Cass. civ. Sez. II, Sent., 05-06-2012, n. 9063 Contratto preliminare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione ritualmente notificato P.P. e P.F. convenivano in giudizio B.M., B.G., Pa.Gi. e P.F., affermando che P.E., deceduto il 1-3-1996 e del quale le attrici erano uniche eredi insieme a Pa.Gi. e P.F.a, con scrittura privata priva di data, ma sicuramente anteriore al 18-5-1989, aveva promesso di vendere a B.M. e B.G., che avevano promesso di comprare, un appezzamento di terreno agricolo con sovrastante fabbricato rurale sito nel Comune di Terni, distinto in catasto al foglio 142, particelle 26, 27, 28, 29, 56, 57, 97/A, 100, 101, 121, 168, 169, 170, 311, 376, 99/B. Le attrici deducevano che nel successivo atto notarile di compravendita non era stata indicata la particella 170, e che tale omissione era stata involontaria, come si ricavava, in particolare, dal fatto che la predetta particella era ricompresa nell’area evidenziata dal contorno in colore giallo nella planimetria allegata al contratto, il quale, peraltro, non conteneva alcuna clausola che facesse pensare ad una modifica della volontà delle parti. Le istanti chiedevano, pertanto, in via principale che venisse dichiarato che la particella 170 era di proprietà dei B., con conseguente correzione materiale nell’atto pubblico e, in via subordinata, che venisse pronunciata sentenza che, tenendo luogo del contratto non concluso, trasferisse ai promittenti acquirenti la particella in questione.

Nel costituirsi, i B. chiedevano il rigetto delle domande attoree, deducendo che la mancata indicazione della particella 170 nell’atto di compravendita del 3-12-1990 corrispondeva alla effettiva volontà delle parti in quella sede, come si ricavava dal fatto che l’indicazione della superficie complessiva del terreno venduto corrispondeva esattamente al terreno compravenduto, con esclusione, cioè, della particella in questione. Sostenevano che la volontà delle parti era mutata rispetto al preliminare, in quanto il promittente venditore non aveva consegnato la promessa polizza assicurativa che avrebbe dovuto garantire gli acquirenti dalla eventuale responsabilità per danni a terzi derivanti da detta particella, trattandosi di un dirupo dal quale potevano cadere dei massi. Rilevavano, pertanto, che non poteva parlarsi di inadempimento del preliminare, ben potendo le parti, in sede di stipula del definitivo, modificare l’oggetto del contratto rispetto agli impegni assunti col preliminare.

Si costituivano anche Pa.Gi. e P.F., aderendo alla domanda attrice.

Con sentenza del 5-3-2001 il Tribunale di Terni rigettava la domanda principale, accogliendo invece la domanda subordinata.

Avverso tale sentenza proponevano appello i B..

P.P. e F. si costituivano resistendo al gravame.

P.F. e Gi. rimanevano, invece, contumaci.

Con sentenza depositata il 19-7-2005 la Corte di Appello di Perugia, in parziale riforma della decisione di primo grado, rigettava anche la domanda subordinata ex art. 2932 c.c. proposta dalle attrici.

Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso P. P. e F., sulla base di tre motivi.

B.M. e B.G. hanno resistito con controricorso.

All’udienza del 6-10-2011 questa Corte ha disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti di Pa.Gi. e P. F..

Motivi della decisione

1) In via preliminare, si rileva che le ricorrenti hanno ritualmente provveduto, entro il termine assegnato da questa Corte all’udienza del 6-10-2011, ad integrare il contraddittorio nei confronti di Pa.Gi. e P.F., mediante notifica dell’atto presso il domicilio da questi ultimi eletto in primo grado.

Si rammenta, al riguardo, che, ai sensi dell’art. 330 c.p.c., comma 1, l’impugnazione, non preceduta dalla notificazione della sentenza impugnata o dall’eiezione di domicilio o dalla dichiarazione di residenza al momento di tale notificazione, può essere notificata sia presso il procuratore costituito nel giudizio "a quo", sia nel domicilio eletto o nella residenza dichiarata per quel giudizio, con facoltà per l’impugnante di eseguire la notificazione nell’uno o nell’altro dei tre luoghi indicati. L’elezione di domicilio effettuata dalla parte nel giudizio di primo grado, ove non revocata, mantiene la sua efficacia anche per il successivo grado, con conseguente validità della notifica del ricorso per cassazione eseguita nel domicilio oggetto di tale elezione (Cass. 2-7-2009 n. 15523; Cass. 17-5-2002 n. 7214; Cass. 1-12-1994 n. 10285).

Nella specie, come risulta dagli atti, Pa.Gi. e P.F. in primo grado avevano eletto domicilio presso lo studio dell’avv. Luigi Farnesi in Terni, Corso del Popolo n. 47; e tale elezione di domicilio non è stata mai revocata. In applicazione dei principi innanzi enunciati, pertanto, deve ritenersi valida la notifica dell’atto di integrazione del contraddittorio effettuata nel presente grado di giudizio nell’indicato domicilio, pur non avendo l’avv. Farnesi rappresentato le predette parti nel giudizio di appello.

2) Con il primo motivo le ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 291 c.p.c., comma 1, artt. 101 e 102 c.p.c.. Sostengono che la Corte di Appello ha errato nell’affermare che la costituzione in giudizio delle appellate P.P. e F. è valsa a sanare la nullità della notificazione dell’atto di appello, effettuata mediante consegna al loro procuratore di un numero di copie dell’atto inferiore al numero dei destinatati. Deducono che i giudici di merito non hanno considerato che analoga sanatoria non si è verificata nei confronti degli altri appellati P. F. e Gi., rimasti contumaci e destinatari anch’essi di un’unica copia notificata dell’atto di gravame. Rilevano, pertanto, che la Corte di Appello avrebbe dovuto disporre la rinnovazione della notifica della citazione in appello ai predetti appellati.

Il motivo è infondato, pur dovendosi correggere, nella parte de qua, la motivazione della sentenza impugnata.

Secondo il più recente orientamento della giurisprudenza, al quale questa Corte intende dare continuità, la notificazione dell’atto d’impugnazione eseguita presso il procuratore costituito per più parti, mediante consegna di una sola copia (o di un numero inferiore), è valida ed efficace, in virtù della generale applicazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, alla luce del quale deve ritenersi che non solo in ordine alle notificazioni endoprocessuali, regolate dall’art. 170 c.p.c., ma anche per quelle disciplinate dall’art. 330 c.p.c., comma 1, il procuratore costituito non è un mero consegnatario dell’atto di impugnazione, ma ne è il destinatario, analogamente a quanto si verifica in ordine alla notificazione della sentenza a fini della decorrenza del termine d’impugnazione ex art. 285 c.p.c., in quanto investito dell’inderogabile obbligo di fornire, anche in virtù dello sviluppo degli strumenti tecnici di riproduzione degli atti, ai propri rappresentati tutte le informazioni relative allo svolgimento e all’esito del processo (Cass. Sez. Un. 15-12-2008 m. 29290; Cass. 12-3-2010 n. 60511).

Deve ritenersi, pertanto, superato il precedente indirizzo della giurisprudenza, che considerava nulla la notificazione dell’atto di impugnazione a più parti presso un unico procuratore, eseguita mediante consegna di una sola copia o di un numero di copie inferiori rispetto alle parti cui l’atto è destinato; con conseguente possibilità di sanatoria del relativo vizio, con efficacia "ex tunc", o con la costituzione in giudizio di tutte le parti, cui l’impugnazione è diretta, o con la rinnovazione della notificazione da eseguire in un termine perentorio assegnato dal giudice a norma dell’art. 291 c.p.c., con la consegna di un numero di copie pari a quello dei destinatari (Cass. Sez. Un. 10-10-1997 n. 9859).

Di conseguenza, dovendosi escludere la nullità della notificazione dell’atto di appello effettuata in unica copia agli appellati costituiti in primo grado con un comune difensore, deve da un lato disattendersi l’assunto delle ricorrenti, secondo cui la Corte di Appello avrebbe dovuto disporre la rinnovazione della notifica dell’atto di impugnazione agli appellati P.F. e Gi., rimasti contumaci, e dall’altro correggersi la motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui, partendo dall’erroneo presupposto della nullità della notifica dell’atto di gravame eseguita nei confronti di P.P. e F., ha ritenuto tale vizio sanato per effetto della costituzione di queste ultime.

3) Con il secondo motivo le ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 2697, 2722 e 2729 c.c. e l’omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia. Sostengono che la Corte di Appello non poteva far ricorso alla prova per presunzioni per fondare il proprio convincimento circa la positiva volontà delle parti di eliminare, in sede di stipula, la compravendita della particella 170, in quanto, ai sensi degli artt. 2722 e 2729 c.c., un simile patto non può costituire oggetto di prova presuntiva. Deducono che, qualora si volesse ravvisare, nella specie, un patto intervenuto tra le parti successivamente alla stipula del preliminare, rientrante nel paradigma dell’art. 2723 c.c., i giudici del gravame sarebbero comunque incorsi nella violazione dei criteri che presiedono alla prova per presunzioni. Rilevano, infatti, che gli elementi indiziari presi in considerazione quali fatti noti dalla Corte di merito non erano univoci, in quanto da essi ben si sarebbe potuta trarre la diversa conseguenza che le parti, considerata la mancanza della polizza, si erano accordate per rinviare ad un momento successivo ed all’esito dell’adempimento la stipula relativa all’area in questione.

Con il terzo motivo le ricorrenti si dolgono della violazione degli artt. 1321 e 1372 c.c. e della contraddittoria e insufficiente motivazione in ordine a un punto decisivo della controversia.

Deducono che la premessa da cui è partita la Corte di Appello, secondo cui le pattuizioni contenute nel definitivo non assorbono quelle del preliminare (che può rimanere parzialmente attuato), contrasta con la conclusione cui la stessa Corte è pervenuta, secondo cui un contratto definitivo di contenuto parziale rispetto ad un precedente preliminare implica comunque la volontà delle parti di regolamentare nel definitivo stesso tutti i loro rapporti. Sostengono che la parte parzialmente inadempiente agli obblighi assunti con il preliminare è tenuta a fornire la prova positiva che, in sede di definitivo, sia intervenuta, nella estrinsecazione dell’autonomia negoziale delle parti, una manifestazione di volontà diretta a modificare i patti già raggiunti e convenzionalmente predefiniti.

Nella specie, pertanto, in assenza di prova di una diversa volontà delle parti contraenti, i giudici di merito non potevano ritenere caducato, in base alla mera difformità riscontrata tra il contratto preliminare ed il contratto definitivo, l’obbligo di acquistare anche l’appezzamento di terreno in questione, che, al pari degli altri lotti, costituiva oggetto degli obblighi assunti dalle parti con il preliminare.

4) I due motivi, che per ragioni di connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.

Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza, dal quale non vi è motivo di dissentire, nel caso in cui le parti, dopo avere stipulato un contratto preliminare, abbiano stipulato il contratto definitivo, quest’ultimo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al negozio voluto, in quanto il contratto preliminare, determinando soltanto l’obbligo reciproco della stipulazione del contratto definitivo, resta superato da questo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare, salvo che le parti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva (Cass. 11-7-2007 n. 15585; Cass. 18-7-2003 n. 11262; Cass. 25-2-2003 n. 2824; Cass. 18-4-2002 n. 5635; Cass. 29-4-1998 n. 4354).

E’ stato ulteriormente puntualizzato che la presunzione di conformità del nuovo accordo alla volontà delle parti può, nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta soltanto dalla prova – che deve risultare da atto scritto, ove il contratto abbia ad oggetto beni immobili – di un accordo posto in essere dalle stesse parti contemporaneamente alla stipula del definitivo, dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenuti nel preliminare, sopravvivono al contratto definitivo; e che tale prova, secondo le regole generali del processo, va data dall’attore, trattandosi di fatto costitutivo della domanda con la quale egli chiede l’adempimento di un obbligo che, pur riportato nel contratto preliminare, egli può far valere in forza del distinto accordo intervenuto fra le parti all’atto della stipula del contratto definitivo (Cass. 10-1-2007 n. 233).

Non appare condivisibile, invero, il diverso indirizzo giurisprudenziale invocato dalle ricorrenti e richiamato nella sentenza impugnata (Cass. 18-11-1987 n. 8486), secondo cui la stipula del contratto definitivo costituirebbe soltanto l’adempimento delle obbligazioni assunte con il preliminare; dal che conseguirebbe che questo e non il contratto definitivo sarebbe l’unica fonte dei diritti e degli obblighi delle parti, con l’ulteriore corollario che l’eventuale modifica degli accordi stabiliti col preliminare dovrebbe essere accertata in concreto e non sarebbe deducibile, in caso di preliminare di vendita di una pluralità di beni, dalla sola circostanza che il contratto definitivo abbia avuto ad oggetto soltanto alcuni di essi.

Così argomentando, infatti, da un lato verrebbe a negarsi il valore di "nuovo" accordo alla manifestazione di volontà delle parti consacrata nel definitivo, che assurgerebbe, quindi, a mera ripetizione del preliminare, ponendosi in tal modo un limite ingiustificato all’autonomia privata; e, dall’altro, si attribuirebbe in natura negoziale all’adempimento, in contrasto con la concezione, ormai dominante, che vede in esso il "fatto" dell’attuazione del contenuto dell’obbligazione e non un atto di volontà (Cass. 10-1- 2007 n. 233).

Ciò posto, si osserva che, nella specie, non vi è prova (la circostanza non è stata nemmeno dedotta dalle ricorrenti) che le parti, pur avendo escluso da contratto definitivo di vendita la particella 170, in occasione della stipula di tale atto abbiano manifestato per iscritto la volontà di rimanere vincolate all’obbligo di trasferimento assunto con il preliminare in relazione al predetto mappale.

Tanto è sufficiente – in applicazione dei principi di diritto innanzi enunciati -, a giustificare il rigetto della domanda attrice di esecuzione specifica ex art. 2932 c.c. in relazione alla particella in questione; sicchè in tali termini deve correggersi la motivazione della sentenza impugnata.

In ogni caso, si osserva che la Corte di Appello, nell’interpretare il contratto definitivo di vendita, ha accertato, in concreto, sulla base di elementi presuntivi (quali le caratteristiche di dirupo della particella in questione, che forniscono una spiegazione al rifiuto degli appellanti di acquistarla, altrimenti incomprensibile; il fatto che la superficie complessiva dei terreni oggetto della compravendita si ottiene non considerando la particella per cui è causa), che con esso le parti hanno inteso derogare al contratto preliminare precedentemente stipulato, escludendo il trasferimento della particella 170.

L’apprezzamento espresso al riguardo si sottrae al sindacato di questa Corte, essendo supportato da argomentazioni plausibili sotto il profilo logico e corrette sul piano giuridico. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, infatti, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, incensurabile in cassazione se sorretta, come nel caso in esame, da una motivazione immune da vizi logici e rispettosa dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e segg. (tra le tante v. Cass. 31-5-2010 n. 13242; Cass. 29-8-2004 n. 15381; Cass. 25-2-2004 n. 3772).

Allo stesso modo, l’apprezzamento del giudice di merito circa la ricorrenza dei requisiti di precisione, gravita e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare gli elementi di fatto come fonti di presunzione, costituisce accertamento di fatto, non sindacabile in sede di legittimità se la motivazione adottata al riguardo risulti congrua dal punto di vista logico e immune da errori di diritto (Cass. 1-5-2005 n. 10135; Cass. 16-7-2004 n. 13169; Cass. 10-11-2003 n. 16831; Cass. 4-11-2002 n. 15399).

Contrariamente a quanto dedotto dalle ricorrenti, d’altro canto, nel far ricorso alla prova presuntiva, il giudice di appello non è incorso nella violazione degli artt. 2722 e 2729 c.c. in quanto tale prova non era diretta a dimostrare patti aggiunti al contratto preliminare, bensì, come esattamente rilevato nella sentenza impugnata, ad interpretare la volontà manifestata dalle parti in occasione della stipula del contratto definitivo. Si richiama, al riguardo, il principio (estensibile anche alla prova per presunzioni a norma dell’art. 2729 c.c., comma 2), più volte affermato da questa Corte, secondo cui il divieto di prova testimoniale, sancito dall’art. 2722 c.c., si riferisce soltanto ai patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento e riguarda, quindi, quei soli accordi di volontà diretti a modificare, ampliandolo o restringendolo, il contenuto di un negozio consacrato nell’atto scritto. Tale divieto, pertanto, non opera, e la prova testimoniale è ammissibile, allorchè la stessa non miri ad ampliare, modificare o alterare la disciplina obiettiva prevista nel contratto stipulato per iscritto, ma abbia ad oggetto elementi di mera integrazione e chiarificazione del contenuto della volontà negoziale (Cass. 5-3- 2007 n. 5071; Cass. 30-6-2005 n. 14024; Cass. 16-7-2003 n. 11141;

Cass. 28-6-2001 n. 8853).

5) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese sostenute dai resistenti nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2012

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