Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 19-10-2011) 23-11-2011, n. 43301

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con l’ordinanza impugnata, sopra indicata, il Tribunale di Catanzaro ha rigettato il riesame proposto da I.F., confermando l’ordinanza applicativa della massima misura custodiale, emessa dal Gip di quel tribunale il 16.12 2010, per il delitto di associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico e commesso reati fine.

2. Ricorre lo I. e denuncia palese mancanza ed illogicità della motivazione, che ha a sua volta confermato il provvedimento genetico, altrettanto viziato, perchè consistente nella ricopiatura, pedissequa, della richiesta della Procura. Il Tribunale pur dando atto della sovrapponibilità dei due testi, che escludeva la esistenza di un autonomo ragionamento, tuttavia riteneva che il giudice monocratico avesse comunque valutato e fatte proprie le ipotesi accusatorie e le avesse condivise, mediante la riproduzione integrale del testo della richiesta. Non aveva tuttavia rilevato che il Gip aveva del tutto omesso l’esame della documentazione prodotta dalla difesa, che attestava la estraneità al fatto.

Nel merito, poi, solleva la violazione dell’art. 273 c.p.p., atteso che la sola circostanza d fatto che ricollega il ricorrente alla esecuzione della condotta di cui al capo 168 (coltivazione di cannabis in un terreno adiacente la proprietà della madre) è il ritrovamento nel fabbricato rurale ivi esistente dei suoi documenti e del suo portafogli, fatto del tutto neutro e non individualizzante.

Invero, il Tribunale del Riesame avrebbe valorizzato un dato, quello della vicinanza tra i fondi dove era impiantata la coltivazione e quello frequentato dallo I. per evidenti ragioni di parentela, del tutto smentito dalle riprese effettuate dalla PG in occasione dell’intervento e del sequestro della piantagione, che attestava come gli appezzamenti fossero naturalmente separati e distinti. Contesta, ancora, che le telefonate intercettate tra altri indagati valgano a comporre il quadro indiziario, dati i contenuti generici, o interpretati illogicamente o al più relativi al fratello dell’indagato.

Anche in ordine alla ravvisata partecipazione alla associazione, nega che le conversazioni offrano indizi sia sulla identificazione del Michele, ivi citato, nel fratello del ricorrente, sia del fatto che costui si occupasse della coltivazione invernale della canapa, e come egli fosse parimenti interessato alla piantagione e con la consapevolezza di far parte di una specifica associazione, specie se si considera che non è mai stato visto in compagnia di altri associati. In ultimo, rileva che l’episodio di spaccio attestato da un consumatore è risalente al (OMISSIS) e quindi non conferente, dato che la associazione è contestata come esistente dal (OMISSIS).

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso non ha fondamento.

2. Il tribunale della libertà, pur in presenza di dati grafici assolutamente coincidenti e sintomatici della integrale copiatura da parte del Gip della richiesta avanzata dal requirente, non ha affatto esclusa la esistenza di un autonomo ragionamento del giudice monocratico, sotto il profilo che il provvedimento cautelare si presentava formalmente completa e sostanzialmente manifestava adesione alle tesi accusatorie, il che presupponeva non la mera ed acritica condivisione, ma un previo vaglio positivo, che si era poi tradotto nell’integrale riproduzione delle ragioni esposte dall’organo proponente.

3. Così ragionando, il giudice distrettuale si è richiamato al principio più volte espresso da questa Corte di legittimità, secondo cui, in materia di misure cautelari, l’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere, in cui sia stata trasfusa integralmente e alla lettera la richiesta del pubblico ministero, non può essere considerata nulla per mancanza assoluta di motivazione, se risulta che il giudice abbia preso cognizione del contenuto delle ragioni dell’atto richiamato, ritenendole coerenti alla sua decisione e sia possibile instaurare, nel procedimento incidentale, un effettivo e trasparente contraddittorio tra le parti, assicurando concretamente all’indagato il diritto di difesa e permettendo al giudice sovraordinato di controllare la rilevanza, la pertinenza e la concludenza degli elementi posti a base del giudizio di probabile reità e l’"iter" logico attraverso il quale si perviene alla decisione.

4. Poichè in motivazione, il tribunale ha affrontato i temi introdotti dallo I. con il riesame ed ha dialetticamente esaminato gli elementi indiziari, controllandone le fonti ed elaborandone i significati,è evidente che la denunciata acriticità della ordinanza genetica è stata di fatto superata dall’ autonoma susseguente motivazione; ciò è in linea con il principio giurisprudenziale, affermato con uniformità, secondo cui il provvedimento restrittivo della libertà personale e l’ordinanza che decide sul riesame sono strettamente collegati e complementari, con la conseguenza che la motivazione dell’ordinanza del Tribunale della libertà integra e completa l’eventuale carenza di quella del G.i.p. ed allo stesso modo la motivazione insufficiente del giudice del riesame ben può ritenersi integrata da quella del provvedimento impugnato. Ne consegue che laddove si faccia questione della sufficienza, congruità ed esattezza delle indicazioni presenti nel provvedimento cautelare concernenti gli indizi e le esigenze cautelari, legittimamente il tribunale integra e sana la motivazione insufficiente del provvedimento impugnato.

5. Nemmeno il secondo motivo di impugnazione è meritevole di accoglimento.

6. E’ noto infatti che i gravi indizi di colpevolezza" richiesti per l’adozione di una misura cautelare personale ( art. 273 cod. proc. pen.) non si identificano con gli "indizi" che rappresentano la prova logica o indiretta idonea a fondare il giudizio di colpevolezza (art. 192, comma 2), in quanto ai fini cautelari è sufficiente un giudizio di qualificata probabilità in ordine alla responsabilità dell’imputato.

7. Tanto è da riconoscere nel caso in esame, posto che il giudice distrettuale ha dato logica lettura degli elementi – peraltro plurimi – che collegavano la figura dello I. alla struttura associativa di cui si discute.

8. Vale su tutto osservare che la circostanza del ritrovamento dei documenti del ricorrente nel fondo attiguo a quello ove era stata impiantata la coltivazione di 198 piante di canapa indiana, non è un elemento isolato ed in conferente, giacchè attesta che, comunque, l’indagato frequentava i luoghi; il ricorrente insiste nella deduzione che egli avrebbe potuto smarrire il portafogli nella zona, limitrofa alla proprietà della madre e perciò abitualmente frequentata, ma si tratta di elemento di contorno, laddove il tribunale distrettuale ha messo in evidenza ben altra sequenza indiziaria, costituita dalle conversazioni intercettate a carico dei coindagati, dalle quali risultava lo spessore criminale del fratello M., indicato come valente coltivatore di canapa, anche nel periodo invernale, della destinazione di parte dei proventi al mantenimento degli associati in carcere, della posizione subalterna del F. al fratello, essendo i due indicati rispettivamente come il braccio e la mente organizzatrice, della familiarità del F. con altro indagato, S.P., il cui terreno di cui si è detto, attivato ad illecita coltivazione, era limitrofo a quello del F.; tale intimità era desunta non solo dalla vicinanza dei terreni, ma anche da una specifica conversazione tra il figlio dello S. ed un terzo, nel corso della quale essi paventavano l’arresto dell’odierno indagato, dopo la scoperta ed il sequestro delle piantagioni.

9. A fronte di una adeguata valutazione dei dati indiziari, sorretta dall’ esame logico delle espressioni usate nei dialoghi, per la verità esplicite in materia di coltivazione di droga ed altrettanto chiare quanto al legame, non solo parentale, ma affaristico- produttivo tra i due fratelli I., il ricorrente introduce in questa sede censure di merito, in quanto dirette alla rilettura delle conversazioni, in chiave peraltro meramente dubitativa sulla certezza che il ricorrente avesse consapevolezza del suo operare in favore di un gruppo associato.

10. E’ da rilevare al riguardo che il giudice ha individuato nei rapporti di frequentazione fra i sodali la conoscenza degli I. con i coindagati e soprattutto ha sottolineato come l’inserimento del ricorrente era desumibile dalla stabilità del suo apporto, non certo limitato ad una coltivazione di piccolo scala, ma esteso a ben sei aree a ciò vocate, di cui 5 fra loro collegate da un comune impianto di irrigazione.

11. Sul punto, il ricorso non opera alcun confronto dialettico, limitandosi a generiche ed indistinti rilievi di insufficienza della motivazione, che non hanno ragione d’essere.

12. Il ricorso è in definitiva da rigettare ed il ricorrente è da condannare al pagamento delle spese processuali.

13. La cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda la cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *