Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-06-2012, n. 8923 Indennità di espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Salerno, con sentenza del 19 aprile 2000, determinava nella misura di L. 103.698,840, l’indennità dovuta dal Comune di Pertosa a D.M.V., anche n.q. di procuratrice dei figli R., G. e D.M.D., per l’occupazione temporanea e d’urgenza di un terreno di loro proprietà, disposta con decreto del 22 maggio 1990 e protrattasi fino al 1997, osservando: a) che l’indennità doveva calcolarsi con il criterio degli interessi legali sull’indennità di espropriazione determinata ai sensi della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, trattandosi di suolo edificabile; b) che avendo la stessa Corte in altro giudizio valutato l’immobile con riferimento all’anno 1983 ad un prezzo di L. 46.000 al mq., era sufficiente attualizzare tale prezzo, rivalutandolo al 1997, in base agli indici ISTAT dei prezzi al consumo, così ottenendo il valore unitario di L. 98.600 al mq..

Per la cassazione della sentenza la D.M., anche nella predetta qualità, proponeva ricorso per un motivo, cui resisteva con controricorso il Comune di Pertosa, che a sua volta formulava ricorso incidentale per un motivo.

Con sentenza n. 3395 del 2004, questa Corte di legittimità respingeva il ricorso principale della D.M., ed in accoglimento, invece, del ricorso incidentale del Comune, cassava con rinvio l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto.

Questa Corte affermava:

– che la D.M., denunciando la violazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis si era doluta che la Corte di appello avesse determinato l’indennità di occupazione con il criterio degli interessi legali commisurati all’indennità virtuale di espropriazione invece che al valore venale dell’immobile;

– che la censura era infondata, in quanto l’indennità di occupazione doveva essere liquidata in misura corrispondente ad una percentuale dell’indennità che era (o sarebbe stata) dovuta per l’espropriazione dell’area occupata, calcolata secondo i criteri per questa fissati dall’ordinamento positivo. Ne derivava che, ove l’occupazione di un’area fosse stata preordinata ad un’espropriazione la cui indennità, come nella specie, avesse dovuto essere determinata in base al criterio fissato dal citato art. 5 bis, l’indennità di occupazione doveva essere fissata in misura percentuale, eventualmente corrispondente al saggio degli interessi legali per ciascun anno di occupazione, computata sulla somma risultante dall’applicazione del suddetto criterio indennitario espropriativo;

che con il ricorso incidentale, il Comune di Pertosa, denunciando altra violazione dello stesso art. 5 bis, L. n. 359 del 1992, aveva censurato la sentenza impugnata per aver calcolato il valore dell’immobile semplicemente rivalutando quello accertato nel 1983 in altra controversia, invece di determinarlo in base alla locale situazione di mercato, all’epoca dell’ablazione del bene;

che tale motivo era fondato, dal momento che le possibilità edificatorie, legali ed effettive, da considerare della L. n. 359 del 1992, ex art. 5 bis, nell’ipotesi di occupazione temporanea e d’urgenza di cui alla seconda parte della L. n. 2359 del 1865, art. 71, comma 1 ed alla L. n. 865 del 1971, art. 20, andavano valutate al momento dell’adozione del decreto di occupazione che la disponeva, nella specie avvenuta in data 22 maggio 1990, atteso che proprio l’emissione di questo provvedimento, comportando il trasferimento in capo all’occupante di tutte le facoltà connesse al godimento del fondo, configurava la trasformazione del correlativo diritto del proprietario in diritto all’indennizzo, ex art. 42 Cost.;

che siccome il diritto all’indennità di occupazione (la quale andava liquidata in misura pari ad una percentuale, per ciascun anno di occupazione, dell’indennità "virtuale" di espropriazione) maturava al compimento di ogni singola annualità, a ciascuno di questi momenti doveva essere calcolato il parametro di riferimento, che (per le aree fabbricabili) teneva conto, come termine da mediare, del valore venale attuale del bene (secondo il criterio di cui al D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, conv., con modif., nella L. n. 359 del 1992, art. 5 bis), passibile nel tempo di variazioni dipendenti dalla vicenda dello specifico mercato immobiliare di riferimento (nonchè dell’aumento del costo della vita), con la conseguenza che, se la determinazione monetaria del valore venale del bene avesse subito variazioni apprezzabili nello sviluppo dell’occupazione legittima e registrabili alle singole consecutive scadenze annuali, ad ogni scadenza doveva procedersi al calcolo virtuale dell’indennità di espropriazione per commisurare ad essa l’indennità di occupazione in quel momento maturata ed esigibile.

Con sentenza del 12,03- 4.05.2010, la Corte di appello di Napoli, decidendo in sede di rinvio, determinava la giusta indennità di occupazione legittima in Euro 122.645,15 oltre interessi, disponendone il deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti e condannando il Comune a rifondere alla controparte i 2/3 delle spese processuali inerenti all’intero giudizio, compensate per la residua parte.

La Corte territoriale osservava e riteneva:

che occorreva determinare l’indennità di occupazione legittima relativamente al periodo 22.05.1990- 19.07.1997;

– che nelle more, con sentenze nn. 348 e 349 del 24/10/07, la Corte Costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, commi 1, 2 e art. 7 bis, per cui in ipotesi, come quella in esame, di occupazione temporanea di suoli intervenuta anteriormente al 30/09/1996, occorreva liquidare il danno in misura pari al valore venale del bene, come previsto dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 89 (L. finanziaria 2008), che aveva modificato l’art. 37, commi 1 e 2, l’art. 45, l’art. 20, e l’art. 55, comma 1, TU espropriazioni n. 327/01, per espressa disposizione applicabile ai giudizi in corso;

che, pertanto, si era nella giuridica impossibilità di applicare il principio di diritto emanato dalla Cassazione nella parte in cui era stato affermato che l’indennità andava determinata sulla base dell’indennità virtuale di esproprio, calcolata ai sensi della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis norma dichiarata incostituzionale;

che, quindi, occorreva adottare come parametro di calcolo il valore venale del bene al momento dell’occupazione, ovvero al 22/05/1990 ed alle singole scadenze annuali in cui era maturato il diritto, in ipotesi di variazione di detto valore che andava esclusa, nella fattispecie in esame, la riduzione del 25% del valore venale, prevista dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, come modificato, in ipotesi di "interventi di riforma economico sociale", non ravvisandosi alcun intervento di tal specie nell’esproprio in oggetto, effettuato per il compimento di singoli edifici, sia pure di interesse pubblico;

che ai fini della determinazione del valore venale del fondo alla data dell’occupazione, dovevano essere recepite le ben motivate conclusioni del nominato ctu, che aveva esaminato le caratteristiche dell’area, sita nella zona di maggior pregio e valore del centro di Pertosa, aveva escluso la proficua utilizzazione del metodo sintetico- comparativo, valutati anche gli elementi forniti dai c.t.p. ed applicato il metodo c.d. analitico-ricostruttivo, nonchè considerato le variazioni del valore di mercato intervenute nel corso degli anni di protrazione dell’occupazione legittima e quindi calcolato la relativa indennità alla stregua degli interessi legali computati anno per anno.

Avverso questa sentenza il Comune di Pertosa ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi e notificato il 29.11.2010 alla D. M., che in proprio e nella qualità di procuratrice generale dei figli R., G. e D. ha resistito con controricorso notificato il 7.01.2011.

Motivi della decisione

A sostegno del ricorso il Comune di Pertosa denunzia:

1. "Violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3). Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5)".

Assume che la Corte distrettuale non si è attenuta al principio di diritto affermato da questa Corte, nel punto in cui ha recepito le valutazioni del CTU, il quale aveva aggiornato anno per anno il valore di mercato (per tener conto delle singole scadenze annuali dell’occupazione) "assumendo a riferimento gli indici dei costo di costruzione e gli indici nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati, entrambi rilevati dall’ISTAT".

Il motivo è privo di pregio.

Il giudice del rinvio risulta avere determinato l’indennità di occupazione legittima alla stregua degli interessi legali computati anno per anno sull’indennizzo espropriativo virtuale, calcolato in base al valore venale del terreno, a tale ultimo riguardo recependo la valutazione espressa dal C.T.U., con applicazione del metodo c.d.

analitico-ricostruttivo in luogo del metodo sintetico comparativo. In rapporto all’utilizzato metodo analitico ricostruttivo, che come è noto perviene a determinare il valore dell’area non già in base al prezzo pagato per immobili omogenei, e dunque avvalendosi di indicazioni del mercato, ma depurando il valore dell’edificato dal costo di costruzione, la censura dedotta dal ricorrente risulta involgere l’aggiornamento dei considerati costi di costruzione e non già la variazione delle quotazioni del mercato immobiliare cui la sentenza di questa Corte aveva intesi riferirsi, sicchè se da un canto non appare integrata la rubricata violazione di legge, dall’altro generica, apodittica e priva di autosufficienza si rivela la denuncia di vizi motivazionali.

2. "Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3). Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5)".

Sostiene che il nuovo e superiore indennizzo non poteva essere attribuito senza violare il divieto della reformatio in pejus ed il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, visto che con la sentenza di cassazione era stato respinto il motivo di appello dei proprietari, volto al conseguimento dell’indennizzo in questione come commisurato al valore venale del terreno occupato e non già al valore determinato in base ai criteri prescritti dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis.

Il motivo non è fondato.

Va sottolineato che la Corte di merito si è ineccepibilmente attenuta al principio di diritto secondo cui l’obbligo del giudice di rinvio di uniformarsi alla "regula juris" enunciata dalla Corte di cassazione a norma dell’art. 384 cod. proc. civ., viene meno quando la norma da applicare, in aderenza a tale principio, sia stata successivamente abrogata, modificata o sostituita per effetto di "jus superveniens" ovvero dichiarata costituzionalmente illegittima con sentenza della Corte costituzionale pubblicata dopo la sentenza rescindente, dovendo in questo caso farsi applicazione, rispetto ai fatti già accertati nelle precedenti fasi del processo, di detto "ius superveniens" costituito dalla sentenza della Corte costituzionale che travalica il principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione.

Tanto premesso, il motivo del disatteso ricorso per cassazione proposto dalla D.M., aveva rimesso in discussione proprio il criterio legale utilizzato dalla sentenza determinativa dell’indennità di occupazione legittima, invece confermato, e poi superato in sede di rinvio per effetto della declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 5 bis cit., che aveva reso applicabile in tale sede il sopravvenuto, nuovo e più favorevole criterio legale di liquidazione (anche e per conseguenzialità) dell’indennità in questione. Nè la ribadita pretesa al conseguimento dell’indennizzo liquidato nella misura di legge può ritenersi essere stata delimitata nell’entità del dovuto in ragione del contenuto del trascritto passo delle conclusioni precisate dalla medesima ricorrente nel ricorso per cassazione, in cui al richiamo alla quantificazione del valore venale determinato dal primo giudice (e poi dimidiato), appare nel contesto attribuibile senso esplicativo delle vicende processuali piuttosto che inequivoco significato contenitivo dell’ammontare preteso.

3. "Violazione e falsa applicazione del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 50 e succ. mod. ed integr. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3). Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5)".

Sostiene che l’indennità di occupazione è stata illegittimamente determinata secondo il criterio degli interessi legali, laddove invece avrebbe dovuto applicarsi il diverso e meno favorevole criterio di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 50.

Il motivo non ha pregio alla luce della disciplina transitoria prevista dall’art. 57 del citato TU, per la quale il rubricato art. 50 è inapplicabile nei procedimenti espropriativi in cui la dichiarazione di pubblica utilità sia stata emessa, come nella fattispecie, prima del 30 giugno 2003.

Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con condanna del Comune soccombente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il Comune di Pertosa a rimborsare alla D.M. le spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 6.200,00, di cui Euro 6.000,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2012

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