Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-06-2012, n. 8922 Opposizione al valore di stima dei beni espropriati

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 16.04.2004, F.A. proponeva, dinanzi alla Corte di appello di Bari e nei confronti del Comune di Barletta e dell’Ufficio Lavori Pubblici del medesimo ente locale, opposizione alla stima, chiedendo che fossero determinate le giuste indennità di espropriazione definitiva, intervenuta con Decreto 2 dicembre 1994, n. 59 e di occupazione legittima, procedimenti inerenti a terreni edificabili di cui era proprietario e che l’ente locale aveva destinato alla realizzazione di un edificio scolastico, localizzato sull’area A ex macello comunale Con sentenza del 30.06-30.07.2009, la Corte di appello di Bari determinava l’indennità di espropriazione in complessivi Euro 490.047,28 e l’indennità di occupazione legittima in Euro 244.335,35, somme entrambe da maggiorare degli interessi legali e da depositare per gli importi differenziali, presso la Cassa Depositi e Prestiti, condannando il Comune al pagamento delle spese del grado.

La Corte territoriale osservava e riteneva:

che l’unico effettivo contraddittore della domanda introduttiva del F. fosse il Comune di Barletta, essendo l’Ufficio Lavori Pubblici, quale articolazione del medesimo Comune, privo di soggettività autonoma a rilevanza esterna;

che l’esproprio concerneva un’area edificabile e pertanto la relativa indennità, a seguito della pronuncia d’illegittimità costituzionale della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis doveva calcolarsi con i nuovi criteri introdotti dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89, lett. a) (legge finanziaria 2008), che aveva modificato il D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37 e che per effetto di quanto disposto dal successivo comma 90 si rendeva applicabile anche al giudizio in corso;

che il procuratore del F. aveva correttamente adeguato la sua domanda alle nuove previsioni normative, provvedendo tempestivamente a modificare le sue conclusioni in occasione della prima difesa utile successiva alla declaratoria d’incostituzionalità della L. L. n. 359 del 1992, art. 5 bis e della riforma dell’art. 37 citato";

che il valore di mercato dei terreni occupati ed ablati poteva essere determinato in aderenza alle valutazioni espresse dal CTU, il quale:

a) aveva evidenziato che i fondi avevano natura edificatoria e soddisfacevano caratteristiche urbanistiche che ne avrebbero consentito l’inserimento nel piano di lottizzazione dell’area, se non utilizzati per la costruzione dell’edificio scolastico a cui era stata preordinata l’espropriazione;

b) aveva chiarito sia la ragione per cui aveva scelto a comparazione uno solo degli atti di compravendita da lui esaminati, ossia in quanto esso era temporalmente vicino al decreto di esproprio e si riferiva a zone tipizzate secondo la medesima destinazione urbanistica (zona F), e sia di non aver tenuto conto nella sua valutazione dell’incidenza del piano di lottizzazione che aveva certo determinato un ben più importante incremento delle aree, tant’è che mentre la stima di perizia aveva quantificato il valore dell’area in Euro 146,69 mq (L. 284.024), in un successivo atto di compravendita concluso nel libero mercato una stessa area tipizzata come zona F era stata venduta nell’anno 1999 ad Euro 684,05 (L. 1.324.503) e poi nel 2000 ad Euro 788,83 mq (L. 1.527.388);

che si doveva concludere per una particolare oculatezza della relazione di stima, che aveva opportunamente trascurato di considerare il surplus di valore maturato su aree similari negli anni successivi, come conseguenza dell’edificazione di fatto sulle aree contigue lottizzate;

che essendo lo stimato valore venale delle aree ablate di gran lunga superiore a quello offerto dal Comune a titolo di indennità provvisoria di espropriazione, doveva anche essere applicato il previsto (art. 37 comma 2 del TU, come modificato dal comma 89 della L. n. 244 del 2007) aumento del 10% di detto valore, con interessi legali dalla data dell’esproprio e senza riconoscimento del maggior danno ex art. 1224 c.c.;

che l’indennità per il periodo di occupazione legittima, protrattosi dal 20.12.1988 al 5.12.1994, doveva essere calcolata in base al criterio previsto dall’art. 50 del TU, ossia in 1/12 ad anno dell’indennità di esproprio e maggiorata degli interessi legali.

Avverso questa sentenza il Comune di Barletta ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi e notificato l’8.09.2010 all’Ufficio Lavori Pubblici del Comune stesso ed il 9.09.2010 al F., che con atto notificato il 25.10.2010, ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.

Motivi della decisione

Deve essere preliminarmente disposta ai sensi dell’art. 335 c.p.c., la riunione dei ricorsi principale ed incidentale, proposti avverso la medesima sentenza.

A sostegno del ricorso principale il Comune di Barletta denunzia:

1. "Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 2, come novellato dalla L. 4 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 89, lett. a), in combinato disposto con l’art. 2, comma 90 della medesima legge e del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 57, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3".

Contesta l’applicato aumento percentuale del 10%, assumendo che si è fatto malgoverno della novellata normativa e segnatamente della relativa disciplina intertemporale, per la quale detto incremento non era dovuto.

2. "Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 2, come novellato dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 89, lett. a), in combinato disposto con l’art. 2, comma 90 della medesima legge in relazione all’art. 112 c.p.c. ed all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4".

In via subordinata rispetto alla censura dedotta con il primo motivo, sostiene che l’incremento del 10% non era dovuto anche per difetto della domanda del F. di relativa attribuzione.

Il primo motivo del ricorso principale è fondato; al relativo accoglimento segue anche l’assorbimento del secondo motivo del medesimo ricorso.

Questa Corte ha ripetutamele affermato anche a sezioni unite: a) che dopo la declaratoria di incostituzionalità dei primi due commi, art. 5 bis ad opera della sentenza 348/2007 della Corte Costituzionale è tornato a trovare applicazione ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione, il criterio del valore venale del bene previsto dalla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39, sostanzialmente corrispondente con la riparazione integrale in rapporto ragionevole con il valore venale del bene garantita dall’art. 1 del Protocollo allegato alla Convenzione europea, nell’interpretazione offerta dalla Corte EDU; b) che non è invocabile neppure lo ius superveniens costituito dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, commi 89 e 90, sia perchè la nuova norma avendo introdotto modifiche al D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37, commi 1 e 2, segue la disciplina transitoria prevista dall’art. 57, D.P.R. cit., ed è quindi inapplicabile nei procedimenti espropriativi in cui la dichiarazione di pubblica utilità sia stata emessa, come nella fattispecie, prima del 30 giugno 2003; sia perchè la norma intertemporale di cui al menzionato comma 90 prevede una limitata retroattività della nuova disciplina di determinazione dell’indennità di espropriazione solo con riferimento "ai procedimenti espropriativi" e non anche ai giudizi in corso (Cass. sez. un. 5269/2008, nonchè 11480/2008 e successive). Ha evidenziato altresì la corrispondenza di questa opzione ermeneutica con la giurisprudenza della Corte Edu, nonchè della Grande Chambre della Corte, la quale, pur non escludendo che in materia civile una nuova normativa possa avere efficacia retroattiva, ha ripetutamente considerato lecita l’applicazione dello ius superveniens in causa soltanto in presenza di "imperieux motifs d’interet generai" e che si deve applicare la regola generale del menzionato art. 39 della legge fondamentale anche per il principio più volte ricordato dalla Corte Costituzionale che sul giudice comune grava l’obbligo di interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti in cui ciò sia permesso dal suo tenore. E tanto è sufficiente ad escludere il dubbio manifestato dal resistente circa la legittimità costituzionale della non applicazione della menzionata nuova disposizione premiale del 2007 ai giudizi in corso ed antecedenti alla disciplina del T.U., che per quanto detto è conforme ai principi enunciati dalla CEDU e perciò stesso al precetto dell’art. 117 Cost. e che d’altra parte non viola il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., invocabile in situazioni che si svolgono nell’ambito della medesima dimensione temporale, non già quando si abbia il succedersi nel tempo di situazioni diversamente regolate (Cass. 25862/2011; 16062/2004;

8031/2002; 14223/2000).

Pertanto la Corte distrettuale doveva applicare non già il criterio introdotto dalla menzionata L. n. 244 del 2007, con il sistema dell’avversata maggiorazione, ma la regola generale del menzionato art. 39 della legge fondamentale per il quale "la indennità dovuta all’espropriato consisterà nel giusto prezzo che a giudizio dei periti avrebbe avuto l’immobile in una libera contrattazione di compravendita", regola aderente anche al disposto dell’art. 42 Cost..

Con il ricorso incidentale il F. deduce "Violazione della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5". Censura la determinazione del valore venale unitario del terreno occupato ed ablato, sostenendone sia l’incongruità in ragione delle caratteristiche del bene e della lievitazione di prezzo rinveniente dall’inclusione nel Piano di lottizzazione all’epoca in corso di approvazione e sia l’inadeguato supporto argomentativo, essendo stata fondata sul metodo sintetico comparativo con indicazione di un solo atto, temporalmente più vicino alla data del decreto di esproprio, senza considerare tutti gli atti di compravendita acquisiti nel giudizio, riguardanti la stessa zona ed intervenuti prima e dopo l’approvazione del piano di lottizzazione.

Il motivo non ha pregio, sostanziandosi in rilievi critici o inammissibili, generici e privi anche di autosufficienza in ordine agli atti che si assumono trascurati o infondati essendo affidati al richiamo di variante urbanistica non ancora vigente alla data di emanazione del decreto di espropriazione, nella specie emesso il 2.12.1994, quando, invece, a tale momento occorreva fare riferimento nella determinazione della condizione urbanistica dei beni e degli indennizzi in questione.

Conclusivamente si deve accogliere il primo motivo del ricorso principale con assorbimento del secondo motivo del medesimo ricorso, rigettare il ricorso incidentale, cassare la sentenza impugnata nei limiti del motivo accolto, con rinvio alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, cui si demanda anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riuniti i ricorsi principale ed incidentale, accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata nei limiti del motivo accolto e rinvia anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2012

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