Cass. civ. Sez. II, Sent., 05-06-2012, n. 9058

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Svolgimento del processo

Con ricorso al Tribunale di Verona, L. n. 794 del 1942, ex art. 28, l’avv. C.C. esponeva: di aver prestato la propria opera di avvocato e procuratore a favore di G.M.L., nel procedimento civile pendente innanzi al Tribunale di Verona (R.G. n. 641/1999) riguardante l’azione proposta da G.A.M. nei confronti di G.M.L. e G.G., per la riduzione delle disposizioni di ultima volontà della madre C. M. (deceduta il (OMISSIS)) e per l’integrazione della propria quota di legittima; in tale giudizio il G. assumeva che la de cuius, con testamento pubblico per Notar P. M., aveva lasciato tutti i suoi beni alla figlia G.M.L., giustificando la esclusione dalla successione degli altri due figli, con le donazioni in favore degli stessi, di numerosi beni immobili, aventi valore superiore a quanto relitto alla figlia G.M.L..

Quest’ultima si costituiva e chiedeva, in via riconvenzionale che, accertate le donazioni indirette effettuate dalla madre in favore dei fratelli e determinato il patrimonio dalla de cuius, comprensivo del relictum e del donatum, fosse determinata la quota ereditaria a lei spettante.

Il ricorrente assumeva:

in data 18,12.2003, in corso di causa, aveva rinunciato al mandato difensivo, per il venir meno del rapporto di fiducia;

il valore della causa, ai fini del calcolo delle proprie competenze professionali, andava liquidato, D.M. n. 585 del 1994, ex art. 6, commi 1 e 2; art. 12 c.p.c., comma 2 ed art. 15 c.p.c., commi 1 e 3, con riferimento allo scaglione tra Euro 516.456,91 ed Euro 1.549.370,00;

il Consiglio dell’Ordine Avvocati di Verona aveva liquidato la parcella in Euro 31.853,71, senza che la propria cliente provvedesse al pagamento;

con ordinanza depositata il 26.11.2007 il Tribunale di Verona aveva determinato l’onorario a lui spettante in Euro 23.106,00 (detratti Euro 2.815,20 per acconti), oltre Euro 254,26 per spese non imponibili e competenze di legge. Avverso tale ordinanza G. M.L. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Resiste con controricorso l’Avv. C.C.. Le parti hanno depositato memoria.

La ricorrente premetteva che, già nel ricorso L. n. 794 del 1942, ex art. 28, aveva contestato il "quantum" preteso dal ricorrente, in quanto calcolato erroneamente, sulla base del "donatum e del relictum", ex art. 12 c.p.c., comma 2 anzichè, trattandosi di azione di riduzione, secondo il diverso criterio di cui al D.M. n. 585 del 1994, art. 6, comma 1, con riferimento "alla quota o al supplemento di quota in contestazione", posto che la determinazione della massa ereditaria e la riunione fittizia dei beni oggetto di divisione costituiva solo un calcolo matematico finalizzato alla determinazione della quota disponibile e di legittima onde verificarne l’eventuale lesione ex art. 556 c.c.; che il valore della causa andava, pertanto, rapportato a quello della legittima spettante a G.A.M., ammontante a complessivi Euro 33.743,80, in applicazione dell’art. 15 c.p.c., avuto riguardo al valore catastale dei due immobili oggetto dell’eredità materna e tenuto conto dell’atto di transazione 14.3.2001 con cui il fratello G.G. aveva riconosciuto la validità del testamento, impegnandosi a prestarvi acquiescenza.

Motivi della decisione

La ricorrente deduce:

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 10 c.p.c. e art. 12 c.p.c., comma 2, art. 15 c.p.c., comma 1; degli art. 556, 564 e 2233 c.c. in relazione alla L. n. 794 del 1942, art. 9, comma 3 come sostituito dalla L. n. 957 del 1949, nonchè del D.M. n. 585 del 1994, art. 6, commi 1, 2 e 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;

erroneamente il Tribunale aveva applicato le tariffe forensi relative ad un’azione di divisione anzichè ad un’azione di riduzione, peraltro infondata per difetto di lesione della quota di legittima, come emerso dalla C.T.U. per geom. L. Ci. e da quella per dr. T., diretta alla determinazione del valore degli immobili relitti;

il valore della controversia doveva determinarsi in Euro 33.743,80, pari alla quota di 2/9 del relictum, come pretesa da G.A. M., con conseguente applicazione dello scaglione da Euro 25.900,01 ad Euro 51.700, avuto riguardo al valore della quota o supplemento di quota in contestazione in subordine, considerata la riconvenzionale della G., doveva farsi riferimento alle cause di valore indeterminabile ed allo scaglione da Euro 51.700,01 ad Euro 103.300,00;

2) violazione e falsa applicazione della voce n. 12 della tabella B, nonchè delle voci n. 15 e n. 20 della tabella A della tariffa forense di cui al D.M. n. 585 del 1994, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

in assenza di significative deduzioni di udienza doveva escludersi il compenso per i diritti di avvocato di cui alle udienze del 22.4.99;

24.6.99; 14.10.99; 30.3.2000 e 14.3.2001; peraltro, l’onorario andava determinato "tra il minimo ed il massimo", in considerazione dell’effettiva attività di difesa svolta e non, indistintamente, nella media tra il minimo ed il massimo della tariffa;

il Tribunale aveva poi, erroneamente riconosciuto (voce n. 94 della parcella) onorari e diritti per l’opera prestata "per transazione con controparte G.G.", pur in difetto dell’abbandono della causa;

3) omessa e, comunque, insufficiente motivazione in violazione dell’art. 131 c.p.c., comma 3; dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4; l’ordinanza impugnata era priva di adeguata motivazione sul valore della causa rapportato all’azione di riduzione proposta dall’attore ed alla domanda riconvenzionale di riduzione delle donazioni indirette.

Il ricorso è infondato.

I motivi sub 1) e 3), da esaminarsi congiuntamente per la loro evidente connessione, sono infondati. L’ordinanza impugnata ha correttamente individuato il valore della causa con riferimento ad un giudizio avente ad oggetto, in relazione alle reciproche domande delle parti, la ricostruzione dell’asse ereditario e lo scioglimento della comunione (iniziata nel 1999 e seguita da rinuncia al mandato nel 2003), tenendo conto del valore dei cespiti ereditari in contestazione sulla scorta delle rendite catastali, quale elemento obiettivo di comparazione.

L’assunto della ricorrente, secondo cui il valore del giudizio di divisione andava determinato in relazione alla quota in contestazione, contrasta con il disposto del D.M. 5 ottobre 1994, n. 585, art. 6, comma 1 che concerne la liquidazione degli onorari a carico del soccombente (e non del cliente), ipotesi non ricorrente nella specie. Come, inoltre, affermato da questa Corte, "Le cause di riduzione per lesione di legittima sono assimilabili alle cause di divisione, ai fini della competenza per valore, perchè anch’esse postulano l’accertamento della consistenza dell’intero asse ereditario. Il loro valore deve essere, perciò, determinato con i criteri stabiliti dagli artt. 14 e 15 cod. proc. civ., secondo la natura,mobiliare od immobiliare, dei beni che costituiscono il patrimonio ereditario" (Cfr. Cass. n. 3970/75). La stessa ricorrente ammette, d’altronde, di aver chiesto, per la determinazione della porzione disponibile, l’accertamento dell’avvenuta disposizione di beni a titolo di donazione da parte del de cuius, del valore dei beni donati ed, in via riconvenzionale, la riduzione delle donazioni effettuate in vita dal padre.

E’ evidente, quindi, che, nella specie, non era in contestazione solo la quota spettante agli eredi pretermessi, ma l’entità della massa attiva da dividere con la conseguenza che il valore della controversia va determinato a norma dell’art. 12 e segg. c.p.c. (Cfr.

Cass. n. 11222/1997; n. 2978/81).

La censura sub 2) è inammissibile per la sua novità, trattandosi di questione non dedotta nel giudizio di merito; in particolare, rileva il Collegio che l’ordinanza impugnata ha condivisole poche censure sollevate in merito alla esposizione di diritti ed onoraci a pag. 9 della memoria difensiva sub a), b), d) "(riguardanti la voce "deduzioni d’udienza di cui al n. 12 della tariffa dei diritti, gli onori per l’assistenza alle udienze e l’opera prestata per la transazione con controparte G.G.); ha ritenuto, invece, spettare l’onorario per l’assistenza alla transazione in quanto "sicuramente conclusa". Si desume, quindi, dal tenore dell’ordinanza impugnata che le violazioni di cui al motivo sub 2) non sono quelle che il Tribunale ha asserito essere state indicate nelle memoria difensiva suddetta (ed accolte) nel giudizio di merito nè la ricorrente indica se e in quali termini le doglianze , fatte valere in sede di legittimità; erano state dedotte innanzi al Tribunale.

Quanto alla transazione la ricorrente si limita a riproporre una questione già esaminata dal giudice di merito senza attingere la motivazione sul punto, laddove si da atto della sicura conclusione della transazione intercorsa tra la cliente G.M.L. e G.G.. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.

Consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per spese oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 3 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2012

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