Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 08-04-2011) 22-11-2011, n. 43259

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con sentenza in data 10/5/2010 la Corte di Appello di Torino confermava la sentenza emessa dal Giudice monocratico del Tribunale di Torino in data 27-3-2009, nei confronti di B.D., imputato dichiarato responsabile del delitto di cui all’art. 624 c.p., art. 61 c.p., n. 11, per essersi impossessato della somma di Euro 15.000,00 che aveva sottratto a Bu.Gi., (che la custodiva all’interno dell’abitazione), fatto avvenuto tra il (OMISSIS).

Per tale reato all’imputato era stata inflitta la pena di anni uno di reclusione ed Euro 300,00 di multa, previa concessione delle attenuanti generiche, con il beneficio della sospensione condizionale, oltre la condanna al risarcimento del danno sofferto dalla costituita parte civile, liquidato in complessivi Euro 20.000,00.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore, deducendo, con il primo motivo, la erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p., comma 2, e la manifesta illogicità della motivazione,ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lettera B) ed E).

Sul punto rilevava che la motivazione resa dal giudice di primo grado era basata su meri indizi, inadeguati, ad avviso del ricorrente,a fornire una prova della responsabilità del prevenuto, considerato dal giudice l’unica persona che avrebbe potuto commettere il reato per cui si procede.

Ad avviso della difesa, inoltre, la motivazione della sentenza di appello si rivelava del tutto illogica,in quanto fondata su mere congetture, prive di elementi individualizzanti,ovvero direttamente riferibili all’imputato. Si censurava in tal senso la decisione per erronea valutazione delle risultanze indiziarie, prive dei caratteri della precisione e concordanza.

In particolare il ricorrente riteneva illogica l’ipotesi avanzata in sentenza,secondo la quale l’imputato – (che peraltro è parente del proprietario di casa e ne era ospite) – avrebbe simulato un tentativo di estranei di accedere all’abitazione, essendo stata trovata una corda all’esterno di un balcone; censurava anche la valutazione a carico dell’imputato del comportamento tenuto a seguito dell’evento, per non avere egli avvertito l’amico del fatto compiuto da terzi.

A riguardo il difensore rilevava che il B. si era trovato in imbarazzo verso il Bu., e che, essendo convinto che non si fosse verificato alcun furto,aveva taciuto.

Il ricorrente rilevava anche l’assenza di univoci indizi, atteso che – pur riconoscendo che l’imputato era a conoscenza della esistenza della scatola in cui si trovava il danaro, e che avesse egli stesso provveduto a trasportarla in cantina, mancavano prove della conoscenza del contenuto della scatola, e del fatto che il proprietario l’avesse poi trasferita nella stanza da letto.

Nè avrebbe assunto significato univoco, ad avviso della difesa, la circostanza che l’imputato avesse la disponibilità delle chiavi di casa, essendo certo che egli viveva nell’abitazione.

D’altra parte sarebbe stata insignificante ad avviso della difesa anche la circostanza che l’imputato avesse acquistato dopo il furto un’auto di pregio, essendo stato precisato dal predetto che la vettura era del 1995, e dunque di modesto valore.

In base a tali rilievi il ricorrente chiedeva dunque l’annullamento della sentenza per illogicità della motivazione.

Motivi della decisione

Il ricorso deve ritenersi inammissibile.

Invero la Corte territoriale ha motivato in modo adeguato in merito alle richieste avanzate in sede di impugnazione dalla difesa, evidenziando come il giudizio di responsabilità a carico dell’imputato si fondasse sul contenuto delle dichiarazioni rese dalla persona offesa dal reato, la quale aveva consentito di accertare la condotta ascritta all’imputato, e d’altra parte ha motivato sulla attendibilità della persona offesa, che non aveva travisato la realtà dei fatti.

Inoltre è stato accertato che l’imputato,secondo le dichiarazioni della persona offesa, aveva effettuato un trasferimento degli oggetti esistenti nella stanza ove si trovava il denaro e tali elementi non sono stati smentiti in fatto dalla difesa in grado di appello.

Nè potrebbe ritenersi viziata da illogicità la motivazione che rende la Corte ove desume dal comportamento manifestato dall’imputato post delictum un elemento di conferma della tesi accusatoria,atteso che il Giudice di appello argomenta in base a circostanze di fatto ascrivibili indubbiamente all’imputato, ponendole nel complesso degli elementi di prova, restando fondamentale a riguardo la deposizione della persona offesa, che – secondo giurisprudenza di questa Corte – si ritiene anche da sola sufficiente ad integrare la prova della responsabilità dell’imputato, purchè attentamente vagliata nell’attendibilità. (v. Cass. Sez. 4, sentenza del 9.4.2004, n. 16860, Verardi e altro – RV227901 -).

In tal senso deve rilevarsi che le censure in fatto formulate nei motivi di ricorso, non essendo idonee a configurare alcun vizio di legittimità del provvedimento impugnato riconducibile alla disposizione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. B ed E, si rivelano come tali inammissibili, apparendo anche meramente ripetitive e tendenti alla diversa interpretazione delle risultanze vagliate in modo esauriente e congruo dal giudice di merito,nell’ambito del potere discrezionale nella valutazione degli elementi di prova.

La Corte deve pertanto dichiarare l’inammissibilità del ricorso,condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre che al versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende,che si ritiene di dover determinare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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