, n. 5837)

Il fatto che la Corte di appello di Bari (con sentenza, peraltro,impugnata per Cassazione), abbia dichiarato illegittimo il fabbricato del R., per violazione delle distanze, non ha pertanto rilievo determinante nel presente giudizio, sia perché la sentenza non è passata in giudicato, e sia, soprattutto perché la vicenda contenziosa portata alla cognizione del giudice ordinario riguarda comportamenti di privati e non pregiudica la questione pubblicistica circa la legittimità della concessione e della autorizzazione a suo tempo rilasciate dal Comune di Gioia del Colle al signor R..

3. In appello i ricorrenti ripropongono anzitutto il terzo motivo di prime cure, respinto dal TAR, che al riguardo ha rilevato "se è pur vero che l’art.11 delle NTA ha previsto per l’edificazione nella zona di completamento B/1, dove è ubicato il suolo di proprietà del concessionario, la distanza minima assoluta di 5 metri dal confine ed un distacco minimo di 10 metri tra i fabbricati, non può tuttavia passarsi sotto silenzio che, alla stregua dell’art.6 delle NTA di quello stesso PRG "nel caso di edifici preesistenti costruiti a muro cieco su confine, le nuove costruzioni possono essere edificate in aderenza" Di conseguenza, nessun pregio hanno le censure dei confinanti, giacchè l’autorizzazione del concessionario ad edificare sul confine è del tutto conforme alle indicazioni del NTA, essendo egli a ciò facultato dalla norma surriportata stante la presenza dell’immobile dei ricorrenti su quello stesso confine.

Questi ultimi, inoltre, avendo iniziato la loro costruzione sulla linea di confine non hanno titolo per denunciare che il nuovo fabbricato non osserverà la distanza di 10 metri nella parte in cui si discosterà di piani realizzati in arretramento al piano inferiore dell’immobile dei ricorrenti.

Invero – in tali termini è l’avviso costante della giurisprudenza (cfr. Cass.civ. 5 marzo 1987, n.2328) – non può impedire al vicino di costruire in appoggio o in aderenza chi ha costruito avvalendosi della facoltà di costruire sul confine, ma non si sia arretrato dal confine più di tre metri o della maggiore distanza stabilita dal regolamento edilizio.Circostanza quest’ultima insussistente nella specie, dal momento che, per ammissione dei ricorrenti, i piani finestrati del loro immobile si discostano di mt.4,5 dall’edificio del concessionario; al di sotto, dunque del distacco minimo di mt.5 fissato dall’art.11 delle NTA del PRG"

Al riguardo gli appellanti deducono che:

– la loro costruzione è stata assentita con licenza 28 agosto 1968 n.129 diversi anni prima la definitiva approvazione del PRG e quindi nella vigenza dell’art.873 cod. civ. che stabiliva la distanza minima di tre metri tra edifici; erroneamente il TAR ha invece preso in considerazione le sopravvenute norme di piano, non rilevanti rispetto alla posizione di essi appellanti, che ben potevano costruire all’epoca il piano terra sul confine e in sopraelevazione ad una distanza ben superiore a tre metri (metri 4,50)

– ne ha rilievo in materia di distacco tra costruzioni la circostanza che nel progetto in vertenza si frappongano spazi interni (peraltro erroneamente rappresentati come chiostrine); gli spazi in contestazione sono infatti irrilevanti ai fini del calcolo sulle distanze

– l’art. 6 delle NTA riguarda solo l’ipotesi in cui le nuove costruzioni siano edificate in aderenza e in ogni caso non può interpretarsi sino a consentire la realizzazione di un intero edificio a distanza inferiore a quella consentita; il R. poteva edificare in aderenza soltanto a piano terra e non anche sul confine lungo gli arretramenti caratterizzanti il fabbricato degli appellanti;

– l’art. 9 del Dm n.1444 del 1968 poi prescrive tra pareti finestrate la distanza minima di 10 metri, senza peraltro alcun altra specificazione o riferimento alla posizione del confine e dunque ricomprendendo anche il caso di sopraelevazione.

Gli appellanti sostengono poi che i principi in materia di prevenzione affermati nel precedente giurisprudenziale citato dal TAR (Cass. N.2328 del 1987) si fondano sui seguenti presupposti:

1) il preveniente che abbia iniziato la costruzione sul confine si sia arretrato ai piani superiori a distanza inferiore a quella minima consentita in quel momento dalla legge o dal regolamento;

2) sia il preveniente che il prevenuto, nella realizzazione delle rispettive costruzioni, siano soggetti alla stessa disciplina sulle distanze.

Tale ultimo assunto si basa sul rilievo che all’epoca del rilascio delle licenze edilizie (1968 e 1970) agli odierni appellanti e danti causa si applicava il solo art.873 cod.civ. (metri tre quale distanza minima tra fabbricati), ampiamente rispettato dai medesimi che avevano costruito sul confine solo il piano terra e, grazie agli arretramenti, a metri 4,50 dal confine

Osserva tuttavia il Collegio che in realtà all’epoca, in difetto di norme regolamentari, doveva applicarsi la norma del d.m. del 1968, n. 1444 (art.9), concernente la distanza minima di dieci metri tra edifici finestrati e, per dato logico, in assenza di tali edifici, di 5 metri dal confine. E’ pur vero che l’art.9 citato è nella sua formulazione rivolto ad indirizzare la pianificazione urbanistica (formazione degli strumenti urbanistici), ma è altrettanto vero che in assenza di norme locali esso è direttamente applicabile in sede di rilascio degli assensi edilizi.

In proposito va richiamato il principio giurisprudenziale secondo cui in materia di distanze tra nuove costruzioni, quando il regolamento edilizio comunale presenta una lacuna normativa, la disciplina applicabile è quella contenuta nell’art. 41 quinquies della l. n. 1150 del 1942 che richiama l’art. 9 d.m. 2 aprile 1968 n. 1444, ed ha natura di norma integrativa dell’art. 873 c.c….. "nel sistema della gerarchia delle fonti, la normativa applicabile… non è più l’articolo 873 del codice civile…bensì proprio il D.M. 1444/68, il quale è stato emesso in esecuzione del citato art. 41 quinquies l. 1150/42 e ripete dal rango della stessa legge delegante la forza di integrare l’art. 873 c.c"(cfr.Consiglio Stato, sez. V, 23 maggio 2000, n. 2983)

L’art. 9 non era stato rispettato dagli appellanti, avendo gli stessi, come detto, costruito il primo piano sul confine e in sopraelevazione a mt, 4,50, per cui proprio questo fatto determina la possibilità della costruzione assentita senza il rispetto della distanza già violata.

Con questa motivazione va confermata la sentenza di primo grado, osservandosi che per quanto detto la normativa in materia di distanze nel periodo ricompreso tra il 1968 e il 1998 non era nella sostanza mutata al di là dei diversi riferimenti formali; (v. in particolare il sopravvenuto art. 6 delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale del Comune).

Resta assorbita in queste considerazioni ogni ulteriore questione, e in particolare quella concernente la valutabilità in termini di arretramento delle chiostrine che alla stato degli atti risultano realizzate dall’appellato e dagli stessi appellanti (o loro danti causa). Quanto a questi ultimi la costruzione come detto non presenta una linea unica, ma è caratterizzata da "chiostrine", vale a dire da rientranze dalla linea di ultimo avanzamento, con aperture finestrate, che però distano metri 4,5 dal confine (e non cinque metri, come avrebbe dovuto essere).L’approfondimento, anche istruttorio, della questione non sembra dunque incidere sulla legittimità degli atti in vertenza, salva ovviamente al riguardo ogni valutazione del giudice ordinario quanto ai rapporti privatistici.

4. Quanto ai vizi della concessione edilizia, gli appellanti non ripropongono quello circa l’asserita carenza del previo parere della Commissione edilizia comunale, motivo disatteso dal TAR sul rilievo che ai sensi dell’art.4 della legge n.493/1993, è legittimo il rilascio della concessione edilizia anche quando la Commissione edilizia non si sia espressa al riguardo, se – come nella vicenda in esame – presentata l’istanza di concessione, nei successivi sessanta giorni l’anzidetto organo consultivo non abbia esaminato la richiesta.

5.Per quanto concerne la variante alla concessione edilizia, non si rilevano in essa mutamenti rispetto al progetto originario tali da non consentire un’approvazione mediante semplice autorizzazione; in particolare la variante medesima è in diminuzione volumetrica, per cui l’impatto urbanistico che ne risulta è ben inferiore a quello originario; conseguentemente, per la suddetta autorizzazione non era necessario il parere della commissione edilizia comunale.

6.Per quel che concerne l’allineamento con via Flora e il rispetto dell’indice fondiario, è corretta la motivazione del primo giudice, in quanto sia l’allineamento che il rispetto dell’indice fondiario vanno esaminati non in assoluto ma come armonizzazione del nuovo all’esistente, nel senso che gli stessi edifici, nei limiti del compatibile, non possono deviare né dalla regola allineativa, determinando strozzature o curvazioni, né fuoriuscita dalla media dell’indice fondiario della zona, che è l’unico parametro di riferimento.

7.L’appello allo stato degli atti va, pertanto, respinto.

Sussistono, comunque, in considerazione della particolarità della fattispecie, giusti motivi per compensare fra le parti costituite le spese di giudizio del presente grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,

rigetta l’appello;

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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