Cons. Stato Sez. VI, Sent., 28-12-2011, n. 6899

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La società 4. M. T. srl, ammessa in un primo momento ad un consistente finanziamento pubblico per la realizzazione di un complesso turistico in Tropea, impugna per revocazione la sentenza di questo Consiglio di Stato n. 2276 del 14 aprile 2009 che, nel respingere il ricorso in appello, ha confermato la sentenza del Tar del Lazio n. 4043 del 7 maggio 2007 recante la reiezione del ricorso di primo grado avverso la revoca del suddetto finanziamento disposta a seguito di informativa prefettizia antimafia.

2.Assume parte ricorrente che nell’adottare la impugnata sentenza questo Consiglio di Stato sarebbe incorso in un macroscopico travisamento dei fatti, supponendo l’esistenza di un fatto (e cioè il pericolo di infiltrazioni mafiose nell’ambito della società ricorrente) la cui verità era invece da escludere sulla base delle chiare emergenze della istruttoria processuale. Da tale deduzione la ricorrente fa discendere la sussistenza dei presupposti per la revocazione della impugnata sentenza, ricorrendo in particolare – nella sua prospettazione – i presupposti dell’errore di fatto revocatorio. Conclude pertanto per la revoca della sentenza impugnata, con vittoria di spese, competenze ed onorari di causa.

Si sono costituite in giudizio le Amministrazioni intimate per resistere al ricorso e per chiederne la reiezione.

All’udienza del 6 dicembre 2011 la causa è stata trattenuta per la sentenza.

3 Il ricorso per revocazione in esame risulta inammissibile.

Giova premettere che l’errore di fatto revocatorio, legittimante ai sensi dell’ art. 106 del cod. proc. amm. e dell’art. 395 n. 4 del cod. proc. amm., l’applicazione del rimedio straordinario della revocazione di una sentenza, ricorre esclusivamente quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente accertata, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ha pronunciato (cfr.tra le tante, Consiglio di Stato, VI, 6 luglio 2010 n. 4305; Consiglio di Stato, ad. plen., 17 maggio 2010 n. 2).

La giurisprudenza ha più volte chiarito che l’errore che consente di rimettere in discussione il decisum con il rimedio – si ripete – straordinario della revocazione non è quello che coinvolge, se del caso, l’attività valutativa dell’organo decidente, ma piuttosto quello volto ad eliminare l’ostacolo materiale che si frappone tra la realtà del processo e la percezione che di essa ha avuto il giudicante, errore derivante da una inappropriata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio. Deve trattarsi quindi di una svista, obiettivamente ed immediatamente rilevabile, senza che la questione sulla quale l’errore è maturato abbia costituito un punto controverso sul quale ha pronunciato la sentenza impugnata per revocazione

Nella specie è al contrario evidente che l’asserito errore di fatto altro non sia che il medesimo vizio di legittimità fatto valere nell’ambito dei due gradi di giudizio. Ed invero i profili di errore evidenziati nel ricorso all’esame non attengono ad alcun errore materiale del giudice ma coinvolgono piuttosto, inammissibilmente, la sua attività valutativa in relazione al materiale probatorio dal quale è stato desunto il pericolo di infiltrazioni mafiose per la società ricorrente, originariamente beneficiaria di un finanziamento pubblico sottoposto a successiva revoca.

4. A parere della ricorrente, la questione centrale sulla quale sarebbe maturato l’errore revocatorio consiste da un lato nella non corretta identificazione del soggetto a carico del quale sarebbero stati ravvisati gli elementi indiziari di vicinanza agli ambienti della criminalità organizzata e, dall’altro, nella inconsistenza del materiale probatorio acquisito, costituito da sospetti e congetture dell’Autorità prefettizia, non supportati da riscontri fattuali idonei a formulare un giudizio così severo e gravido di conseguenze pregiudizievoli.

In particolare la società ricorrente assume che in relazione all’amministratore unico della stessa società nessun elemento avrebbe potuto autorizzare conclusioni negative riguardo alla presunta permeabilità dell’ente societario agli ambienti della criminalità organizzata, e che in ogni caso le valutazioni da cui sono stati tratti gli elementi indiziari negativi sono state compiute soltanto con riferimento al padre del predetto amministratore, del tutto estraneo alla compagine sociale.

Senonchè questo che la ricorrente assume essere stato un preteso errore materiale del giudicante nella percezione della realtà processuale, a suo dire legittimante il rimedio revocatorio, è stato al contrario un punto decisivo della causa, in ordine al quale il giudicante si è profuso con approfondita motivazione che ha investito non soltanto la natura giuridica delle informazioni che il Prefetto rende alle Amministrazioni ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. 490 del 1994, ma anche la non irragionevolezza della determinazione assunta nello specifico dall’Autorità prefettizia, con riferimento ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi della società ricorrente..

Premesso che è estraneo all’ ambito cognitorio proprio della fase rescindente del giudizio di revocazione ogni apprezzamento in ordine alla congruità ed alla adeguatezza delle valutazioni espresse sul punto dal giudicante, qui è sufficiente osservare che il giudicante: a) ha avuto piena consapevolezza del fatto che "la causa interdittiva evidenziata dall’Amministrazione dell’interno sussisteva in relazione, in particolare, ad un soggetto terzo (il sig. A. F. M., genitore dell’amministratore unico della società 4. M. T.) che aveva determinato in qualche modo le scelte o gli indirizzi della società ricorrente"; b) ha preso in esame tutti i distinti pregiudizi che attingevano il predetto ed ha concluso per la non irragionevolezza, nei limiti del sindacato giurisdizionale ammesso in una materia caratterizzata da lata discrezionalità amministrativa, della impugnata informativa prefettizia. E tanto, evidentemente, per i rischi che quella persona (nella sua qualità di imprenditore edile e di genitore convivente dell’amministratore unico della società) potesse rendere permeabile la società ai condizionamenti del crimine organizzato (soprattutto in relazione ai lavori da espletarsi per la realizzazione del complesso turistico).

5. Da quanto fin qui detto emerge, dunque, che il presente ricorso per revocazione è inammissibile, in quanto è chiaramente diretto a contestare proprio la valutazione del fatto operata dal giudice, lamentandosi una presunta erronea valutazione delle risultanze processuali nella definizione della questione controversa, che, invece, è stata risolta sulla base di un attento esame critico della documentazione acquisita e sulla base di pacifici canoni ermeneutici in ordine alla natura delle informative antimafia quali misure di prevenzione generale contro il crimine nonchè alla estesa discrezionalità che la legge intesta, in questa materia, in capo all’autorità prefettizia.

In ogni caso, proprio sulla rilevanza delle informazioni raccolte dall’Ufficio territoriale del Governo di Vibo Valentia e sulla loro capacità di integrare i requisiti motivazionali di un’informativa negativa, la sentenza revocanda si è specificamente pronunciata, integrandosi in tal modo la circostanza prevista dal n. 4 dell’art. 395 c.p.c. quale elemento ostativo al perfezionamento della fattispecie revocatoria.

In definitiva, per i rilievi svolti, il ricorso per revocazione va dichiarato inammissibile per carenza dell’invocato presupposto legittimante (errore di fatto revocatorio, ex art. 395, n. 4, cpc), non ravvisandosi nel caso di specie un caso di errore di fatto che abbia avuto incidenza causale determinante sulla impugnata decisione.

Le spese e gli onorari del presente giudizio di revocazione seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello (RG n. 3791/2010), come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Condanna la società ricorrente al pagamento, in favore delle intimate amministrazioni costituite, delle spese e degli onorari del presente giudizio di revocazione, che liquida in complessivi euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre IVA e CAP come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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