Cons. Stato Sez. V, Sent., 28-12-2011, n. 6922

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Il presente ricorso in appello è proposto dalla società indicata in epigrafe, la quale impugna in questa sede la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del FriuliVenezia Giulia con la quale è stato rigettato un ricorso ivi proposto avverso il provvedimento che non autorizzava il piano di adeguamento di una discarica in territorio di Pozzuolo del Friuli.

Questi i motivi dell’appello:

Violazione dell’art. 17 del decreto legislativo n. 36 del 2003, dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, carenza di istruttoria e dei presupposti; in quanto il provvedimento impugnato, anche se considerato "per relationem" al verbale della conferenza tecnica, non contiene alcuna motivazione che possa essere considerata tale, alla luce della documentazione presentata e del tempo trascorso;

Violazione della direttiva CE n. 31 del 1999, dell’art. 17, all. nn. 1 e 2, del decreto legislativo n. 36 del 2003, delle leggi regionali n. 15 del 2005 e n. 32 del 2005, nonché travisamento dei fatti, difetto dei presupposti, contraddittorietà, disparità di trattamento, carenza di istruttoria e di motivazione; poiché, ammessa la motivazione "per relationem", comunque la presenza di ammoniaca e di manganese non attiene al procedimento per l’adeguamento della discarica, ma avrebbe dovuto dare corso ad un separato procedimento per l’inquinamento della falda, oltre al fatto che tale presenza non è certamente in relazione a disfunzioni della discarica; mentre l’ordine di chiusura è errato, riferendosi la data del 1° ottobre 2009 alla fine dei lavori di adeguamento e comunque alle discariche per rifiuti pericolosi, occorrendo in ogni caso l’inizio di un nuovo procedimento per la chiusura dell’impianto; oltre al fatto che non si è tenuto conto che il problema della membrana riguarda gli impianti nuovi, mentre per quelli esistenti l’adeguamento non può che avvenire senza ignorare l’esistente, regolarmente autorizzato e in gran parte equivalente;

Violazione dell’art. 17 del decreto legislativo n. 36 del 2003, in relazione al Piano regionale dei rifiuti e al Programma provinciale di attuazione, contraddittorietà, carenza dei presupposti, dell’istruttoria e della motivazione; essendo stata inserita una retespia, secondo le indicazioni del Piano, di cui l’istruttoria non tiene alcun conto:

Violazione dell’art. 4 della legge regionale n. 15 del 2005, carenza di istruttoria e dei presupposti; non essendo stato reso il parere dell’ARPA;

Eccezione di illegittimità costituzionale degli artt. 17, 3 e 9 del decreto legislativo n. 36 del 2003, per contrasto con l’art. 174 del Trattato CE e della direttiva comunitaria n. 31 del 1999, nonché con gli artt- 3 e 41 Cost.; essendo previsto a livello comunitario il principio della precauzione, sulla base degli strumenti tecnici di volta in volta adottabili, mentre la individuazione di interventi rigidi contrasta anche con le norme costituzionali sul libero esercizio dell’impresa.

Violazione e falsa applicazione dell’art. 17, comma 5, del decreto legislativo n. 36 del 2003 e dell’art. 1 dello stesso decreto, violazione degli artt. 1, 2, 3, 7, 8 octies e 21 della legge n. 241 del 1990, incompetenza, difetto dei presupposti e dell’istruttoria; essendo pacifico che, a seguito del diniego dell’istruttoria, occorreva iniziare un apposito procedimento per la chiusura della discarica; oltre al fatto che la competenza all’adozione del provvedimento di chiusura atteneva alla competenza dirigenziale

Violazione dell’art. 10 della direttiva CE n. 31 del 1999, degli artt. 17, comma 5, 8, 12, 14 e 15, degli all. nn. I e II, del decreto legislativo n. 36 del 2003, dell’art. 1, comma 3, della legge regionale n. 32 del 2005, violazione del decreto legislativo n. 152 del 2006, carenza di istruttoria e della motivazione; non potendosi prevedere le misure di ripristino e le garanzie finanziarie per un piano di adeguamento non approvato, occorrendo prendere in considerazione i termini dell’autorizzazione originaria;

Violazione dell’art. 117 Cost., dei decreti legislativi n. 59 del 2005, n. 152 del 2006 e n. 36 del 2003, nonché carenza dei presupposti e della motivazione; in quanto, essendo la materia di competenza legislativa esclusiva statale, avrebbe dovuto trovare applicazione il decreto legislativo n. 152 del 2006.

Sia la Provincia di Udine che la Regione Autonoma del FriuliVenezia Giulia si costituiscono in giudizio e ne chiedono la reiezione, rilevando la nullità della notifica dell’appello, la mancanza di interesse, essendo comunque scaduto il termine per ricevere rifiuti, la inammissibilità dei nuovi documenti presentati in appello, la tardività dell’impugnazione del decreto del Presidente della Regione n. 266 del 2005, sulle garanzie finanziarie e l’infondatezza dell’appello nel merito.

L’appellante presenta successive memorie illustrative, nelle quali ribatte alle eccezioni avversarie e conclude per l’accoglimento dell’appello.

La causa passa in decisione alla pubblica udienza del 4 novembre 2011.

Motivi della decisione

L’appello è infondato nel merito.

In ordine, però, alle eccezioni proposte dagli appellati, quella relativa alla nullità della notifica alla Provincia di Udine, per essere intervenuta la stessa presso la segreteria del Tribunale amministrativo regionale del FriuliVenezia Giulia, è infondata, in quanto, in primo grado la detta Provincia e il suo procuratore risultano domiciliati presso la segreteria del TAR, ove è intervenuta la notifica dell’appello, che peraltro è andata a buon fine, in considerazione della costituzione della medesima Provincia nel giudizio di appello; mentre quella relativa alla errata notifica alla Regione FriuliVenezia Giulia, al di là del fatto che la eventuale nullità della notifica è stata sollevata da soggetto diverso, comunque va rilevato che la stessa è andata a buon fine, essendosi anche la Regione costituita regolarmente nel giudizio di appello.

Per quanto riguarda, poi, la eventuale inammissibilità dei documenti presentati per la prima volta in appello, può rilevarsi che gli stessi non presentano aspetti rilevanti ai fini del decidere, per cui può prescindersi dagli stessi.

Relativamente, peraltro, alla sopravvenuta carenza di interesse all’appello da parte dell’appellante, essendo ormai sopraggiunto il termine del 30 giugno 2009, va rilevato che comunque sussiste un interesse circa il negato adeguamento all’epoca intervenuto, nonché quello concernente le garanzie finanziarie concernenti il post chiusura.

Ciò premesso, il ricorso in appello, relativamente al merito dello stesso, è infondato.

Ed infatti, non può dirsi che non vi è motivazione, quando questa è individuata "per relationem" all’istruttoria posta in essere da un organismo tecnico (la Conferenza tecnica) che ha dato attente e precise considerazioni in ordine allo stato della discarica, mentre il fatto che le osservazioni dell’appellante non siano state apprezzate dalla stessa Conferenza non determina affatto una mancanza di istruttoria o di motivazione, mentre ancora il parere dell’ARPA è stato reso nella suddetta conferenza da parte della dott.ssa Marta Piazzotta che ha partecipato alla suddetta Conferenza tecnica.

Per quanto concerne il merito vero e proprio della vicenda (che è, poi, il punto centrale della controversia), non può dubitarsi che la Conferenza tecnica ha individuato valide ed effettive ragioni per dare corso alla propria proposta negativa sull’adeguamento della discarica, vale a dire la evidente criticità dell’impermeabilizzazione del fondo e dei fianchi della discarica, la grave contaminazione della falda per infiltrazioni dalla discarica medesima, fra l’altro, di ammoniaca e manganese (nonché per l’eccessivo incremento di volume), per cui appare corretta la motivazione con la quale è stato rifiutato il piano di adeguamento proposto.

La questione di costituzionalità proposta dall’appellante, per contrasto del decreto legislativo n. 36 del 2003 all’art. 117 Cost. non appare non manifestamente infondata, in quanto le norme di cui al provvedimento legislativo possono essere valutate in modo elastico, consentendo varie soluzioni alternative rispetto a quelle previste dalla normativa comunitaria. La questione, pertanto, non rileva, secondo il Collegio, ai fini della costituzionalità delle norme, trattandosi di valutazioni di merito da prendersi da parte dell’Amministrazione, che nel caso di specie non ha ritenuto equivalenti le misure predisposte dall’appellante per la discarica in questione.

Non è fondata, poi, la questione della sopravvenuta competenza statale in materia ambientale, a causa della sopravvenienza del decreto legislativo n. 152 del 2006, in quanto le regioni a statuto speciale, salva la uniformità del trattamenti sull’intero territorio nazionale, possono adottare procedimenti anche più rigorosi nella materia ambientale, mentre non può non rilevarsi che la procedura, iniziata con la procedura regionale, non poteva che essere proseguita con la stessa.

Anche quella parte dell’appello che si riferisce alla chiusura automatica dell’impianto e alle garanzie finanziarie connesse è, nel caso di specie, infondato.

Infatti, se pure è vero che l’art. 17, comma 5, del decreto legislativo n. 36 del 2003 stabilisce che in caso di diniego del piano di adeguamento della discarica, l’Amministrazione deve stabilire i tempi e i modi per la chiusura della discarica medesima, per cui, negato l’adeguamento, dovrebbe iniziare un altro procedimento tendente a stabilire le modalità di chiusura dell’impianto, con la individuazione delle connesse garanzie finanziarie, non può non rilevarsi che nel caso di specie, si è in presenza di un evidente e grave inquinamento della falda, che è in atto, con infiltrazioni di ammoniaca e di manganese, per cui la gravità della situazione e l’attualità di essa non consentivano alcuna dilazione, essendo necessaria rimuovere prioritamente le cause di inquinamento della falda, foriero di gravi conseguenze ambientali, sociali e umane, per cui la chiusura automatica della discarica e i conseguenti necessari incombenti finanziari per poter assicurare il risanamento non potevano certamente essere rinviati.

L’appello va, pertanto, rigettato.

Le spese di giudizio del presente grado seguono la soccombenza e si liquidano in complessivi Euro 3.000,00 (tremila/00), da suddividersi in parti uguali a favore delle amministrazioni appellate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese a carico dell’appellante, nella misura e con la ripartizione indicate in motivazione.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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