Cass. pen. Sez. feriale, Sent., (ud. 13-09-2011) 23-11-2011, n. 43282

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 13-10-2010 la Corte d’Appello di Napoli, in parziale riforma di quella del tribunale della stessa città in data 16-7- 2009, riconosceva D.B.L., D.B.M., P. S., A.M. e P.C. rispettivamente responsabili:

D.B.L. di una estorsione consumata e di due estorsioni tentate in danno di L.S. (commesse rispettivamente nel 2005, in occasione della campagna elettorale per le regionali: capo D; nel 2006, in occasione delle elezioni dei consiglieri della Municipalità 2 del Comune di Napoli: capo A; nel 2004/2005, in occasione dei corsi di formazione ad avviamento al lavoro dei disoccupati: capo E), e di sequestro di persona in danno di L. G. (capo B);

D.B.M. dei reati sub D ed E;

P. del capo E;

A. dei capi A e B;

P. del capo A e del capo C (detenzione e porto abusivo di arma).

Estorsioni aggravate, tra l’altro, dal D.L. n. 152 del 1991, art. 7, perchè commesse avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis c.p. e per agevolare l’associazione camorristica clan Faiano operante nei (OMISSIS).

L’affermazione di responsabilità era basata sulle dichiarazioni di L.S. sentito dapprima in veste di testimone, quindi ex art. 210 c.p.p. quale imputato in processo collegato, su quelle del padre dello stesso, vittima del sequestro di persona, della figlia L., oggetto di minacce, della sorella C., nonchè dei collaboratori di giustizia S. e V., intranei in posizioni apicali al gruppo Faiano-Di Biasi, su intercettazioni telefoniche ed ambientali, su dichiarazioni di altri testi tra i quali il sindaco di Napoli, nonchè su accertamenti di PG. La corte territoriale confermava il giudizio positivo di attendibilità di L.S. richiamando, sotto il profilo della credibilità soggettiva, da un lato la circostanza che ne fosse stato necessario l’accompagnamento coattivo in dibattimento avendo egli tra l’altro contestato la mancata protezione, dall’altro l’esistenza di legami di amicizia o conoscenza con alcuni degli imputati, tali da far escludere intenti calunniosi.

Sotto il profilo della credibilità oggettiva intrinseca, le sue dichiarazioni erano ritenute logiche, lineari, di indubbia interpretazione e non contraddittorie.

Sotto quello della credibilità estrinseca, avvalorate dalle altre testimonianze assunte e dalle dichiarazioni dei collaboratori. Di questi S., cognato di D.B.M., aveva riferito di essere uno dei promotori del gruppo D.B., legato al clan Faiano dei Quartieri Spagnoli;

V. aveva dichiarato di averne fatto parte (se n’era poi allontanato per un conflitto insorto con A.), precisandone l’ambito di operatività (la droga e le estorsioni) e il ruolo apicale di D.B.L., M. e R. e dello S., nonchè facendo riferimento proprio alla tentata estorsione in danno di L. (capo A), nell’ambito della quale D.B.L. lo aveva incaricato di convocare i L. padre e figlio, mentre A. (genero del capo clan) e P. si erano recati armati a minacciare L., che non era stato trovato in casa, dove vi era invece la figlia. V. aggiungeva di aver lui stesso portato presso D.B.L. L.G., il quale gli aveva confidato che il figlio aveva paura.

La ricorrenza dell’aggravante di cui all’art. 7 era confermata sia per l’appartenenza degli imputati al clan Faiano, sia per essere le modalità della condotta tipiche delle consorterie criminali, sia perchè finalizzata ad agevolare il clan. Ricorrono gli imputati tramite i difensori avv. Spiezia e Fusco, con unico motivo con il quale deducono inosservanza ed erronea applicazione della normativa sulla valutazione della prova. I ricorrenti contestano la prevalenza del ruolo di teste riconosciuto a L.S. dai giudici di merito, mentre si trattava di imputato di reato collegato (per la vicenda dei posti di lavoro, capo E), le cui dichiarazioni dovevano essere sottoposte a vaglio di credibilità soggettiva, e di attendibilità oggettiva sia intrinseca che estrinseca, procedimento eluso nella sentenza, con conseguente nullità della stessa.

Rilevano in primo luogo che L. non ha mai fatto dichiarazioni autoaccusatorie, in secondo luogo che i legami con gli imputati, evidenziati in sentenza per avvalorarne la credibilità soggettiva, sono suscettibili anche di lettura contraria, minando la chiarezza dei suoi rapporti con i predetti e della genesi della denuncia. Ma, soprattutto, deducono che la corte territoriale non ha tenuto conto della proclività alla reticenza della p.o., emergente dalla successione delle denunce, tre nell’arco di pochi giorni, soltanto nell’ultima delle quali la vicenda era narrata nei termini che hanno dato luogo alla formulazione dei capi d’imputazione, mentre inizialmente le dichiarazioni erano state riduttive ed imprecise sia sui fatti che sugli autori degli stessi. Il che non era spiegabile, a differenza da quanto ritenuto dal tribunale, con il timore di possibili ritorsioni (richiamato dalla p.o. per spiegare la gradualità delle sue dichiarazioni), che, se reale, sarebbe stato presente anche in occasione dell’ultima denuncia.

A sostegno dell’inattendibilità oggettiva di L., il ricorso valorizzava poi le differenze tra le sue varie denunce -rilevando mancanza di costanza, precisione e coerenza-, nonchè le modalità delle sue risposte all’esame dibattimentale, di cui sono riportati alcuni stralci. Sul punto dei riscontri, indispensabili data la veste di imputato di reato collegato, si sosteneva che quelli indicati in sentenza sono generici e non individualizzanti, per essere, da un lato, i due collaboratori inattendibili sotto ogni profilo, non avendo in particolare indicato i singoli ruoli nell’ambito dell’associazione, per non avere, dall’altro e soprattutto, trovato riscontri obiettivi l’affermazione dell’esistenza del gruppo camorristico, da essi affermata come frutto del ricambio generazionale di una più risalente associazione (clan Faiano). Nè tra le loro propalazioni si realizza la cd. convergenza del molteplice, non avendo nessuno dei due indicato fatti concreti relativi alle estorsioni in danno di L., ed essendo divergenti sulle modalità delle stesse.

Quanto alle intercettazioni, si deduce che non solo i giudici di merito non ne hanno effettuato d’ufficio la verifica della utilizzabilità, ma che il loro contenuto è suscettibile di letture diverse.

La sentenza ha poi trascurato che i testi cd. politici hanno riferito su voci correnti e, ove le loro dichiarazioni siano ritenute utilizzabili, esse sono generiche e non collegate direttamente con gli imputati.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va disatteso.

Pur essendo da condividere il rilievo dei ricorrenti circa l’erroneità della prevalenza del ruolo di teste di L. riconosciuta dai giudici di merito, ciò non integra violazione di legge nè determina sostanziali ricadute sulla tenuta del quadro probatorio e sull’iter motivazionale della decisione.

Occorre infatti considerare non solo che il predetto, al di là della qualifica formale attribuitagli, è stato esaminato ex art. 210 c.p.p., ma anche che entrambe le sentenze hanno ampiamente motivato sul punto della sua attendibilità, sottoponendo ad accurato e puntuale vaglio non solo i profili della credibilità soggettiva ed oggettiva intrinseca, ma anche quello della presenza dei riscontri esterni, sottraendosi quindi alla censura di erronea applicazione della normativa sulla valutazione della prova.

Sulla credibilità soggettiva la sentenza impugnata ha correttamente escluso che le differenze fra le tre denunce progressivamente presentate da L., via via più precise e complete sia in ordine ai fatti che agli autori degli stessi, fossero da attribuire a proclività alla reticenza, attribuendo invece la gradualità delle rivelazioni, del tutto plausibilmente, al forte timore di ritorsioni, del resto confermato dal fatto che in dibattimento era stato necessario disporne l’accompagnamento coattivo, e che egli aveva motivato il proprio comportamento con la mancanza di adeguata protezione.

Nè i ricorrenti hanno spiegato, con conseguente inammissibilità sul punto del motivo di gravame, le ragioni per le quali gli stretti legami della p.o. con alcuni degli imputati, ritenuti dalla corte napoletana significativi di assenza di sentimenti di rancore e di astio, quindi di intenti calunniatori, sarebbero invece suscettibili di diversa lettura, sì da essere idonei ad inquinare la genesi delle sue dichiarazioni accusatone.

Mentre l’assenza di dichiarazioni autoaccusatorie da parte di questi, peraltro meramente affermata nel ricorso, non costituisce, di per sè, elemento atto a minarne la credibilità soggettiva.

Da quanto appena osservato circa le motivazioni della gradualità in crescendo delle successive denunce di L., discende che anche la censura relativa alla sua attendibilità oggettiva, è priva di fondamento, essendo le iniziali reticenze, seguite da successive rivelazioni sempre più precise, da attribuire, come la corte territoriale, in linea con la decisione di primo grado, non ha mancato di fare, al timore del denunciante, progressivamente attenuatosi, senza tuttavia mai venir meno, dopo le prime rivelazioni. Sicchè non per questo le definitive dichiarazioni, reiterate in dibattimento, difettano dei requisiti della costanza, precisione e coerenza, requisiti la cui sussistenza non è inficiata dalla citazione, nel ricorso, di alcuni stralci selettivi della deposizione, estrapolati da un contesto che non spetta a questa corte esaminare.

Infondata è poi anche la critica alla valutazione dei riscontri, ritenuti dai ricorrenti non individualizzanti.

E’ in primo luogo inesatto che i collaboratori non siano stati in grado di delineare i singoli ruoli dell’organigramma del gruppo camorristico, avendo per contro, come evidenziato dai giudici di merito, indicato le proprie posizioni, avvalorate dal riscontro reciproco, e avendo V. ricostruito le posizioni apicali dei tre D.B. ( L., M. e R.) e di S., dai quali prendeva ordini, mentre S., cognato di D.B.M., ha a sua volta riferito di essere uno dei promotori del gruppo D.B., legato al clan Faiano dei (OMISSIS).

Sul punto poi dell’esistenza del gruppo Di Biasi, emanazione del clan Faiano, dedito al commercio degli stupefacenti ed alle estorsioni, i giudici di merito hanno evidenziato la convergenza, e quindi il riscontro reciproco, tra i due collaboratori. Non va tuttavia trascurato, in proposito, che, in assenza della contestazione del reato di cui all’art. 416 bis c.p., è sufficiente, ad integrare l’aggravante D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7, l’utilizzo del metodo mafioso, non contestato con i motivi di gravame.

In contrasto con le risultanze è, da ultimo, l’assunto dei ricorrenti secondo cui non vi sarebbe convergenza tra S. e V. sul punto delle estorsioni in danno di L., ma le loro dichiarazioni divergerebbero su aspetti di primaria importanza in merito a tempi e modalità dei fatti.

A parte la genericità di tale ultimo rilievo, l’argomento è, oltre che erroneo, anche irrilevante, in quanto trascura di considerare le ulteriori componenti del quadro probatorio alla base dell’affermazione di responsabilità, rappresentato dalle dichiarazioni di L. e dalle testimonianze del padre, della sorella e della figlia di questi, nonchè degli altri apporti probatori evidenziati nelle sentenze (intercettazioni, testimoniale estraneo alla famiglia L.), non essendo dunque indispensabile, in presenza di ulteriori fonti di prova, che tra le propalazioni dei pentiti si realizzi la cd. convergenza del molteplice.

Come risulta dalla motivazione delle sentenze di primo e secondo grado, valutate nel loro complesso, le dichiarazioni della p.o./imputato di reato collegato sono riscontrate da quelle del pentito V., che ha dichiarato di aver preso parte alla tentata estorsione del 2006, mediante la quale si chiedevano a L. "i soldi dei manifesti" e di aver in particolare convocato, su incarico di D.B., i L. padre e figlio che non si erano presentati, mentre A., genero del capo clan, si era recato armato a casa loro per minacciarli, non trovandoli; V. stesso quindi, sempre a suo dire, aveva prelevato, in compagnia di A., L.G. e lo aveva portato presso D.B. L., raccogliendo le confidenze dell’uomo circa la paura del figlio a fronte delle richieste di pagamento per i manifesti elettorali; reati ai quali si riferiscono pure le concordi testimonianze del gruppo familiare di L. (il padre G., la figlia L., la sorella C., vittime dirette, e ad un tempo testimoni, di intimidazioni, il padre privato anche della libertà personale allo scopo di indurre il figlio a pagare).

Dalla sentenza di primo grado, cui quella impugnata ha fatto ampi richiami, anche testuali, risulta poi che entrambi i collaboratori, S. e V., erano al corrente che i D.B. esigevano soldi da L. non solo per i manifesti elettorali, ma anche per i corsi per i disoccupati, e che L., a detta di S., tergiversava e non si faceva vedere. Del pari riscontrata, attraverso D.N.V., la circostanza che L. si fosse occupato della campagna elettorale di I.N., ricevendo denaro, in parte corrisposto ai D.B.. Inammissibili sono infine le censure circa le intercettazioni, in ordine alle quali i ricorrenti si dolgono, in modo del tutto generico, della mancata verifica, d’ufficio, della loro utilizzabilità, e affermano, in modo del pari aspecifico, la loro suscettibilità di interpretazioni secondo chiavi di lettura diverse, nonchè circa le testimonianze del cd. politici, di cui, altrettanto genericamente, sono state contestate l’utilizzabilità e, comunque, il collegamento diretto con i singoli imputati, punto, quest’ultimo, sul quale, peraltro, neppure le sentenze di merito hanno fatto leva, avendo tratto da tali dichiarazioni piuttosto la prova del contesto camorristico ambientale presente nei Quartieri Spagnoli. Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti alle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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