Cass. civ. Sez. II, Sent., 05-06-2012, n. 9060

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Svolgimento del processo

Le sorelle R. e B.G. citarono il fratello A. innanzi al Tribunale di Chiavari perchè fosse disposto lo scioglimento della comunione apertasi a seguito del decesso del padre e chiesero che il congiunto rendesse il conto della gestione di un immobile, adibito ad attività commerciale, compreso nei beni ereditar. Il convenuto – per quello che ancora conserva interesse in sede di legittimità – chiese che si tenesse conto, nella determinazione del relictum, di un magazzino che era stato acquistato dalla sorella R. con denaro donatole dal de cujus.

Il Tribunale, pronunziando sentenza n. 370/1988, dispose lo scioglimento della comunione, respingendo le domande riconvenzionali di simulazione e di collazione.

La Corte di Appello di Genova, con sentenza n. 623/1990, respinse il gravame di B.A.; il ricorso in sede di legittimità da parte di quest’ultimo trovò invece parziale accoglimento nella decisione n. 5989/1994 di questa Corte con cui si rilevò come il giudice dell’appello non correttamente avrebbe negato che fosse stata avanzata una domanda di collazione del valore del bene acquistato con denaro asseritamente donato dal padre alla figlia, non consentendosi, su tale erroneo presupposto, l’effettuazione di prove per testi della simulazione, sottolineando altresì la circostanza che si sarebbe trattato di donazione indiretta dell’immobile e non di donazione diretta del denaro, con la conseguente possibilità – una volta che fosse stata provata la circostanza – della collazione alla massa del bene così acquistato.

La Corte di Appello di Genova, decidendo in sede di rinvio con sentenza non definitiva 483/2002, condannò B.R. a imputare al relictum il valore del bene indirettamente donatole dal padre, rimettendo la causa sul ruolo per la stima del conguaglio al coerede non assegnatario – essendo ormai irrevocabile il capo di decisione con cui erano state formate le singole quote e dovendosi dar esecuzione alla collazione per imputazione e non già con conferimento del bene in natura -; con sentenza definitiva n. 394/2006, condannò B.R. a pagare a ciascuno degli altri condividendi, a titolo di conguaglio, Euro 799,25 oltre interessi legali dal dicembre 1985 al saldo – in considerazione del fatto che, dal momento in cui il coerede soggetto alla collazione aveva scelto di effettuare l’imputazione di valore, si sarebbe cristallizzato il debito per conguaglio, trasformandosi in un debito di valuta -;

quanto alle conseguenze della perdurante occupazione, da parte di B.A., di un immobile caduto in successione, giudicò esperibile in separato giudizio la domanda delle altre condividenti diretta a far condannare il congiunto a pagare l’indennizzo sostitutivo del godimento, per il periodo compreso tra la pubblicazione della sentenza n. 370/1988 del Tribunale di Chiavari e l’effettivo rilascio, rimanendo, per il periodo precedente, valida la condanna colà enunciata; ritenne infine estranea al giudizio divisionale una statuizione di condanna al rilascio dello stesso immobile – non assegnato a detto coerede -, pure richiesta dalle sorelle B..

Per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso B. A., sulla base di due motivi; R. e B.G. hanno resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

1 – Il ricorso deve essere dichiarato improcedibile à sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, non avendo parte ricorrente depositato la copia autentica della sentenza impugnata, assieme alla relata di notifica. Sul punto va richiamato l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, a mente del quale la previsione – di cui all’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 2, – dell’onere di deposito a pena di improcedibilità, entro il termine di cui al primo comma della stessa norma, della copia della decisione impugnata con la relazione di notificazione, ove questa sia avvenuta, è funzionale al riscontro, da parte della Corte di cassazione – a tutela dell’esigenza pubblicistica (e, quindi, non disponibile dalle parti) del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale – della tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione, il quale, una volta avvenuta la notificazione della sentenza, è esercitabile soltanto con l’osservanza del cosiddetto termine breve. Nell’ipotesi in cui il ricorrente, espressamente od implicitamente, alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, limitandosi a produrre una copia autentica della sentenza impugnata senza la relata di notificazione, il ricorso per cassazione dev’essere dichiarato improcedibile, restando possibile evitare la declaratoria di improcedibilità soltanto attraverso la produzione separata di una copia con la relata avvenuta nel rispetto dell’art. 372 cod. proc. civ., comma 2, applicabile estensivamente, purchè entro il termine di cui all’art. 369 cod. proc. civ., comma 1, e dovendosi, invece, escludere ogni rilievo dell’eventuale non contestazione dell’osservanza del termine breve da parte del controricorrente ovvero del deposito da parte sua di una copia con la relata o della presenza di tale copia nel fascicolo d’ufficio, da cui emerga in ipotesi la tempestività dell’impugnazione" (così Cass. Sez. Un. n. 9005/2009; conforme Cass. Sez. 6-1 ord. n. 25070/2010).

1/a – Nella fattispecie, il richiamo, nell’ambito del ricorso, della notifica della sentenza avvenuta il 20 settembre 2006, faceva emergere la consapevolezza nel ricorrente che la sua impugnazione sarebbe stata sottoposta al cd. termine breve; irrilevante, per quanto sopra osservato, appare allora la produzione di tale copia notificata, da parte delle parti contro ricorrenti, per le ragioni messe in rilievo dalla richiamata sentenza delle Sezioni Unite.

2 – La pronunzia in rito impedisce uno scrutinio del ricorso ed è pertanto d’ostacolo alla delibazione della domanda di condanna al pagamento delle spese di lite nella misura maggiorata ex art. 385 c.p.c., comma 6, avanzata dalle parti controricorrenti sulla base di una ritenuta pretestuosità del ricorso; la ripartizione ordinaria delle spese seguirà invece il criterio della soccombenza, secondo quanto indicato in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Dichiara l’improcedibilità del ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre IVA, CAP e spese generali come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 3 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2012
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