Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 28-09-2011) 22-11-2011, n. 43015 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il GUP del Tribunale di Noia, all’esito di giudizio celebrato con il rito abbreviato, condannava, per la parte che qui rileva, C. M. alla pena complessiva di anni quattro e mesi quattro di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa, per il reato continuato di cui agli artt. 81 cpv. e 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 (plurime cessioni di sostanza stupefacente del tipo cocaina), in concorso con A.G. (giudicato separatamente).

A seguito di gravame ritualmente proposto, la Corte d’Appello di Napoli confermava l’affermazione di colpevolezza, e, previa concessione delle attenuanti generiche, riduceva la pena. La Corte distrettuale motivava la propria decisione, in risposta alle deduzioni dell’appellante, ai fini della conferma dell’affermazione di colpevolezza, sottolineando che: a) l’acquirente della sostanza, P.E., aveva precisato che il marito della donna e suo abituale rifornitore di droga, A.G. (all’epoca dei fatti detenuto agli arresti domiciliari), gli aveva fornito il numero del telefono della C. impiegata quale corriere per la consegna della droga; b) la C. era stata arrestata nella flagranza del reato dopo che il P. era stata posto in contatto con lei mediante l’indicazione di un nuovo numero telefonico; c) la tesi difensiva – circa un adombrato stato di confusione mentale del P. – si risolveva in una mera congettura in mancanza di qualsiasi concreto elemento di riscontro. Sul piano sanzionatorio, la Corte territoriale evidenziava che la C. appariva meritevole delle attenuanti generiche, ma non del riconoscimento della speciale attenuante della lieve entità del fatto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, avuto riguardo al quantitativo della sostanza sequestrata, del principio attivo della stessa quale accertato con l’esame tossicologico disposto nel corso delle indagini preliminari, e delle modalità della condotta dell’imputata.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’imputata, a mezzo del difensore, deducendo violazione di legge e vizio motivazionale con censure che possono così riassumersi: a) inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal P. posto che costui, essendosi disfatto della droga insieme ad altro soggetto alla vista dei Carabinieri, aveva palesato un atteggiamento quanto meno sospetto ed avrebbe dovuto dunque essere considerato indiziato di acquisto di droga a scopo non esclusivamente personale, anche perchè la C. era stata trovata in possesso di altra droga oltre a quella ceduta ai due giovani, e, conseguentemente, avrebbe dovuto essere sentito con l’assistenza di un legale; b) vizio di motivazione in ordine all’affermazione di colpevolezza, non avendo la Corte distrettuale fornito adeguata risposta alle doglianze della difesa laddove era stata prospettata l’inattendibilità delle dichiarazioni del P. perchè confuse e contraddittorie; c) vizio di motivazione in ordine al diniego dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 avuto riguardo, in particolare, al fatto che la C., stando alle stesse dichiarazioni del P., avrebbe ceduto droga a quest’ultimo solo in due occasioni ed avrebbe agito sostanzialmente quale "delegata" dal marito peraltro anch’egli assuntore di droga.

Motivi della decisione

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per le ragioni di seguito indicate. Manifestamente infondata è l’eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall’acquirente della droga: dagli atti non si rilevano, invero, concreti elementi fattuali da cui inferire che a carico di detta persona già sussistessero indizi di reità al momento del rilascio delle dichiarazioni; da ricordare che le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza pronunciata in data 22 febbraio 2007 (in proc. Morea), hanno precisato che il soggetto al quale è stata ceduta sostanza stupefacente deve essere sentito, dal P.M. o dalla P.G. nel corso delle indagini preliminari, come persona informata dei fatti. Questa Corte ha altresì avuto modo di affermare il seguente condivisibile principio; l’inutilizzabilità assoluta, ai sensi dell’art. 63 c.p.p., comma 2, delle dichiarazioni rese da soggetti i quali fin dall’inizio avrebbero dovuto essere sentiti in qualità di imputati o di persone sottoposte a indagini, richiede che a carico di tali soggetti risulti l’originaria esistenza di precisi, anche se non gravi, indizi di reità. Ne consegue che tale condizione non può automaticamente farsi derivare dal solo fatto che i dichiaranti risultino essere stati in qualche modo coinvolti in vicende potenzialmente suscettibili di dar luogo alla formulazione di addebiti penali a loro carico, occorrendo invece che tali vicende, per come percepite dall’autorità inquirente, presentino connotazioni tali da non poter formare oggetto di ulteriori indagini se non postulando necessariamente l’esistenza di responsabilità penali a carico di tutti i soggetti coinvolti o di taluni di essi" (Sez. 1,n. 8099 del 29/01/2002 Cc. – dep. 27/02/2002 – Rv. 221327, imp. Pascali). Mette conto sottolineare poi, "ad abundantiam", che la prova della colpevolezza risultava già da quanto percepito dai verbalizzanti per diretta percezione (arresto della C. in flagranza in occasione della cessione della droga al P. e ad altra persona).

Quanto alla ritenuta colpevolezza della C., la Corte distrettuale, nella disamina delle doglianze devolute con i motivi di appello, ha indicato gli elementi costitutivi del coacervo probatorio d’accusa, con le considerazioni sopra sinteticamente ricordate nella parte narrativa (e da intendersi qui integralmente riportate per evitare superflue ripetizioni). Dette argomentazioni non risultano in alcun modo scalfite dalle censure dedotte dalla ricorrente, posto che le stesse, in quanto concernenti il merito delle valutazioni probatorie sulle quali la Corte territoriale ha fondato il convincimento espresso, si sottraggono al sindacato di legittimità.

Il vizio di motivazione deducibile in sede di legittimità deve, per espressa previsione normativa, risultare dal testo del provvedimento impugnato, o – a seguito della modifica apportata all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8 – da "altri atti del procedimento specificamente indicati nei motivi di gravame", il che vuoi dire – quanto al vizio di manifesta illogicità -, per un verso, che il ricorrente deve dimostrare in tale sede che l’iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico e che, per altro verso, questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un’altra interpretazione o di un altro iter, quand’anche in tesi egualmente corretti sul piano logico; ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano ad una diversa lettura o interpretazione, ancorchè munite di eguale crisma di logicità (cfr.

Cass., Sez. Un., 27.9.1995, n. 30). Di tal che, anche in proposito le dedotte censure si presentano prive di qualsiasi fondamento Manifestamente infondata è, infine, anche la censura relativa al diniego della attenuante della lieve entità del fatto. Ed invero, è sufficiente aggiungere, a quanto già argomentato dalla Corte distrettuale (e sopra richiamato), che le Sezioni Unite di questa Corte, ribadendo un principio costantemente affermato nella giurisprudenza di legittimità, hanno precisato che detta attenuante "può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove venga meno anche uno soltanto degli indici previsti dalla legge, diviene irrilevante l’eventuale presenza degli altri" (Sez. Un., n. 17/2000, imp. Primavera ed altri, RV. 216668): l’impugnata decisione si pone perfettamente in sintonia con tale principio. Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, della ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00 (mille).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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