Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 05-06-2012, n. 9037

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 27.9 – 2.10.2006 la Corte d’Appello di Torino rigettò, previa loro riunione, i gravami proposti da C. M. e D.M.A. nei confronti della Amiat – Azienda Multiservizi Igiene Ambientale spa (qui di seguito anche indicata come Amiat) avverso le pronunce di prime cure che avevano respinto le loro domande di condanna della predetta Società al pagamento dell’una tantum prevista dall’art. 4, comma 12, CCNL 31.10.1995 per i dipendenti da aziende municipalizzate di igiene urbana.

A sostegno del decisum, la Corte territoriale ritenne quanto segue:

– era pacifico in causa che: gli appellanti erano stati giudicati inidonei alle mansioni di 2^ livello che svolgevano ed avevano chiesto di essere mantenuti in servizio in mansioni confacenti al loro stato di salute; l’Amiat aveva sospeso la procedura di licenziamento ed aveva convocato una riunione ove, alla presenza delle RSA, aveva offerto la ricollocazione in mansioni di primo e secondo livello (addetti presidio ingresso, addetti pulizie e piantoni benna); i lavoratori avevano rifiutato le nuove mansioni offerte ed erano stati quindi licenziati;

– secondo quanto già ritenuto dal primo Giudice, le prove dedotte dai lavoratori erano inammissibili, essendo documentalmente provato il puntuale rispetto della procedura prevista dall’art. 40 CCNL, sia in relazione all’accertamento sanitario sull’idoneità alle mansioni, sia in relazione alla partecipazione ed assistenza dei rappresentati sindacali;

– il contenuto concreto delle nuove mansioni offerte costituiva un profilo assolutamente irrilevante, tenuto conto che la loro pacifica appartenenza ad un profilo inferiore era aderente al dettato contrattuale e che le mansioni stesse erano state rifiutate dai lavoratori;

– quanto alla dedotta incompatibilità delle mansioni offerte con le condizioni fisiche, la questione (oltre che contraddetta dai documenti in atti) era comunque inammissibile, poichè tardivamente eccepita solo in grado di appello;

– il primo Giudice aveva condivisibilmente respinto la domanda sulla constatazione della eventualità della corresponsione dell’una tantum e della addebitabilità della risoluzione del rapporto di lavoro al comportamento dei lavoratori che aveva impedito il sorgere del relativo diritto, e tale interpretazione non era stata neppure specificamente censurata;

– in effetti la pretesa degli appellanti, pacificamente non totalmente inidonei, bensì inidonei solo alle mansioni cui erano addetti, urtava contro il dettato letterale della norma contrattuale, che espressamente prevede l’eventualità della corresponsione e la subordina al mancato raggiungimento dell’accordo; pertanto l’unica possibile interpretazione della norma era quella, contenuta nella sentenza appellata, a mente della quale il diritto all’una tantum sorge solo ed esclusivamente nei casi in cui il lavoratore venga licenziato a causa delle sue condizioni fisiche o perchè divenuto totalmente inidoneo ovvero perchè parzialmente inidoneo in assenza di altre mansioni da attribuire; la ragione della corresponsione dell’una tantum, vale a dire quella di aiutare il lavoratore che a causa delle sue condizioni fisiche perde il posto di lavoro, non ricorre infatti certamente nel caso in cui il lavoratore stesso, ancora idoneo allo svolgimento di certe mansioni, si rifiuta di continuare il rapporto di lavoro nonostante gli venga offerto l’espletamento di mansioni compatibili con il suo stato di salute;

– non era condivisibile l’assunto degli appellanti secondo cui, essendo stati licenziati per "comprovata incapacità lavorativa" ai sensi dell’art. 43, lett. f), del CCNL ed essendo stata loro interamente riconosciuta, ex art. 45 del CCNL, l’indennità sostitutiva del preavviso, avrebbero avuto diritto, con l’avvenuto esaurirsi della procedura ex art. 40 del CCNL, alla corresponsione dell’una tantum, poichè l’art. 40 del CCNL non ricollega l’erogazione dell’una tantum al realizzarsi della fattispecie di cui all’art. 43, lett. f) e alla corresponsione dell’indennità sostitutiva del preavviso, ma all’esperimento infruttuoso della procedura di riallocazione; avendo il primo Giudice interpretato tale esperimento infruttuoso della procedura di riallocazione come coincidente con l’ipotesi in cui la parte datoriale non riesca a trovare un’altra posizione lavorativa da offrire al lavoratore divenuto inidoneo, gli appellanti avrebbero dovuto – ma non l’avevano fatto – dedurre l’erroneità di siffatta interpretazione, sostenendo che l’una tantum avrebbe dovuto essere erogata anche nella diversa ipotesi del rifiuto da parte dei lavoratori delle mansioni loro offerte dall’azienda.

Avverso tale sentenza della Corte territoriale, C.M. e D.M.A. hanno proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi.

L’intimata Amiat ha resistito con controricorso, eccependone altresì la tardività.

Motivi della decisione

1. La sentenza impugnata è stata notificata il 18.10.2006 (cfr la relata in calce); come si evince dal cosiddetto timbro cronologico, il ricorso è stato consegnato all’Ufficiale Giudiziario il 18.12.2006 e, come da relata in calce, notificato lo stesso giorno;

il sessantesimo giorno dalla notifica della sentenza impugnata, ultimo utile per la proposizione del ricorso per cassazione ai sensi del combinato disposto dell’art. 325 c.p.c., comma 2 e art. 326 c.p.c., comma 1, cadeva il 17.12.2006, coincidente però con la giornata di domenica, con conseguente differimento del termine al giorno successivo; l’eccezione di intempestività del ricorso è quindi infondata.

2. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione di norme di diritto, nonchè vizio di motivazione, deducendo:

– l’erroneo apprezzamento della mansione offerta di piantoni benna;

– l’erronea valutazione del rispetto della procedura ex art. 40 CCNL;

– la mancata considerazione che, fin dai ricorsi introduttivi, era stata dedotta l’incompatibilità con le loro condizioni fisiche delle mansioni offerte di piantoni benna, contrariamente a quanto ritenuto dal medico aziendale, che si era limitato a prendere atto di quanto descritto nella scheda senza effettuare una verifica in concreto;

– l’omessa ammissione delle prove offerte;

– il mancato riconoscimento che la contrattazione collettiva prevede il diritto all’una tantum a favore del lavoratore parzialmente inidoneo che abbia richiesto di essere mantenuto in servizio;

– l’avvenuto riconoscimento in precedenza e in casi analoghi dell’una tantum da parte della datrice di lavoro e l’idoneità delle prove offerte a comprovarlo.

Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: "Questa Eccellentissima Corte di Cassazione si pronunzi se il Giudice di Primo e secondo grado, per decidere la fattispecie dedotta in ricorso, avevano il dovere di assumerne le prove da porre a fondamento della loro decisione e se la loro mancata assunzione abbia concretizzato la violazione dell’art. 115 c.p.c., oltrechè la violazione dell’art. 420 c.p.c., commi 4 e 5".

2.1 Osserva la Corte che l’art. 366 bis c.p.c. è applicabile ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore (2.3.2006) del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (cfr, D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 2) e anteriormente al 4.7.2009 (data di entrata in vigore della L. n. 68 del 2009) e, quindi, anche al presente ricorso, atteso che la sentenza impugnata è stata pubblicata il 2.10.2006.

In base alla norma suddetta, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, sempre a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. Secondo l’orientamento di questa Corte il principio di diritto previsto dall’art. 366 bis c.p.c., deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 20360/2007), mentre la censura concernente l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 20603/2007). In particolare deve considerarsi che i quesito di diritto imposto dall’art. 366 bis c.p.c., rispondendo all’esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con una più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica della Suprema Corte di Cassazione, il principio di diritto applicabile alla fattispecie, costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio generale, e non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regola iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 11535/2008; 19892/2007). Conseguentemente è inammissibile non solo il ricorso nel quale il suddetto quesito manchi, ma anche quello nel quale sia formulato in modo inconferente rispetto alla illustrazione dei motivi d’impugnazione; ovvero sia formulato in modo implicito, sì da dovere essere ricavato per via di interpretazione dal giudice; od ancora sia formulato in modo tale da richiedere alla Corte un inammissibile accertamento di fatto; od, infine, sia formulato in modo del tutto generico (cfr, ex plurimis, Cass., SU, 20360/2007, cit).

2.2 Con il motivo di ricorso all’esame sono stati denunciati sia la violazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), che il vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5); il ricorso non contiene tuttavia il richiesto momento di sintesi diretto a circoscrivere i limiti delle censure inerenti ai lamentati vizi motivazionali.

2.3 Quanto al quesito di diritto, lo stesso è dei tutto generico, non contenendo alcuno specifico richiamo alla fattispecie concreta a cui dovrebbe riferirsi, cosicchè, quale che fosse la risposta datagli, la stessa non consentirebbe, proprio per la genericità del quesito, di riconoscere la fondatezza o meno della doglianza svolta.

Inoltre esso non contiene alcuna enunciazione di una regula iuris, limitandosi in sostanza ad un mero interpello sulla fondatezza delle doglianze svolte.

2.4 Ne discende l’inammissibilità del motivo.

3. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 40 e ss CCNL 1995 per i dipendenti da aziende municipali di igiene urbana, nonchè vizio di motivazione, deducendo che la normativa contrattuale avrebbe dovuto essere interpretata nel senso che al lavoratore inidoneo alla mansione (ma idoneo ad altra collocazione lavorativa), in possesso dei requisiti di anzianità di servizio e di anzianità anagrafica, spetta l’una tantum qualora egli abbia chiesto ed ottenuto dall’azienda che fosse posta in essere la procedura di riallocazione, essendo del tutto indifferente il suo eventuale rifiuto della muova mansione a lui proposta dall’azienda medesima.

3.1 La doglianza inerente al denunciato vizio di motivazione è inammissibile, poichè il motivo si conclude con un quesito di diritto relativo all’interpretazione della normativa contrattuale, ma non contiene il prescritto momento di sintesi volto a circoscrivere i limiti delle censure inerenti ai pretesi vizi motivazionali.

3.2 Quanto al profilo di doglianza relativo alla dedotta violazione delle normativa collettiva, deve osservarsi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi su cui il ricorso si fonda – imposto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella nuova formulazione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – non può dirsi soddisfatto con la trascrizione nel ricorso delle sole disposizioni della cui violazione il ricorrente si duole attraverso le censure alla sentenza impugnata, dovendosi ritenere che la produzione parziale di un documento sia non solamente incompatibile con i principi generali dell’ordinamento e con i criteri di fondo dell’intervento legislativo di cui al citato D.Lgs. n. 40 del 2006, intesi a potenziare la funzione nomofilattica della Corte di cassazione, ma contrasti con i canoni di ermeneutica contrattuale dettati dagli artt. 1362 c.c. e ss. e, in ispecie, con la regola prevista dall’art. 1363 c.c., atteso che la mancanza del testo integrale del contratto collettivo non consente di escludere che in altre parti dello stesso vi siano disposizioni indirettamente rilevanti per l’interpretazione esaustiva della questione che interessa (cfr, ex plurimis, Cass., n. 15495/2009; 27876/2009;

28306/2009; 2742/2010; 3459/2010; 3894/2010; 4373/2010; 6732/2010;

11614/2010).

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno inoltre affermato che il novellato art. 366 c.p.c., comma 6, oltre a richiedere la "specifica" indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto; tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità (cfr, Cass., SU, n. 28547/2008). Ancora le Sezioni Unite hanno precisato, per quanto qui specificamente rileva, che l’onere del ricorrente, di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 7, di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, "gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda" è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti, ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 6, degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi (cfr, Cass., SU, n. 22726/2011).

3.3 Nel caso che ne occupa i ricorrenti non hanno prodotto, unitamente al ricorso per cassazione, il testo integrale del contratto collettivo contenente la normativa in tesi erroneamente interpretata dalla Corte territoriale, nè hanno specificato se e quando tale testo integrale sia stato eventualmente prodotto nelle fasi di merito, nè ove il medesimo sia eventualmente reperibile nei dimessi fascicoli di parte di primo e secondo grado.

3.4 Ne discende l’inammissibilità anche del secondo motivo di ricorso.

4. In definitiva il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 40,00 (quaranta), oltre ad Euro 3.000,00 (tremila) per onorari, spese generali, Iva e Cpa come per legge.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2012

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