Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 07-10-2011) 23-11-2011, n. 43298 Associazione per delinquere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 18 maggio 2011, il tribunale della Libertà di Lecce ha rigettato la richiesta di riesame, avanzata da N. T., ristretto in carcere con provvedimento del Gip di quel Tribunale, per il delitto di associazione a delinquere finalizzata al narco traffico e numerose fattispecie di continuate di cessione di stupefacenti, commessi in (OMISSIS) e comuni limitrofi fino al (OMISSIS).

Il tribunale condivideva la ricostruzione della vicenda, come eseguita dal Gip alla cui ordinanza rimandava. Risultava, infatti, dal compendio delle intercettazioni in atti, cui erano di riscontro le operazioni di polizia sul territorio, che si era formato negli anni 2009-2010, un gruppo criminale, capeggiato da D.M., munito di una struttura organizzativa ben precisa, perchè aveva, accanto al vertice organizzativo, individuato nel D. ed nei suoi più stretti collaboratori, ossia la moglie P.E., M.A., B.P., S.L., anche altri soggetti, fra i quali il N., addetti allo spaccio nel territorio di loro competenza ed al recupero dagli acquirenti dei relativi crediti per conto della associazione; di detta rete, che era supportata anche dall’utilizzo di mezzi strumentali comuni, quali telefoni cellulari e auto,dall’uso di un linguaggio gergale comune agli adepti, che celava la trattazione degli affari, ma era anche di facile decripticità, venivano messe in evidenza le caratteristiche di stabilità, desunte dalla ripetitività degli episodi criminosi, che si profilavano come un flusso costante di rifornimenti subito destinati allo spaccio minuto eseguito da pushers di riferimento, e dalla convergenza delle azioni tutti ad un fine comune e programmato.

Indicava sia con riferimento al reato associativo che con riferimento alle singole e molteplici occasioni di spaccio le telefonate i cui contenuti erano significativi e probanti in ordine ai fatti delittuosi e dimostravano la piena adesione anche dal profilo soggettivo del ricorrente al sodalizio.

2. Ricorre il N. e deduce che la serie indiziaria a suo carico è frutto di una motivazione carente ed illogica, posto che la lettura delle conversazioni registrate attesterebbe la sua condizione di tossicodipendente, alla ricerca affannosa di denaro per pagare le personali forniture, assolutamente incompatibile con la ipotesi accusatoria; che al di là delle conversazioni, non sono in atti altre acquisizioni probatorie dimostrative della attività di spaccio; che è ingiustificato il mancato riconoscimento della ipotesi attenuata per lo spaccio e senz’altro immotivata la partecipazione associativa, avendosi solo la prova di contatti con il D. ed al più con altro indagato, il R.; che dal profilo cautelare, la massima misura non è giustificata, data la risalenza nel tempo di fatti ascrittigli; sottolinea poi che il Tribunale si è rifatto alla presunzione di cui all’art. 275 c.p.p. per la associazione D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74, senza individuare specifiche esigenze social preventive.

Motivi della decisione

1. Il motivo di ricorso in punto di gravità indiziaria è infondato e va rigettato, mentre è da accogliere quello relativo alle esigenze cautelari, con il consequenziale rinvio al giudice di merito.

2. Il ricorrente deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), ma il ragionamento esposto nella ordinanza dai giudici di merito non presenta evidenti manchevolezze, nè salti logici, tali da inficiarne la validità. 3. Infatti, i giudici del riesame hanno considerato che il N. era uno stabile componente della associazione, per la quale curava la distribuzione al minuto della droga, esaminando approfonditamente le conversazioni telefoniche in atti da cui emergeva che l’indagato non era affatto in contatto con il capo, ossia il D., per acquisire dosi ad uso personale, dato che egli acquistava settimanalmente, secondo modalità costanti, e che faceva esplicito riferimento alla rivendita delle stesse a terzi, circostanze tutte altamente sintomatiche del suo inserimento nella organizzazione.

4. La individuazione del suo ruolo, la costanza dei suoi traffici, la conoscenza dei canali di rifornimento, predisposti dal D., cui egli faceva riferimento e di cui discuteva con il capo della associazione, il trasferimento dei corrispettivi alla cassa comune, la sua iniziativa nella raccolta dei proventi, per escludere cessioni a credito ai consumatori, di cui aveva informato il D., le continue sollecitazioni di costui ad essere puntuale nella rimessa dei proventi, elementi desunti dalle intercettazioni, il cui linguaggio criptico è stato decifrato con impeccabile ragionamento logico, sono stati valutati come indizi inequivoci della affectio societatis.

5. E’ noto che l’associazione può essere ravvisata anche nei confronti dei componenti la rete dei piccoli spacciatori, purchè tutti i soggetti abbiano la consapevolezza di agire nell’ambito di una organizzazione, nella quale l’attività dei singoli si integrano strumentalmente per la finalità perseguita e purchè l’acquirente – rivenditore sia stabilmente disponibile, inoltre, a ricevere le sostanze stupefacenti con tale continuità da proiettare il singolo atto negoziale oltre la sfera individuale, come elemento della complessiva ed articolata struttura organizzativa.

6. Tanto è stato ravvisato nel caso del N., posto che era acquisito dal tenore dei colloqui registrati, riportati in seno alla impugnata ordinanza, che egli conosceva tutti i suoi consorti, riconosceva la gerarchia interna alla organizzazione, tanto da rivolgersi al luogotenente del D. per problemi pratici, si informava sui canali di rifornimento e si atteneva al ruolo assegnatogli ed alle procedure di raccolta dei proventi, stabilite dal D..

7. Ora a fronte di detta completa motivazione, che affronta i punti centrali del tema della responsabilità e non si sottrae ai rilievi che la difesa aveva messo in evidenza per escludere la rilevanza e la congruità del materiale raccolto a carico del ricorrente, è evidente che in questa sede non può procedersi ad alcuna altra lettura alternativa o rivisitazione della vicenda, come sostanzialmente suggerito con i motivi di impugnazione, specie per quanto riguarda la interpretazione dei dialoghi captati.

8. A seguito della riforma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il vizio di omessa motivazione può essere dedotto solo quando il giudice di merito ha ingiustificatamente negato l’ingresso nella sua decisione ad un elemento di prova, risultante dagli atti processuali, dotato di efficacia scardinante dell’impianto motivazionale, non invece quando il giudice di merito ha dato, coerentemente ed esaustivamente, una valutazione degli elementi di prova diversa da quella prospettata dal ricorrente. Parimenti, l’illogicità manifesta e la contraddittorietà della motivazione sussistono quando gli altri atti del processo, specificamente indicati nel gravame, inficiano radicalmente, dal punto di vista logico, l’intero apparato motivazionale e non invece quando sono stati coerentemente ed adeguatamente valutati nel provvedimento di merito, seppure in modo diverso rispetto alla tesi prospettata. (sez. 6 n. 35964 del 2006).

9. Nel caso in esame, la motivazione del tribunale distrettuale risponde ai detti requisiti di completezza e logicità, e non può dunque essere messa in discussione.

10. E’ invece fondata la lagnanza concernente la applicazione della massima misura, motivata dal tribunale sulla presunzione di pericolosità sociale di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3. 11. Infatti, la detta presunzione assoluta è stata oggetto della nota pronuncia n. 231 del 2011 della Corte Costituzionale, che ne ha dichiarato la contrarietà agli artt 13 e 17 della Carta e ha rilevato che essa non è affatto legittimata dalla gravità astratta del reato associativo di cui all’art. 74 L.S., in quanto lo stesso, diversamente da quello di tipo mafioso, non presuppone necessariamente la creazione di strutture complesse e radicate nel territorio, si dispiega in una ampia gamma di forme, di diversa gravità e di diverso peso quanto a pericolosità ed allarme sociale.

La detta pronuncia ha perciò affermato che la presunzione sancita dall’art. 275 c.p.p., comma 3 va trasformata da assoluta in relativa, con la conseguente possibilità di applicare misure custodiali e restrittive diverse da quella massima, quando siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che l’adeguatezza di altre misure a soddisfare le esigenze cautelari.

12. Pertanto, il giudice del merito dovrà verificare in concreto secondo principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità, dettati dall’art. 275 cod. proc. pen. per le misure cautelari personali, l’esclusività o meno della misura custodiale ai fini social preventivi, tenendo conto dei rilievi formulati in sede di riesame e ribaditi nella presente impugnazione.

13. La cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alle esigenze cautelari e rinvia per nuovo esame sul punto al Tribunale di Lecce.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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