Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 05-06-2012, n. 9024 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza in data 8.6/20.7.2006, confermava la decisione di primo grado che dichiarava la nullità del termine apposto al contratto stipulato fra le Poste Italiane e M.M. il 22.10.1999, ai sensi dell’art. 8 del CCNL 26.11.1994, "per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane". Osservava in sintesi la corte territoriale che il contratto era stato stipulato in assenza di alcuna valida autorizzazione da parte della contrattazione collettiva, per la scadenza dei limiti temporali di vigenza degli accordi conclusi dalle parti sociali ai sensi della disposizione della L. n. 56 del 1987, art. 23. Per la cassazione della sentenza propongono ricorso le Poste Italiane con otto motivi, illustrati con memoria. Resiste con controricorso l’intimata.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 1372 c.p.c., comma 1, artt. 1175, 1375, 2697, 1427 e 1431 c.c.; art. 100 c.p.c., la società ricorrente lamenta che i giudici di appello avevano trascurato di valutare un complesso di circostanze idonee a qualificare il comportamento della parte intimata come tacita acquiescenza alla avvenuta risoluzione del rapporto di lavoro.

Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 in relazione agli artt. 112, 324, 346 e 434 c.p.c., art. 2909 c.c., la società ricorrente rileva che il giudice di primo grado, affermata la piena validità dell’accordo integrativo del 25.9.2007, aveva ritenuto l’illegittimità del contratto inter partes solo per carenza di prova del necessario nessuno di causalità fra la specifica assunzione e la previsione contrattuale, sicchè, in difetto di appello incidentale, la contestazione della validità del contratto in relazione ai suoi limiti di vigenza temporale doveva ritenersi preclusa dal giudicato.

Con i motivi dal terzo al sesto la società ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) della L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 2, della L. n. 56 del 1987, art. 23 e dei criteri di ermeneutica contrattuale in relazione agli accordi collettivi intercorsi, nonchè vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5), deduce che il potere normativamente attribuito alla contrattazione collettiva di individuare nuove ipotesi di assunzione a termine, in aggiunta a quelle già stabilite dall’ordinamento, configura una vera e propria "delega in bianco" in favore delle organizzazioni sindacali, le quali, pertanto, potevano legittimare il ricorso al contratto a termine non solo per causali di carattere oggettivo, ma anche meramente soggettivo, sicchè resta precluso al giudice di individuare limiti ulteriori, anche di ordine temporale, atti a circoscrivere l’ambito di operatività delle ipotesi di contratto a termine individuate in sede collettiva.

Con il settimo motivo, prospettando violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 1206, 1207, 1217, 1218, 1219, 1223, 2094 e 2099 c.c.), la società ricorrente deduce che la corte di merito,pur riconoscendo il diritto della lavoratrice alle retribuzioni con decorrenza dalla messa in mora, aveva omesso di verificare l’effettiva sussistenza di tale situazione e, comunque, l’eventuale aliunde perceptum, che non poteva che essere genericamente dedotto dal datore di lavoro.

Con l’ottavo motivo, infine, denuncia contraddittorietà della motivazione, per avere, da un lato, affermato il principio per cui il pagamento delle retribuzioni presuppone la messa in mora del datore di lavoro, per aver dato rilievo, dall’altro, ad un atto non contenente alcuna offerta della prestazione.

2. Il primo motivo è infondato.

Come questa Corte ha più volte affermato "nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la vaiutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto" (v. Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, Cass. 11- 12-2001 n. 15621).

Tale principio va enunciato anche in questa sede, rilevando, inoltre, che, come pure è stato precisato, "grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fme ad ogni rapporto di lavoro" (v. per tutte Cass. 2-12-2002 n. 17070).

Circostanze che, con corretta motivazione, la corte territoriale ha ritenuto nel caso non provate, alla luce dell’impossibilità di arguirle solo dal decorso del tempo maturatosi prima della proposizione del ricorso, non senza considerare che, comunque, il reperimento di altre occasioni di lavoro è strumentale alla necessità di sopperire ad elementari bisogni di vita ed , in difetto di un più specifico contesto di riferimento, non è, pertanto, di per sè solo significativo di una univoca volontà di rinunciare al diritto e che ancor meno significativa appare la percezione di indennità (quali il TFR) dovute ex lege per effetto della cessazione del rapporto di lavoro.

3. Il secondo motivo è inammissibile.

Afferma la società ricorrente che le violazioni oggetto della censura emergono "dalla disamina degli atti processuali dei precedenti gradi del giudizio". Tali atti, nondimeno, non risultano nè indicati nella loro esatta collocazione negli atti di causa, nè trascritti in seno al ricorso, con conseguente violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e del canone della necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione che, come noto, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, impone alla parte che denuncia, in sede di legittimità, il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie e processuali, l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento o delle risultanze processuali trascurati o erroneamente interpretati dal giudice di merito, provvedendo alla relativa trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse, dato che questo controllo, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, deve poter essere compiuto dalla Corte di cassazione sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (v. da ultimo Cass. n. 18854/2010, SU ord. n. 7161/2010, SU n. 22726/2011).

4. Con riferimento ai motivi dal terzo al sesto, vanno, quindi, ribaditi i principi, ormai acquisiti, che questa Suprema Corte ha affermato con riferimento alla disciplina dell’istituto nel sistema vigente anteriormente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001.

Questa Corte ha, infatti, affermato, sulla scia di Cass. S.U. n. 4588/2006, che "l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato" (v. Cass. n. 21063/2008,v. anche Cass. n. 9245/2006, Cass. n. 4862/2005, Cass. n. 14011/2004). "Ne risulta, quindi, una sorta di "delega in bianco" a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato" (v., fra le altre, Cass. n. 21062/2008, Cass. n. 18378/2006).

In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive, la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. n. 18383/2006, Cass. n. 7745/2005, Cass. n. 2866/2004). In particolare, come questa Corte ha più volte rilevato, "in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1" (v., fra le altre, Cass. n. 20608/2007, Cass. n. 7979/2008, e da ultimo ad es. Cass. n. 6294/2011; Cass. n. 7502/2011).

5. Riguardo al settimo motivo, la difesa della società ricorrente ha dedotto, quanto alle conseguenze economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine, l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7.

In ordine a tale questione, va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens, che la nuova disciplina del rapporto controverso sia pertinente alle censure formulate col ricorso, tenuto conto della natura del giudizio di legittimità, il cui perimetro, come noto, è limitato dagli specifici motivi del ricorso (cfr. Cass. n. 10547/2006).

In tal contesto, è necessario che il motivo del ricorso, che investa, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia, altresì, ammissibile, secondo la disciplina sua propria. In particolare, con riferimento alla disciplina invocata, la necessaria sussistenza della questione ad essa pertinente presuppone, nel giudizio di cassazione, che i motivi del ricorso investano specificatamente le conseguenze patrimoniali dell’accertata nullità del termine, che non siano tardivi, generici, o affetti da altra causa di inammissibilità, ivi compresa la mancata osservanza del precetto dell’art. 366 bis c.p.c., ove applicabile ratione temporis.

In caso di assenza o inammissibilità di una censura in ordine alle conseguenze economiche della clausola di durata, illegittimamente apposta, il rigetto per tali cause dei motivi non può, quindi, che determinare la stabilità e irrevocabilità delle statuizioni di merito contestate.

Premessi tali principi, è da rilevare che, nel caso, la società ricorrente sostiene che la corte territoriale ha omesso di verificare se vi fosse stata effettiva costituzione in mora del datore di lavoro da parte della lavoratrice e che, in ogni caso, la domanda imponeva di dar riconoscimento agli incrementi economici conseguiti per attività lavorative svolte alle dipendenze e nell’interesse di terzi.

Formula, infine, i seguenti quesiti: "1) Per il principio di corrispettività della prestazione, il lavoratore – a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine stipulato – ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui agli artt. 1206 e ss. c.c.; 2) In ipotesi di accertamento della nullità dell’apposizione del termine al contratto di lavoro e di riconoscimento, a titolo risarcitorio, delle retribuzioni maturate, in applicazione delle previsioni di cui agli artt. 1218 ss. c.c. e degli artt. 2043 e ss. c.c., devono detrarsi i ricavi percepiti o percepibili facendo uso dell’ordinaria diligenza…dal lavoratore (sul quale grava conseguentemente l’onere di provare di aver posto in essere ogni attività utile ad eliminare o limitare il danno) che sarebbero stati incompatibili con la prosecuzione della prestazione lavorativa".

I quesiti descritti, nondimeno, risultano non conformi al precetto dell’art. 366 bis c.p.c., per risolversi nella enunciazione astratta delle regole vigenti nella materia, senza enucleare il momento di conflitto rispetto ad esse del concreto accertamento operato dai giudici di merito.

II quesito di diritto, che la norma richiede a pena di inammissibilità del relativo motivo, deve, infatti, essere formulato, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, in maniera specifica e deve essere chiaramente riferibile alla fattispecie dedotta in giudizio (cfr. ad es. Cass. SU n. 36/2007 e n. 2658/2008), dovendosi ritenere come inesistente un quesito generico, parziale o non pertinente.

In proposito, per come rilevato, a fini esemplificativi, da SU (ord) n. 2658/2008, "potrebbe apparire utile il ricorso ad uno schema secondo il quale sinteticamente si domandi alla Corte se, in una fattispecie quale quella contestualmente e sommariamente descritta nel quesito (fatto), si applichi la regola di diritto auspicata dal ricorrente in luogo di quella diversa adottata nella sentenza impugnata", le ragioni della cui erroneità siano adeguatamente illustrate nel motivo medesimo.

I quesiti posti dalla società ricorrente non risultano conformi ai canoni interpretativi indicati perchè – va ribadito – inidonei ad esprimere, in termini riassuntivi, ma concretamente pertinenti all’articolazione delle censure in relazione alla fattispecie controversa, il vizio ricostruttivo addebitato alla decisione.

6. Inammissibile è anche l’ultimo motivo.

Si deve, infatti, osservare che la corte calabra ha nel caso accertato che la costituzione in mora del datore di lavoro era stata operata con apposita comunicazione (nella quale si rinveniva "una chiara ed esplicita manifestazione di volontà" della lavoratrice di offrire le prestazioni lavorative) e su tale presupposto ha determinato il danno risarcibile.

A fronte di tale accertamento era, pertanto, onere della società ricorrente documentare, con la trascrizione dell’atto di messa in mora, l’erronea valutazione delle risultanze di causa, per come richiesto dal già rammentato principio di necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione.

In mancanza, deve ritenersi l’inammissibilità della relativa censura.

7. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 40,00 per esborsi ed in Euro 3.000,00 per onorari, oltre a spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 26 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2012

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