Cass. civ. Sez. II, Sent., 05-06-2012, n. 9043 Reintegrazione o spoglio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. M.R. chiedeva in primo grado dichiararsi l’usucapione ventennale di un terreno di 4000 mq in Roma località Olgiata.

2. Il Tribunale (GOA) di Roma con sentenza n. 38089 del 2003 rigettava la domanda, dovendosi ritenere non usucapibile il terreno in questione perchè bene demaniale. Al riguardo rilevava che il terreno era stato acquisito gratuitamente in proprietà dal Comune di Roma per effetto della convenzione di lottizzazione della tenuta Olgiata del 1969, era destinato a parco pubblico, era ricompreso nel piano paesistico Veio-Cesano, era gravato da vincolo archeologico paesistico ed inserito nell’inventario dei beni comunali alla categoria A. 3. – Il Tribunale respingeva la domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni per indebita occupazione avanzata dal Comune di Roma in via riconvenzionale, perchè non provata.

4. La Corte di appello, adita da entrambe le parti, confermava la sentenza impugnata, respingendo l’appello principale e quello incidentale, compensando per 1/3 le spese del grado con condanna del M. per la restante quota al Comune di Roma.

5. M.R. impugna la suindicata sentenza articolando due motivi. Resiste e propone ricorso incidentale affidato a due motivi (il secondo condizionato) il Comune di Roma. M. resiste con controricorso al ricorso incidentale.

Motivi della decisione

1. Motivi del ricorso principale.

1.1 – Col primo non rubricato motivo il ricorrente non indica la violazione denunciata, lamentando che il giudice di merito non abbia disposto c.t.u. per accertare la natura del bene. Non vengono indicate le eventuali violazioni di legge, nè gli eventuali vizi di motivazione. Manca del tutto il quesito di diritto.

1.2 – Col secondo motivo il ricorrente deduce "errata interpretazione dell’art. 821 e ss. c.c." con riguardo alla qualificazione di demaniale del bene in questione. Richiama giurisprudenza di questa Corte e del Tar della Lombardia e non formula alcun quesito di diritto.

2. Il ricorso principale è inammissibile.

Il ricorso va dichiarato inammissibile, perchè, quanto alla formulazione dei quesiti, non risponde alle prescrizioni contenute nell’art. 366-bis c.p.c., applicabile ratione temporis (tenuto conto delle sopra indicate date di pronunzia e pubblicazione della sentenza impugnata) per effetto delle disposizioni regolanti il processo di cassazione introdotte dal D.Lgs. n. 40 del 2006. In particolare, l’art. 366 bis c.p.c. (inserito dall’art. 6 del citato decreto legislativo) prevede che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 l’illustrazione di ciascun motivo "si deve concludere a pena di inammissibilità con la formulazione di un quesito di diritto" e nel caso di cui al 5 con la "chiara indicazione del fatto controverso". In linea generale deve evidenziarsi che costituisce un dato ormai ampiamente recepito nella giurisprudenza della S.C. che la previsione dell’indispensabilità, a pena di inammissibilità, della individuazione dei quesiti di diritto e dell’enucleazione della chiara indicazione del "fatto controverso" per i vizi di motivazione imposti dal nuovo art. 366 bis cod. proc. civ., secondo una prospettiva volta a riaffermare la cultura del processo di legittimità, risponde all’esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della controversia diversa da quella cui è pervenuta il provvedimento impugnato, e, nel contempo, con più ampia valenza, di estrapolare, collaborando alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione (costituente l’"asse portante" della legge delega presupposto dal D.Lgs. n. 40 del 2006), il principio di diritto applicabile alla fattispecie. Pertanto, il quesito di diritto integra il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando altrimenti inadeguata, e quindi inammissibile, l’investitura stessa del giudice di legittimità (in questi termini v., ex multis, S.U. sent nn. 14385/2007; 22640/2007, 3519/2008, 11535/2008, S.U., n. 26020/2008 e ordinanza, sez. 1, n. 20409/2008).

Quanto ai requisiti ed alle caratteristiche del quesito, che deve necessariamente essere presente nel ricorso con riferimento a ciascun motivo (Cass. SU 2007 n. 36), ulteriormente è stato precisato che il quesito deve essere: a) esplicito (SU 2007 n. 7258; SU 2007 n. 23732;

SU 2008 n, 4646) e non implicito; b) specifico, e cioè riferibile alla fattispecie e non generico (SU 2007 n. 36, SU 2008 n. 6420 e 8466); c) conferente, attinente cioè al decisum impugnato e rilevante rispetto all’impugnazione (SU 2007 n. 14235).

In sintesi il principio di diritto deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame.

L’impugnazione in esame, pur deducendo nei motivi cui è affidata, violazione e falsa applicazione di norme processuali e sostanziali non contiene la formulazione di alcun quesito di diritto, che deve essere esplicita, non potendosi essa ricavare dal contesto dal contesto del mezzo di impugnazione (Cass. SU 2007 n. 7258).

2. Il ricorso incidentale.

Il ricorso incidentale è affidato a due motivi (il secondo condizionato) Col primo si denuncia "violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. e delle norme e dei principi in tema di risarcimento del danno; violazione e falsa applicazione gli artt. 2697 e ss. c.c. e delle norme e dei principi circa la prova del danno; violazione e falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c. e dei principi in tema di giudicato interno; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo la controversia; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5".

Osserva il ricorrente in via incidentale che la questione dell’occupazione del terreno non era stata posta in discussione, considerando che il M. la poneva a base della sua domanda e che il Comune non aveva contestato sul punto tale circostanza (deducendo invece la non usucapibilità del bene). Di conseguenza si era formato il giudicato interno in punto occupazione del terreno, capo della decisione che la Corte d’appello aveva conseguentemente violato. La Corte avrebbe dovuto riconoscere l’effettiva occupazione del terreno e di conseguenza accogliere la domanda (generica) di risarcimento del danno subito dal Comune. In particolare, osserva il Comune che la sentenza di primo grado aveva respinto la domanda di risarcimento del danno derivante dall’occupazione del terreno e da liquidarsi in separato giudizio "non avendo il Comune assolto al riguardo l’onere di cui all’art. 2697 c.c., in quanto non ha fornito la prova dell’esistenza e dell’entità del danno stesso". Aggiunge che il Comune di Roma aveva proposto appello sostenendo che la prova dell’esistenza del danno era rappresentata dall’occupazione del bene e la conseguente indisponibilità dello stesso e non fruibilità da parte della generalità dei cittadini. La Corte d’appello aveva respinto il motivo di impugnazione proposto osservando che "in realtà, considerando che la pronuncia si è arrestata alla verifica sull’assoggettabilità o meno del bene a usucapione, escludendola per il regime giuridico dei beni indisponibili, e che, conseguentemente, non è stato neppure affrontato l’esame dell’eventuale effettivo possesso e utilizzazione del bene da parte dell’appellante, è rimasto privo di prova il presupposto che il Comune ritiene in re ipsa". Osserva ancora il Comune che deve distinguersi fra la prova dell’entità del danno, domanda questa non avanzata perchè era stata richiesta la sola condanna generica e la domanda sulla esistenza del danno. Al riguardo il Comune chiede che la Corte voglia dichiarare che nella fattispecie trovano applicazione i seguente principi di diritto: "In mancata contestazione della circostanza di fatto come l’occupazione abusiva di un terreno rivendicato dall’occupante con anione di usucapione costituisce prova del fatto dedotto e non contestato e, qualora l’accertamento sul fatto stesso abbia avuto luogo con sentenza di primo grado non appellata, devesi dichiarare l’accertamento non più contestabile per avvenuto giudicato interno";

"l’occupazione senza titolo di un bene immobile di proprietà altrui, ed, in particolare, di un bene appartenente all’ente pubblico e destinato a pubblico servizio, deve considerarsi causativa di danni risarcibili e dell’esistenza del danno come richiesto con domanda di condanna generica".

Con il secondo motivo, formulato in via condizionata, il Comune denuncia "violazione e falsa applicazione degli artt. 824 e 822 c.c. nonchè degli artt. 1, 2 e 3 e dei principi di cui alla L. n. 1089 del 1939; violazione e falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c. e dei principi in tema di giudicato; omessa insufficiente contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5".

4. Il ricorso incidentale è fondato quanto al primo motivo, restando assorbito il secondo, formulato in via subordinata all’accoglimento del ricorso principale (vedi pagina 17 del ricorso incidentale).

Quanto al primo motivo, occorre rilevare che, come correttamente osservato dal ricorrente incidentale, la questione relativa alla occupazione del terreno era acquista al processo e non contestata, perchè fatto posto a fondamento della stessa domanda avanzata dall’attore. Sicchè, seppure la pronuncia aveva poi riguardato la astratta usucapibilità del bene, sia il giudice di primo grado che la Corte territoriale avrebbero dovuto tenerne conto nell’affrontare la domanda di risarcimento del danno avanzata in tale giudizio solo in via generica, non rilevando il comportamento tenuto in concreto dal Comune circa il terreno in questione, utile ai fini della prova dell’effettivo danno subito (il Comune, infatti, per oltre vent’anni nessuna attività aveva svolto al riguardo, nè si era attivato per utilizzare il terreno in questione per la sua destinazione, mostrando così disinteresse rispetto all’attuazione delle finalità sociale cui il terreno era destinato). L’attuata ed incontestata occupazione del terreno deve in linea generale considerarsi come potenzialmente causativa di danni risarcibili, rispetto ai quali è anche, in generale, compatibile la domanda di condanna generica.

Questa Corte, infatti, ha già avuto occasione di affermare che "nell’ipotesi di abusiva occupazione diparte di un terreno altrui, la privazione del possesso costituisce un fatto potenzialmente produttivo di effetti pregiudizievoli, idoneo a legittimare la pronunzia di condanna generica al risarcimento del danno, la quale si risolve in una declaratoria iuris che non esclude la possibilità di verificare, in sede di liquidazione, la reale esistenza del danno risarcibile" (Cass. n. 4129 del 14/07/1979 Rv. 400637).

5. – In definitiva il ricorso principale va dichiarato inammissibile, mentre va accolto il primo motivo del ricorso incidentale, assorbito il secondo. L’impugnata sentenza va cassata in relazione al motivo accolto e rinviata ad altra sezione della Corte di Appello di Roma, che si atterrà al principio di diritto su indicato e alla quale è rimessa anche la regolazione delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, dichiara inammissibile il ricorso principale; accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, assorbito il secondo, cassa in relazione al motivo accolto e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Roma, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2012

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