Cass. civ. Sez. II, Sent., 05-06-2012, n. 9048 Azioni a difesa della proprietà

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il tribunale di Pescara, con sentenza del 18.11.2004 – decidendo su una lunga controversia originariamente promossa dal lontano 1956 inizialmente con ricorso ai sensi dell’art. 1171 c.c., da F., M.C., A. e DI.GI.At. nei confronti di S.L., proprietario del terreno adiacente a quello di loro proprietà, sul cui confine egli aveva eretto una palazzina, aprendovi delle vedute ritenute irregolari – con successivo intervento nel giudizio di P.E., P.C. e P. B. aventi causa dalla menzionata d.G.F. – ordinava ad E. e S.C., eredi di S. L. (nelle more deceduto) nonchè all’impresa di costruzione A.E., di chiudere, per la parte di propria competenza, le luci e le vedute e di demolire i balconi ritenuti irregolari aggettanti nella proprietà P.; lo stesso tribunale rigettava la domanda degli attori P.C. e P.B. (eredi di D.G.M.C. ed aventi causa da P.E. e P.R., intervenuti in giudizio), tesa ad ottenere l’ulteriore domanda di risarcimento del danno, condannando i convenuti alla rifusione delle spese di lite. Per quanto riguardava in particolare tale domanda risarcitoria degli attori, il tribunale riteneva che essa era rimasta sfornita di prova, in ordine all’atteggiamento lesivo dei convenuti, al nesso di causalità ed al quantum, in mancanza di una richiesta di C.T.U. al fine di quantificare l’eventuale danno; mentre non era applicabile l’art. 96 c.p.c., La sentenza era appellata con autonomi atti di citazione da A.E. da una parte e S.C. ed E. dall’altra. Si costituivano E., B. e P.C. che chiedevano il rigetto dell’impugnazione e formulavano a loro volta appello incidentale, in relazione al mancato riconoscimento del loro diritto a conseguire ad opera dei convenuti, un risarcimento per i danni subiti. L’adita Corte d’Appello dell’Aquila con sentenza n. 209/09 depositata in data 2.8.2009 rigettava – per quanto ancora interessa in questa sede – l’appello incidentale proposta dai P. e limitava alle sole C. ed S.E. la condanna alla chiusura di luce e vedute ed all’arretramento dei balconi di cui trattasi. La corte distrettuale confermava in modo particolare la sentenza per quanto riguarda il rigetto della generica domanda per danni, anche in relazione all’art. 96 c.p.c. di cui mancavano i presupposti.

Avverso tale sentenza ricorrono P.E., P.C. e P.B. per cassazione sulla base di 2 motivi riguardanti il rigetto della loro domanda risarcitoria; resistono con controricorso S.C. e L.A.M., quest’ultima nella qualità di erede della madre S.E., che hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso gli esponenti denunziano la violazione dell’art. 1171 c.c. e degli artt. 112, 278 e 396 c.p.c..

Lamentano che il giudice di merito pur avendo accertato l’illegittimità dell’opera intrapresa dagli originari convenuti – ciò che implicava l’esistenza del danno – non aveva però proceduto all’individuazione di tutti i danni da essi subiti, rigettando la relativa domanda in quanto non provata. Invero gli esponenti avevano formulato in tal senso una specifica istanza istruttoria, chiedendo nelle conclusioni definitive proposte all’udienza del 15.4.1998, "la prosecuzione del giudizio per l’istruttoria mediante CTU circa la sussistenza e la valutazione del danno prodotto dalla nuova opera dalle S., anche per l’abnorme durata del processo, iniziato nel 1956 e proseguito perchè il Pretore non aveva vietato la prosecuzione della nuova opera ex art. 1172 c.c. tempestivamente denunciata".

Con il secondo motivo gli esponenti, denunciando la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 e dell’art. 96 c.p.c., censurano l’affermazione della Corte distrettuale, che rigettando la domanda per danno da lite temeraria aveva "rimproverato" ai P. (danneggiati) di non avere offerto "elementi che consentissero al giudice di stabilire, se del caso con l’ausilio di un consulente tecnico, l’effettiva entità del pregiudizio….", ignorando poi che gli stessi P. "avevano formalmente chiesto che l’istruttoria proseguisse, anche con quella CTU". Criticano inoltre il ragionamento del giudice a quo che aveva peraltro escluso la configurabilità della temerarietà della res litigiosa, in relazione alla ritenuta inesistenza dell’elemento soggettivo (mala fede o colpa grave).

Le doglianze – congiuntamente trattate stante la loro stretta connessione – non hanno giuridico fondamento.

Occorre evidenziare in premessa che i ricorrenti non hanno considerato che il giudice si era certamente pronunciato sulla loro domanda risarcitoria con la condanna delle controparti all’eliminazione delle vedute ed all’arretramento dei balconi non in linea con le distanze legali, ciò che equivaleva alla condanna al risarcimento del danno in forma specifica. Era dunque necessario – come ritenuto dal giudicante – che i P. fornissero la prova della natura e dell’entità dell’eventuale pregiudizio ulteriormente sofferto, da essi però neppure precisato (e neanche in concreto ipotizzato), e ciò a prescindere dal fatto se i P. avessero proposto (o meno) una domanda generica di risarcimento del danno ex art. 378 c.p.c. (v. sentenza p. 20).

Quanto alla CTU richiesta in sede di conclusioni, era pur sempre necessario indicare l’oggetto ed il tema d’indagine da sottoporre all’esame dell’ausiliare, ciò in quanto la consulenza tecnica non è qualificabile come mezzo di prova in senso proprio ma mezzo istruttorie volto ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze; la CTU è pertanto sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito (Cass. n. 6155 del 13.3.2009; Cass. 15219 del 05/07/2007).

Circa la domanda risarcitoria ex art. 96 c.p.c. questa S.C. ha evidenziato che "è onere della parte che richiede il risarcimento dedurre e dimostrare la concreta ed effettiva esistenza di un danno che sia conseguenza del comportamento processuale della controparte, sicchè il giudice non può liquidare il danno, neppure equitativamente, se dagli atti non risultino elementi atti ad identificarne concretamente l’esistenza, desumibili anche da nozioni di comune esperienza e dal pregiudizio che la parte resistente abbia subito per essere stata costretta a contrastare un’iniziativa del tutto ingiustificata dell’avversario" (Cass. n. 21393 del 04/11/2005). Ha inoltre precisato questa Corte che: "La condanna per responsabilità processuale aggravata, per lite temeraria, quale sanzione dell’inosservanza del dovere di lealtà e probità cui ciascuna parte è tenuta ….non può derivare dal solo fatto della prospettazione di tesi giuridiche riconosciute errate dal giudice, occorrendo che l’altra parte deduca e dimostri nell’indicato comportamento dell’avversario la ricorrenza del dolo o della colpa grave, nel senso della consapevolezza, o dell’ignoranza, derivante dal mancato uso di un minimo di diligenza, dell’infondatezza delle suddette tesi. (Cass. n. 15629 del 30/06/2010). Ciò premesso la Corte di merito ha escluso la sussistenza dei necessari requisiti dell’aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave (art. 96 c.p.c., comma 1), ciò che implica un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità, stante la corretta ed esaustiva motivazione (Cass. n. 327 del 12/01/2010). La Corte aquilana al riguardo ha invero fatto puntuale riferimento alla obiettiva difficoltà di ricostruire l’esatto confine esistente tra le proprietà delle parti; e messo in dubbio l’esistenza "di un nesso di causalità tra la pendenza del giudizio ed il mancato completamento della costruzione dei P…. se si considera che tale mancato completamento appare costituire il frutto, più che di una necessità imposta dalla predetta pendenza (giudiziaria), di una scelta liberamente assunta (anche se per apprezzabili ragioni di prudenza) dagli attori".

In conclusione il ricorso dev’essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono poste a carico della ricorrente.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 4.400,00, di cui Euro 4.200,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 6 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2012

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