Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 07-10-2011) 23-11-2011, n. 43296

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

S.A. ricorre avverso l’ordinanza, indicata in epigrafe, con cui il Tribunale della Libertà di Napoli, decidendo in sede di rinvio, ha confermato l’ordinanza emessa dal Gip di quel Tribunale, con cui gli era sta applicata la misura della custodia cautelare in carcere perchè indagato del delitto continuato di cui all’art. 513 bis c.p. aggravato L. n. 203 del 1991, ex art. 7. Era accaduto che il Tribunale del riesame aveva, in precedenza, annullato la misura custodiale, sul presupposto che nel paradigma normativo non potessero ricondursi i comportamenti dello S., perchè non connotati da specifici episodi di violenza o minaccia per scoraggiare la concorrenza e favorire la società Paganese Trasporti, quale unico vettore di prodotti ortofrutticoli sulle tratte (OMISSIS), operando pressioni sui commercianti. Il giudice distrettuale aveva dato atto che S.A. ed il fratello erano in stretto contatto con personaggi di spicco dei clan mafiosi siciliani e campani e che gli stessi nel gestire il commercio di prodotti ortofrutticoli erano incaricati di ritirare dai trasportatori altre somme, oltre quelle dovute per il trasporto, determinate in misura fissa per ogni camion movimentato e destinate a personaggi appartenenti alle associazioni anzidette; che le conversazioni intercettate attestavano i rapporti privilegiati con la soc. Paganese, a sua volta ditta di riferimento del clan dei Casalesi; che numerosi episodi ponevano in luce come vi fosse un asse Sfraga-Pagano tendente a monopolizzare a loro favore il mercato ortofrutticolo, in quanto i clan siciliani imponeva i suoi prodotti in (OMISSIS) ed i casalesi mantenevano, senza concorrenza, le tratte per il trasporto. La illecita concorrenza però non era ravvisabile, perchè non accompagnata da atti intimidatori, concretamente riferibili agli S., che si erano solo avvalsi della manifestata vicinanza ad associazioni di tipo mafioso e perchè non era la azione degli S. concretamente finalizzata a favorire la srl Paganese.

Annullata l’ordinanza con sentenza di questa corte, in Tribunale del riesame, investito nuovamente della decisione, ha richiamato il principio di diritto, cui era tenuto ad uniformarsi, concernente la configurabilità del reato, sotto il profilo che l’utilizzo del metodo mafioso non ha bisogno della minaccia aperta e della violenza fisica e che si era verificato l’assoggettamento degli imprenditori alla volontà ed alle regole del sodalizio dominante, ledendosi così la libertà di impresa ed il libero giuoco della concorrenza.

Nello specifico ha individuato la sussistenza di gravi indizi a carico dello S., oltre che da quelli in precedenza enunciati nel testo del provvedimento annullato, ripreso per esteso e graficamente riportato, anche dall’analisi delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, certo Costa che confermavano ulteriormente dell’ipotesi accusatoria.

In punto di esigenza cautelari, ha rilevato che la presunzione non era contrastata da alcun concreto elemento contrario.

Lo S. deduce violazione di legge e mancanza di adeguata motivazione, atteso che il tribunale distrettuale non aveva individuato i presupposti della appartenenza o la contiguità dello S. ad associazioni mafiose e l’utilizzo del metodo; non vi era al riguardo alcun indizio del personale contributo dato per la affermazione della Paganese quale monopolista, e soprattutto che vi era un accordo in tal senso tra le due consorterie territoriali e che egli ne era a conoscenza. La vicinanza alle cosche era da escludere, considerato che lo S. non era incolpato di partecipazione, non era stata identificata l’eventuale famiglia di riferimento, le personali relazioni non avevano alcuna consistenza indiziaria;

inoltre, non vi erano elementi per asserire dell’esistenza di comportamenti concreti a favore della Paganese, come desumibile dalla contabilità relativa alla sua impresa, che solo occasionalmente si era rivolta a tale società, mai, neanche, caldeggiata presso altri imprenditori.

Con il secondo motivo, lo S. si duole della dedotta esistenza di esigenze cautelari, essendo la sua impresa stata sottoposta a misura di prevenzione, sicchè è impossibile la reiterazione del delitto, nè essendovi elementi relativi agli altri due presupposti.

Motivi della decisione

Il ricorso è da dichiarare inammissibile.

Il tribunale della libertà, nella decisione del ricorso, si è attenuto al principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione, cui era vincolato ed ha esaurientemente e con motivazione adeguata spiegato le ragioni di merito che imponevano la conferma della ordinanza applicativa della massima misura cautelare.

Ha, infatti, non sottraendosi affatto alle censure poste dall’interessato, ha precisato come costui, pur non ponendo in essere atti specifici di violenza, avesse utilizzato quel metodo mafioso, di minaccia implicita, e non aperta, o esplicita, come indicato nella pronuncia di rinvio, individuando i seguenti specifici elementi indiziaria) le risultanze dei dialoghi intercettati, che attestavano la caratura criminale del fratello dello S., M., braccio destro dell’odierno ricorrente, che agiva sotto la sua supervisione.

I due, soci nella gestione della loro impresa, avevano costituito una rete di commercianti cui imponevano i loro prodotti, come risultava dalle indagini; b) A. aveva mantenuto i rapporti con gli ambienti (OMISSIS), imponendo la Paganese, come risultava sia da dialoghi intercettati tra rivenditori (OMISSIS) ed il P., sia da conversazioni tenute da costui con lo S., sia dalla attività posta in essere da costui per salvaguardare la società Paganese dalla richiesta estorsiva formulata in (OMISSIS) da un altro operatore del settore.

Ora tali circostanze, unitamente al dato non contestato che S. A. curava la raccolta del "pizzo" per ogni carico da destinare alle associazioni delinquenziali territoriali, attestano senz’altro una pressione di tipo mafioso nel detto ambito commerciale dei trasporti e segnalano indubbiamente il profilo soggettivo delle condotta, tesa ad eliminare la concorrenza a favore di un unica società di trasporto.

Tanto premesso, il ricorrente con le sue doglianze esula dal perimetro del sindacato di legittimità, giacchè ripropone una diversa lettura dei dati processuali, senza tener conto che il principio di diritto, esposto dalla sentenza di questa corte n. 6462 del 2011, nel rimettere gli atti al giudice di merito, sostanzialmente aveva indicato le aporie del ragionamento della prima ordinanza e segnalato gli errori di impostazione ed vizi di motivazione, proprio in forza degli elementi di fatto che il giudice di merito aveva elencato e valutato nella loro oggettività, sicchè in pratica la configurabilità dell’ipotesi accusatoria sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo, era ravvisabile sol che venisse rimossa la contraddittorietà dell’argomentare; come detto il giudice di rinvio si è puntualmente conformato ed ha adeguato il tessuto motivazionale al dictum della Corte.

E’ evidente che non vi era spazio per una diversa ricostruzione dei dati indiziari raccolti, già raccolti, nè tantomeno si può sollecitare in questa sede un simile controllo, una volta che l’ordinanza ha fatto applicazione corretta di quanto enunciato nella citata sentenza.

Del tutto infondata è poi la doglianza relativa alla adeguatezza della misura cautelare; il ricorrente ripropone le medesime considerazioni già svolte innanzi al giudice di merito e che costui ha correttamente valutato e ritenute insufficienti per la esclusione della presunzione assoluta di adeguatezza della misura della custodia cautelare in carcere.

E’ da rammentare che il superamento della presunzione della L. n. 203 del 1991, ex art. 7 presuppone la allegazione di elementi che facciano ragionevolmente escludere la pericolosità, nella specie non riscontrati, con ragionamento adeguato, dal giudice di merito, e perciò non sindacabile in questa sede.

Consegue alla declaratoria di inammissibilità la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille a favore della cassa delle ammende. La cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille a favore della cassa delle ammende.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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