Cons. Stato Sez. V, Sent., 28-12-2011, n. 6935 U. S. L. indennità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Gli attuali appellanti ed originari ricorrenti (infermieri in servizio presso il pronto soccorso di Cecina) impugnavano, per varie forme di violazione di legge e di eccesso di potere, dinanzi al T.a.r. Toscana, la nota 3 giugno 1993 n. 9627, con cui l’U.s.l. n. 14 "Bassa Val di Cecina" (poi A.u.s.l. n. 6 di Livorno) aveva negato loro l’indennità mensile di terapia intensiva (ex art. 57, comma 3, d.P.R. n. 270/1987), come pure le mansioni superiori di fatto svolte nei dipartimenti di emergenza ed urgenza.

L’ente intimato si costituiva in giudizio ed eccepiva l’impossibilità di ricondurre l’attività di pronto soccorso, svolta dagli interessati, a quella tipica del personale ospedaliero operante in reparti di terapia intensiva.

I primi giudici disponevano incombenti istruttori – poi adempiuti solo in parte dall’A.u.s.l., con metodo a campione, comunque ritenuto sufficiente ai fini decisori – in base ai quali solo una minima parte degli interventi in questione avrebbero riguardato casi di necessaria terapia intensiva, subintensiva e di rianimazione: donde la mancata continuità delle mansioni asseritamente meritevoli della discussa indennità, comunque mai conferite con formali provvedimenti, fermo restando che solo dal 1997 il pronto soccorso sarebbe stato riconosciuto come reparto di terapia intensiva, per cui il ricorso veniva respinto, con sentenza poi impugnata dagli interessati per vizio istruttorio, dato che la documentazione acquisita a campione avrebbe riguardato solo quattro mesi, in presenza di ben dieci anni di servizio da valutare e concernente anche terapie subintensive per infarti del miocardio, edemi polmonari, sindromi da annegamento, intossicazione da farmaci, overdose da stupefacenti, tentati suicidi, infortuni sul lavoro ed incidenti stradali (ex art. 49, comma 5, d.P.R. n. 384/1990), con conseguente richiesta di c.t.u., per una congrua valutazione della documentazione in esame; irrilevanza del mancato riconoscimento del reparto come di "terapia intensiva", trattandosi di un’indennità collegata al mero svolgimento delle citate mansioni, esercitate fin dal 1986 nel dipartimento di emergenza ed urgenza (dotato di sala operatoria) per resezioni tendinee, ascessi, parziali amputazioni di prime falangi: tutte prestazioni compensabili con il riconoscimento della discussa indennità, pacificamente riconosciuta al coordinatore del d.e.u. (peraltro, si trattava di indennità orarie di diversa natura) ma, immotivatamente, solo dal dicembre 1995 agli originari ricorrenti (peraltro, si trattava dell’indennità ex art. 44, comma 6, punto 6, nuovo c.c.n.l. 1995), con correlativa contraddittorietà, dato che dal 1986 in poi nulla sarebbe mutato quanto al tipo di lavoro svolto dagli infermieri attuali appellanti.

L’A.u.s.l. appellata si costituiva in giudizio e resisteva al gravame, poi dichiarato perento con decreto opposto dagli interessati, con atto contrastato dall’A.u.s.l. ma, ciononostante, ritenuto fondato, donde il suo accoglimento, con rimessione della causa sul ruolo e fissazione della nuova udienza di trattazione, nonché deposito di una memoria riassuntiva da parte degli appellanti e di una memoria di replica da parte dell’A.u.s.l. appellata, che vi eccepiva l’intervenuta estinzione del giudizio per mancata sua riassunzione (mai notificata alla Gestione stralcio A.u.s.l. costituita in giudizio) tempestiva entro 180 o (per il nuovo c.p.a.) 90 giorni dalla conosciuta morte del difensore (2 settembre 2010), risultando nulli gli atti processuali successivi al 3 settembre 2009 (data del decesso dell’avv. Porri).

Nel merito, la stessa eccepiva l’impossibilità di riconoscere mansioni superiori mai svolte né, tanto meno, formalmente autorizzate; l’intervenuta prescrizione quinquennale (cfr. C.S, sezione V, dec. n. 4251/2008) delle pretese patrimoniali in esame; come detta indennità dovesse compensare un’attività di servizio particolarmente gravosa e svolta in termini specifici, esclusivi e continuativi; essere stato il pronto soccorso di Cecina un d.e.u. non dal 1986 ma soltanto dal 1995.

All’esito della pubblica udienza di discussione la vertenza passava in decisione dopo un decreto monocratico precautelare (n. 6385/2010), un’ordinanza collegiale interlocutoria (n. 508/2011) ed un’ordinanza cautelare di accoglimento (n. 3805/2011).

Motivi della decisione

L’appello è infondato e va respinto nel merito (il che permette al collegio di tralasciare l’esame delle varie questioni preliminari prospettate), dovendosi condividere quanto affermato nell’impugnata pronuncia dai primi giudici, per l’impossibilità di riconoscere mansioni superiori mai svolte né, tanto meno, formalmente autorizzate; l’intervenuta prescrizione quinquennale (cfr. C.S, sezione V, dec. n. 4251/2008) delle pretese patrimoniali in esame, decorrente dalla data di presentazione del ricorso, ex art. 2948, c.c. (cfr. Corte cost., sentt. n. 63/1966, per l’impiego privato, e n. 143/1969, nonché n. 174/1972, per l’impiego pubblico, in tali ultimi casi legittimando il decorso della prescrizione in costanza di rapporto lavorativo); come detta indennità dovesse compensare un’attività di servizio particolarmente gravosa e svolta in termini specifici, esclusivi e continuativi: del che era mancata ogni prova (su 5.845 referti esaminati, solo 19 avrebbero potuto rientrare in ipotesi di terapia intensiva = 0,33% dei casi), ferma restando l’impossibilità di esaminare circa 20.000 referti nei soli 60 giorni concessi per adempiere all’istruttoria disposta dal T.a.r.; essere stato il pronto soccorso di Cecina un d.e.u. non dal 1986 ma soltanto dal 1995, senza per ciò solo che gli infermieri vi abbiano svolto attività continuativa di terapia intensiva (cfr. Cass. civ., sez. lavoro, sent. n. 9248/2008).

Dalla documentazione depositata in esecuzione della predetta ordinanza istruttoria, emessa dal T.a.r. adìto in prime cure, emergevano, infatti, sia la modestia dimensionale dell’ipotizzato reparto di terapia intensiva, sia la limitata incidenza quantitativa delle prestazioni di tale tipologia, in rapporto agli interventi di pronto soccorso: una percentuale minima, oscillante tra lo 0,5% ed il 3%, rispetto al totale degli interventi effettuati, per cui dette prestazioni non potevano che rientrare nella normale attività degli addetti al servizio di pronto soccorso, destinato spesso ad accogliere pazienti necessitanti di prestazioni di rianimazione o, comunque, di terapia intensiva.

Tale circostanza escludeva che le prestazioni in contestazione avessero rivestito quei caratteri di prevalenza, specificità, esclusività e continuità di svolgimento, rappresentanti il presupposto per il riconoscimento dell’ indennità in questione (come precisato dalle direttive della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della funzione pubblica, in data 21.3.1993, n. 1048593/6.2.31/736/TN), considerato che l’impegno dei ricorrenti nelle attività di terapia intensiva e rianimatoria non aveva assunto profili diversi rispetto ai compiti caratterizzanti, in generale, l’attività degli addetti ai servizi di pronto soccorso ed in cui devono intendersi ricompresi, in via occasionale e quando necessario, interventi su pazienti in situazioni critiche.

Conclusivamente, l’appello è infondato e va respinto, con salvezza dell’impugnata sentenza, mentre le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione V, respinge l’appello e condanna gli appellanti, debitori solidali, a rifondere all’A.s.l. n. 6 di Livorno le spese e gli onorari del secondo grado di giudizio, liquidati in complessivi euro tremila/00 (di cui euro trecento/00 per esborsi), oltre alle spese generali ed ai dovuti accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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