Cass. civ. Sez. II, Sent., 05-06-2012, n. 9062

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione in riassunzione notificato il 23-11-1993, C.M.T. e A.A., proprietari di un terreno con sovrastante fabbricato sito in (OMISSIS), confinante a nord con un immobile di proprietà della EDIL Lombarda s.r.l., convenivano tale società dinanzi al Tribunale di Crema, chiedendo che venisse accertato il loro diritto di proprietà fino alla metà del muro di fabbrica a confine con la convenuta, giusta rogito dell’8-6-1958 o per usucapione, della striscia di terreno prospiciente il muro confinario e del muro medesimo, e che venisse pronunciata la condanna della resistente alla chiusura delle quattro finestre aperte sul muro di confine in violazione dell’art. 905 c.c. e delle distanze previste del Regolamento comunale.

Nel costituirsi, la EDIL Lombarda s.r.l. contestava la fondatezza della domanda, sostenendo che il mappale 606 di sua proprietà comprendeva sia il muro di fabbrica che una prospiciente striscia di confine per una larghezza di metri 1,50, che tale striscia di terreno e il muro di fabbrica non erano mai stati posseduti dagli attori e che le aperture sul muro di confine preesistevano ed erano, comunque, dotate di inferriate, che consentivano semplicemente il passaggio di aria e di luce.

Con sentenza depositata il 17-9-1998 il Tribunale adito dichiarava acquisita dagli attori per usucapione la sola striscia di terreno, della larghezza di metri 1,25, immediatamente prospiciente al muro di fabbrica dell’immobile di proprietà della convenuta, rigettando ogni ulteriore pretesa degli attori.

Avverso la predetta decisione proponevano appello principale gli attori e appello incidentale la convenuta.

Con sentenza depositata il 12-5-2005 la Corte di Appello di Brescia rigettava sia l’appello principale che quello incidentale. La Corte territoriale, in particolare, sulla base degli atti traslativi prodotti dalle parti, accertava che, pur risultando il contrario attraverso l’indicazione dei confini, con l’atto del 22-6-1958, avente ad oggetto il trasferimento dei mappali 932 e 1734, M. L. non aveva alienato a L.M. e a L.T. A. (danti causa degli attori), la porzione di terreno corrispondente alla striscia di terreno in estremo sud del mappale 930 e la metà del muro di fabbrica sulla stessa prospiciente, non essendone più proprietario per alienazione precedentemente effettuata in favore di S.F.; e che, conseguentemente, nemmeno C.M.T. e A.A. erano divenuti proprietari delle predette entità immobiliari per effetto degli atti traslativi con i quali avevano acquistato da Lu.Ti. e dalle eredi di L. i mappali 932 e 1734. Il giudice del gravame, inoltre, rilevava che, mentre le testimonianze raccolte fornivano la prova piena e convincente del dedotto acquisto per usucapione della striscia di terreno in contestazione, le dichiarazioni rese dei testi, per la loro genericità, non offrivano una prova sufficientemente precisa circa l’effettivo esercizio, da parte degli attori e dei loro danti causa, di un possesso utile ai fini dell’usucapione sulla metà del muro in questione. La Corte di Appello, infine, rilevava che la questione inerente all’art. 903 c.c., oltre a non essere pertinente in quanto il muro non era comune, era inammissibile, in quanto del tutto nuova rispetto alle questioni introdotte e discusse in primo grado.

Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso C. M.T. e A.A., sulla base di quattro motivi.

La EDIL Lombarda s.r.l. non ha svolto attività difensive.

Motivi della decisione

1) Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1140, 1141, 1143, 1146 e 2647 c.c., nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione al mancato riconoscimento, da parte della Corte di Appello, del trasferimento, agli acquirenti L. – Lu.Ti., del possesso idoneo all’usucapione dei beni oggetto dell’atto di compravendita del 22-6-1958, nell’estensione fino ai confini ivi indicati e, quindi, quanto al confine a tramontana, sino alla metà del muro di fabbrica del venditore; al mancato riconoscimento della successione nel possesso dei suddetti beni in capo agli eredi di L.M. per effetto della successione ereditaria registrata il 26-11-1975; al mancato riconoscimento dell’avvenuto trasferimento del possesso da questi ultimi e da Lu.Ti.

A. ai C. A. in forza degli effetti reali degli atti traslativi di vendita del 16-9-1978 e del 19-4-1983.

Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 1146 c.c., comma 2, artt. 1158 e 1470 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per non avere la Corte di Appello considerato che i C. A., con i titoli prodotti, hanno provato di avere acquistato da coloro che erano divenuti proprietari in forza del possesso esercitato sulla base di titoli anteriori al ventennio, senza quindi alcuna necessità di dover provare l’acquisto del diritto di proprietà attraverso il possesso continuato ed ininterrotto loro e dei loro danti causa per il tempo necessario al compimento dell’usucapione.

Con il terzo motivo i ricorrenti si dolgono della violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 1158 c.c., nonchè della omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla valutazione delle prove, il cui corretto apprezzamento avrebbe portato al riconoscimento dell’esercizio del possesso continuato ed ininterrotto, da parte degli attori e dei loro danti causa, della metà del muro di fabbrica, in questione, per il tempo necessario al compimento dell’usucapione.

Con il quarto motivo, infine, i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 345 c.p.c., artt. 903 e 905 c.c., per avere la Corte di Appello ritenuto nuova e, quindi, inammissibile, la domanda ex art. 903 c.c. formulata dagli appellanti nelle conclusioni dell’atto di gravame. Sostengono che la domanda di chiusura delle vedute ex art. 905 c.c. per violazione delle distanze, proposta in primo grado, doveva ritenersi comprensiva della domanda di chiusura delle luci irregolari per effetto della dedotta comproprietà del muro, non essendo mutate le circostanze di fatto poste a fondamento della domanda.

2) Il terzo motivo, da esaminarsi per primo per ragioni di ordine logico e giuridico, è infondato.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, ai fini della configurabilità di un possesso "ad usucapionem" è necessaria la sussistenza di un comportamento continuo e non interrotto che dimostri inequivocabilmente l’intenzione di esercitare il potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di uno "jus in re aliena", e quindi una signoria sulla cosa che permanga, senza interruzione, per tutto il tempo indispensabile per usucapirla, sia per quanto riguarda l’"animus" che il "corpus"; occorre, pertanto, che il possessore esplichi costantemente il potere di fatto corrispondente al diritto reale posseduto e Io manifesti con il compimento puntuale di atti di possesso conformi alla qualità ed alla destinazione della cosa, e tali da rivelare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria di fatto sulla cosa stessa, contrapposta all’inerzia del titolare del diritto (tra le tante v.

Cass. 12-4-2010 n. 8662; Cass. 24-8-2006 n. 18392; Cass. 9-8-2001 n. 11000; Cass. 13-12-1994 n. 10652). Ne consegue che non può ritenersi prova sufficiente di un possesso utile ai predetti fini la produzione di un titolo di acquisto del bene (Cass. 9-8-2001 n. 11000).

Alla luce degli enunciati principi, correttamente il giudice di appello ha ritenuto la mancanza di prova circa il possesso "ad usucapionem" del muro di fabbrica in questione, avendo rilevato, all’esito di un’attenta disamina delle risultanze processuali, che i testi escussi, pur avendo riferito di un possesso esercitato nel tempo dagli attori e dai loro danti causa sia sulla striscia di terreno che sul muro di fabbrica, con riguardo a tale ultima entità immobiliare hanno reso dichiarazioni del tutto generiche, senza descrivere gli specifici comportamenti attraverso i quali sarebbe stata esercitata la signoria di fatto. E’ evidente, infatti, che il generico riferimento, operato dai testi, ad una situazione di possesso, è inidoneo a legittimare la pretesa degli attori in ordine all’acquisto per usucapione del bene in questione, in mancanza di oggettivi elementi di riscontro circa le modalità di tale possesso, necessari al fine di verificare se la relazione di fatto con la cosa si sia effettivamente estrinsecata, per il tempo necessario all’usucapione, attraverso atti corrispondenti all’esercizio del diritto dominicale.

Ciò posto, si osserva che i ricorrenti, con il motivo in esame, attraverso la formale deduzione di violazione di legge e di vizi di motivazione, propongono sostanziali censure di merito, con le quali mirano ad ottenere una diversa e più favorevole valutazione delle risultanze probatorie rispetto a quella compiuta dal giudice territoriale, che, in quanto sorretta da una motivazione immune da vizi logici, si sottrae al sindacato di questa Corte. Come è noto, infatti, la valutazione delle risultanze delle prove e il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad una esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. 7-1-2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662, 3 marzo 2000 n. 2404).

3) Il primo e il secondo motivo restano assorbiti dall’acclarata mancanza di prova circa l’effettivo esercizio, da parte degli odierni ricorrenti e dei loro danti causa, di un possesso utile ai fini dell’acquisto per usucapione della proprietà del muro di cui si discute.

4) Il quarto motivo è inammissibile, per difetto d’interesse.

Il giudice del gravame, nel premettere che l’art. 903 c.c., di cui gli appellanti principali hanno lamentato la violazione con l’ultimo motivo di gravame, disciplina le luci aperte nel muro comune, prevedendo che esse non possono aprirsi senza il consenso degli altri proprietari, ha rilevato che "tate problematica, oltre a non essere pertinente perchè……nella specie il muro non è comune, è anche del tutto nuova e quindi inammissibile ex art. 345 cod. proc. civ. rispetto alle questioni introdotte e discusse nel primo grado essendosi qui discusso solo di violazione di distanze legali delle vedute ex art. 905 cod. civ.".

I ricorrenti si sono limitati a censurare tale seconda argomentazione, ma nessuna doglianza hanno mosso riguardo alla prima parte della motivazione, di per sè idonea a sorreggere la decisione, con la quale si è dato atto della insussistenza dei presupposti di fatto richiesti ai fini dell’applicabilità della fattispecie regolata dall’art. 903 c.c..

Ciò posto, si osserva che, secondo il costante orientamento di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, qualora la decisione impugnata si fondi, come nel caso in esame, su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, l’omessa impugnazione di tutte le rationes decidendo rende inammissibili, per difetto di interesse, le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime, quand’anche fondate, non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre non impugnate, all’annullamento della decisione stessa (tra le tante v. Cass. Sez. L. 11-2-2011 n. 3386;

Sez. 1, 18-9-2006 n. 20118; Sez. 3, 27-1-2005 n. 1658; Sez. 1, 12-4- 2001 n. 5493).

4) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato.

Poichè l’intimata non ha svolto alcuna attività difensiva, non vi è luogo a provvedere sulle spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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