Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 05-06-2012, n. 9012 Rinunzie e transazioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 5/11 maggio 2009 il Tribunale di Roma rigettava le domande proposte da B.M.B. ed altri litisconsorti nei confronti del datore di lavoro Ina Assitalia S.p.A., volte a computare nella base di calcolo del TFR gli accantonamenti, effettuati nel corso del rapporto, pari ad una percentuale della retribuzione per il finanziamento del trattamento previdenziale integrativo agli stessi spettante.

Avverso tale decisione proponevano appello i soccombenti, sostenendo l’erronea valutazione da parte del Tribunale degli accordi e delle quietanze a saldo prodotte dalla controparte, l’infondatezza dell’eccezione di compensazione sollevata dall’appellata in primo grado, la sussistenza nel merito del diritto alla pretesa azionata.

L’appellata si costituiva e chiedeva il rigetto dell’impugnazione riproponendo le difese e le eccezioni già sollevate in primo grado.

Con sentenza del 4 novembre – 14 dicembre 2010 l’adita Corte d’appello di Roma rigettava il gravame.

A sostegno della decisione osservava che fra l’Azienda e ciascuno dei ricorrenti erano intercorsi accordi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro e successivi atti di quietanza delle competenze di fine rapporto con la corresponsione di un "bonus" aggiuntivo di importo rilevante, comportanti (oltre alla rinuncia del lavoratore ad ogni ulteriore pretesa comunque dipendente dal rapporto) la "compensazione" rispetto ad eventuali rivendicazioni future. Orbene, poichè dagli atti emergeva che "gli importi richiesti in giudizio erano di gran lunga inferiori a quelli ottenuti come bonus all’atto della risoluzione", nulla potevano pretendere i lavoratori, le cui domande erano per ciò stesso da ritenersi infondate.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorrono parte dei lavoratori soccombenti con due motivi. Resiste INA Assitalia S.p.A. con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con il primo motivo i ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1241, 1242, 1243, 1246 e 1252 c.c., ed insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio, lamentano che i giudici del merito abbiano deciso la causa sulla base dell’eccezione di "compensazione", e sostengono che essi avrebbero dovuto invece accertare "l’esistenza del diritto per cui si controverte", cioè la fondatezza della "pretesa degli odierni ricorrenti di includere nella retribuzione lorda, da utilizzarsi quale base di calcolo del T.F.R., quanto dal datore di lavoro versato ai fini del trattamento previdenziale integrativo", essendo tale accertamento il presupposto per ritenere operativa una compensazione.

Il motivo è infondato.

La sentenza impugnata – come accennato in narrativa – ha accertato che la pattuizione intercorsa fra l’Azienda e ciascuno dei ricorrenti – attraverso gli accordi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro ed i successivi atti di quietanza delle competenze di fine rapporto con la corresponsione di un "bonus" aggiuntivo di importo rilevante (compreso fra un minimo di Euro 20.000,00 fino ad oltre Euro 70.000,00) – comportava (oltre alla rinuncia del lavoratore ad ogni ulteriore pretesa comunque dipendente dal rapporto) la "compensazione" rispetto ad eventuali rivendicazioni future, essendo l’accordo fra le parti nel senso che le somme relative a tali rivendicazioni avrebbero dovuto comunque essere portate a conguaglio con l’importo del "bonus", e quindi detratte da questo fino a concorrenza. Rilevato altresì che gli importi richiesti nel presente giudizio erano di gran lunga inferiori a quelli ottenuti come bonus all’atto della risoluzione, la Corte d’appello ha conseguentemente ritenuto che la soluzione della questione preliminare, nel senso indicato, fosse determinante ai fini della decisione di rigetto delle domande, restando pertanto assorbita (oltre all’altra questione preliminare circa l’improponibilità per transazione) la questione di merito circa la fondatezza o meno delle pretese dei ricorrenti ad una differenza di trattamento di fine rapporto, considerato che tale vantato credito non avrebbe potuto comunque essere attribuito in quanto il relativo importo avrebbe dovuto essere detratto in ogni caso (cioè, anche nell’ipotesi di riconoscimento del credito) dal maggior importo del bonus.

L’assunto dei ricorrenti – secondo il quale la Corte territoriale avrebbe dovuto invece esaminare comunque la questione di merito, per poi passare a valutare l’eventuale "compensazione" – si pone in contrasto con il principio consolidato – del resto espressamente sancito dall’art. 276 c.p.c., secondo il quale le questioni pregiudiziali di rito o, come nella specie, preliminari di merito (essendo, queste seconde, pacificamente da ricomprendere nella previsione della disposizione richiamata: v. ad es. Cass. 31 gennaio 2011, n. 2254), ove idonee a definire l’intera materia del contendere, devono essere considerare assorbenti e preclusive rispetto all’esame del merito (ex plurimis, Cass. 23 gennaio 2009, n. 1696; Cass. 7 maggio 2004, n. 8720).

Del tutto correttamente, pertanto, la sentenza impugnata – stante il carattere assorbente della questione preliminare, sulla base della quale la controversia è stata definita – non ha esaminato il merito delle pretese dei ricorrenti, posto che tale esame sarebbe stato "superfluo" (cfr. Cass. n. 8720 del 2004). Con il secondo motivo, i ricorrenti denunciando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1241, 1242, 1243, 1246 e 1252 c.c., in correlazione con l’art. 1322 nonchè 1362 e segg. c.c. e di ogni principio e norma in tema di interpretazione e qualificazione del contratto e del negozio giuridico con riferimento alla ritenuta operatività della compensazione nelle scritture private intercorse fra le parti e riportate in atti, nonchè insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio, lamentano che i giudici del merito abbiano ritenuto operante, nel caso, la compensazione, pur in mancanza del requisito della "coesistenza delle rispettive obbligazioni" ed abbiano "aggirato il discorso sulla configurabilità o meno di rinunce consapevoli e/o transazioni da parte del lavoratore nel caso di specie", non rilevando che gli accordi intercorsi fra le parti avevano "la sostanza di un negozio giuridico, con il quale i lavoratori rinunciano a incassare delle somme inerenti a diritti patrimoniali"; reiterano, inoltre, le difese svolte nei ricorsi in appello, circa la insussistenza di rinunce e transazioni ai diritti in oggetto, la "fondatezza della domanda", i "pronunciamenti della Corte Costituzionale", la "eccezione di prescrizione".

Il motivo – che sotto questo secondo profilo riguarda questioni non affrontate dalla sentenza impugnata perchè assorbite dalla soluzione adottata, è, sotto il primo, da ritenersi infondato.

Invero, la Corte d’appello ha accertato la legittimità della pattuizione intercorsa fra l’Azienda e ciascuno dei ricorrenti, richiamandosi all’orientamento di questa Corte, la quale, pronunciandosi in fattispecie analoga alla presente – relativa ad un atto di risoluzione consensuale con erogazione di somma aggiuntiva, provvisto di una clausola con cui il lavoratore dava "atto che tale somma viene corrisposta in aggiunta alle normali competenze di fine lavoro, con il patto espresso ed essenziale che dovrà comunque essere computata fino a concorrenza con quanto dovesse risultare riconosciuto dovuto a qualsiasi titolo per effetto dello svolgimento o della risoluzione dell’intercorso rapporto di lavoro" – ha ritenuto corretta l’interpretazione della clausola da parte dei giudici del merito, circa la "esistenza di una volontà delle parti di porre termine al rapporto di lavoro, riconoscendosi al lavoratore una somma, ulteriore ed aggiuntiva rispetto a quanto dovutogli per spettanze di fine rapporto, avente una duplice e alternativa funzione: da un lato, di liberalità, per l’eventualità che, in dipendenza del rapporto e della sua risoluzione, null’altro fosse dovuto al dipendente rispetto a quanto già liquidatogli; dall’altro, di anticipazione su eventuali future differenze che dovessero risultare ancora dovute, venendo, quindi, la liberalità in concreto a sussistere se e nella misura in cui non fossero emerse altre poste debitorie del datore di lavoro" ( Cass. n. 22068/2007). Questa Corte, in tale sentenza, ha altresì condiviso il rilievo della pronuncia di merito (ripreso dalla sentenza qui impugnata) sul punto che "trattasi di convenzione lecita, non incidente in alcun modo su diritti indisponibili del lavoratore, il quale, da un lato, non rinuncia ad alcunchè, in quanto può comunque rivendicare quanto eventualmente ancora dovutogli e conseguirlo, salvo a detrarre la somma già ricevuta; dall’altro, riceve immediatamente un importo che potrà comunque ritenere, nell’eventualità che null’altro risultasse a suo credito"; ed ha condiviso anche l’altro rilievo della sentenza confermata secondo il quale anche a voler attribuire all’erogazione aggiuntiva la funzione di incentivo all’esodo (ed è questo appunto il caso qui in esame, secondo il motivato accertamento della sentenza qui impugnata) – la soluzione non muterebbe, perchè "costituendo anche l’incentivo all’esodo un’attribuzione non imposta da alcuna norma inderogabile, pure in relazione alla stessa ben poteva operare la pattuizione che obbliga ad imputarne l’importo a conguaglio, fino a concorrenza di eventuali differenze che risultassero eventualmente spettanti al lavoratore, con conseguente esclusione del carattere di mera liberalità della dazione" (cfr. Cass. n. 22068/2007, cit.).

Tale orientamento si pone, del resto, in linea con pregresse pronunce di legittimità (richiamate dalla stessa sentenza di Cassazione del 2007), ed in particolare con Cass. 10 marzo 1965, n. 392, per la quale parimenti "nulla vieta che una determinata somma, non avente carattere di mera liberalità, che sia versata dall’imprenditore al lavoratore all’atto della cessazione del rapporto in più rispetto a quanto dovutogli per diritti dipendenti dal rapporto stesso, possa essere imputata a conguaglio, fino alla concorrenza della somma stessa, di quelle eventuali differenze di liquidazione che risultassero in un secondo momento spettanti al lavoratore, trattandosi di convenzione indubbiamente lecita, che non incide su diritti indisponibili", e di Cass. 21 febbraio 1978, n. 860, che conferma lo stesso principio sia pure con riguardo ad erogazione aggiuntiva corrisposta "con l’espresso titolo di liberalità".

Va soggiunto che il motivo di ricorso in esame non è tale da inficiare l’accertamento del contenuto dell’accordo negoziale fra le parti, così come argomentato dalla Corte territoriale e non apporta elementi idonei ad infirmare la soluzione di piena validità dell’accordo, risultante dalla giurisprudenza di questa Corte alla quale la sentenza impugnata si è conformata: tale non potendo considerarsi – come correttamente osservato dalla difesa della Società – nè il richiamo al principio di "coesistenza" fra i due debiti (valevole per la compensazione in senso tecnico e non per quella – come nella specie – in senso improprio, concernente, cioè, un conguaglio fra due partite delle quali l’una, ossia il bonus aggiuntivo, è espressamente prevista dalle parti come riducibile per detrazione in relazione al concordato conguaglio con eventuali future rivendicazioni) nè il richiamo alla disciplina delle rinunce e transazioni del lavoratore, superata dall’accordo in esame, come chiarito dalla richiamata giurisprudenza.

Per quanto precede il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 40,00 oltre Euro 5.000,00 per onorari ed oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 18 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2012

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