Cass. civ. Sez. III, Sent., 05-06-2012, n. 8990 Azione di restituzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. G.G. conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Siracusa, C.P., esponendo che costui aveva abusivamente occupato e manomesso il fondo rustico dell’attore i sito in (OMISSIS), riportato in catasto nel foglio 2, particella 4, partita 18652; ne chiedeva, pertanto la condanna al rilascio del fondo ed al risarcimento dei danni, con rivalutazione e interessi. Il convenuto, costituitosi, chiedeva il rigetto della domanda e, sostenendo che il 26.5.1968 il suo dante causa, C.D., e l’attore avevano stipulato un contratto preliminare per la compravendita del fondo suddetto, chiedeva in via riconvenzionale la declaratoria di acquisto del fondo in suo favore, avendo pagato l’intero prezzo. Il Tribunale, con sentenza non definitiva, accoglieva la domanda dell’attore e dichiarava risoluto il preliminare e ordinava a C.P. l’immediata restituzione del fondo al G.G. nella qualità di erede, libero e sgombro da persone e cose, disponendo la prosecuzione del giudizio per la determinazione dei danni. 2. Con la sentenza qui impugnata, depositata il 16 agosto 2007, la Corte di Appello di Catania rigettava l’appello del C., osservando: 2.1. Il Tribunale aveva compiutamente illustrato le ragioni che condussero il primo Giudice all’accoglimento della domanda di rilascio del fondo al G., e al rigetto della domanda riconvenzionale del C., individuate nell’inadempimento del C. alle obbligazioni derivanti dal preliminare e nella constatazione che l’esecuzione di alcuni lavori da parte di costui era indipendente dal contratto preliminare di compravendita del terreno. Proprio l’individuazione di tali rationes decidendi rendeva evidente la superfluità di una consulenza tecnica, posto che la constatazione dell’inadempimento e dell’indipendenza dei lavori non sarebbero stati superati dalla stima di queste ultime nè dalla misurazione del fondo. Circa la legittimazione attiva, il C. aveva lamentato che non era stato chiarito se il G. avesse agito come proprietario o come comproprietario, ma non aveva contestato che costui possedesse almeno tale ultima qualifica. Data la mancanza di contestazione sulla qualità di comproprietario, era evidente la superfluità della specificazione circa l’ampiezza del diritto di proprietà sul fondo (per intero o pro quota), in considerazione del fatto che la legittimazione all’esperimento dell’azione di rilascio spetta anche al semplice comproprietario, come piena manifestazione del suo diritto dominicale. 2.2. Dall’esame di tutti i testi assunti dal primo Giudice non si poteva ricavare la prova certa dell’avvenuto versamento del prezzo, neppure per la quota di 3/4 del fondo (i testi M., Mu., F., avevano dichiarato di non sapere se il pagamento era stato eseguito mentre le dichiarazioni del teste As. circa l’avvenuto pagamento risultavano isolate e troppo generiche, quindi inidonee a dimostrare la circostanza). 2.3. La sentenza non definitiva impugnata conteneva nella pagina 6 della motivazione il seguente periodo: "…In accoglimento della domanda attorea di condanna al pagamento dei danni arrecati per le manomissioni operate sul fondo, poichè allo stato non si hanno elementi di giudizio per stabilire quanto dovuto dal convenuto a G.G. in relazione ai danni prodotti dal convenuto per le manomissioni operate sul fondo oggetto del preliminare e a tal fine va emessa sentenza parziale e la causa va rimessa sul ruolo per quantificare i danni prodotti dal convenuto per la trasformazione del fondo come da separata ordinanza… "Nel dispositivo della stessa sentenza, però, non era contenuto alcun cenno alla domanda di risarcimento, nè veniva affermato che il C. fosse tenuto ad eseguirlo. La proposizione sopra riportata aveva portata solo incidentale, e non comportava la piena affermazione del diritto del G. al risarcimento del danno, rimessa, invece, al definitivo, con conseguente inammissibilità della doglianza del C., per carenza di interesse attuale. 2.4. Nel paragrafo n. 6 dell’atto di gravame, l’appellante, dopo aver esposto, circa la condotta difensiva, alcune considerazioni non aventi natura di doglianza, aveva sostenuto l’infondatezza dell’eccezione di prescrizione formulata ex adverso, affermando che già il Tribunale l’aveva implicitamente rigettata. Il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza di primo grado assorbivano ogni decisione anche in ordine alla questione relativa alla prescrizione. 3. Il C. ricorre per cassazione sulla base di sei motivi; resistono, con rispettivi controricorsi, G.A., da un lato, e dall’altro C.G. vedova G. e gli altri figli del G., e chiedono dichiararsi inammissibile e, comunque, rigettarsi il ricorso. La C. ed i figli costituiti a mezzo dei medesimi procuratori propongono anche ricorso incidentale sulla base di univo motivo. La decisione riguarda i ricorsi riuniti, essendo stati proposti avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.). Queste le censure proposte dal C. ed i relativi quesiti: 3.1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 99, 112 c.p.c., art. 115 c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, e chiede alla Corte. 3.1.A. "se è vero che nel caso in cui il proprietario di un terreno agisca giudizialmente per ottenerne la restituzione, prospettando che il convenuto detiene l’immobile senza titolo, quest’ultimo può utilmente eccepire, al fine del rigetto della domanda attrice, di possedere legittimamente il bene in forza di un preliminare di vendita, prodotto in giudizio, stipulato tra le parti, dal quale risulti l’avvenuta consegna del possesso o detenzione qualificata dell’immobile in suo favore"; 3.1.B. "se è vero che ogni qual volta sia posto a carico di una delle parti del giudizio (attore o convenuto) un onere di allegazione e prova, ai sensi dell’art. 2697 c.c., l’altra ha l’onere di contestare il documento prodotto, dovendosi in mancanza ritenere tale fatto pacifico e non più gravata la controparte del relativo onere probatorio"; 3.2. Violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112, 115 e 116 c.p.c. degli art. 1455 e 1457 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4, 5. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della causa in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4, 5 e chiede alla Corte se: 3.2.A. "è vero che non può ritenersi essenziale il termine apposto in un contratto a favore di una parte quando l’improrogabilità di esso non risulti da elementi soggettivi, attraverso univoche e specifiche espressioni, ovvero da elementi oggettivi per cui l’utilità economica perseguita dalle parti andrebbe perduta con l’inutile decorso del termine pattuito"; 3.2.B. "è vero che la richiesta giudiziale attorea di restituzione di un immobile, che si assume detenuto dal convenuto senza titolo, non autorizza il giudice a pronunziare di ufficio la risoluzione del contratto in mancanza di domanda della parte interessata, configurandosi in caso di detta pronunzia il vizio di ultra o extra petita". 3.3. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1176, 1218, 1220, 1537 e 2697 c.c. e dell’art. 61 c.p.c., art. 115 c.p.c., comma 1, e art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, 4, 5. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della causa in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4, 5. Chiede alla Corte se: 3.3.A. "è vero che la misurazione del terreno, nella ipotesi di vendita a misura, costituisce un onere necessario, al fine di quantificare il prezzo della vendita, per cui, nel caso che non si proceda, come pattuito, alla misurazione dell’immobile, il promittente venditore non può ritenere inadempiente il promittente compratore, nè pretendere che quest’ultimo stipuli il contratto definitivo, pagando il prezzo in base alla misura indicata approssimativamente nel preliminare"; 3.3.B. "è vero che il giudice deve disporre la consulenza di ufficio allorchè essa costituisce fonte oggetti va di prova, risolvendosi in uno strumento non solo di valutazione ma anche di accertamento di situazioni di fatto rilevabili solo mediante cognizioni tecniche". 3.3.C. "è vero che la consulenza tecnica di ufficio richiesta, se ammessa, avrebbe consentito di fornire, alla attività valutativa del Giudice, l’apporto necessario al fine della quantificazione dell’esatto prezzo della vendita"; 3.3.D. "è vero che i giudici di merito incorrono nel vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione, allorchè per un verso non hanno disposto la c.tu., richiesta da parte convenuta per la determinazione dell’esatto prezzo della vendita, consentendo così l’adempimento del promittente acquirente, nel caso di accertamento di un maggior prezzo ancora dovuto, rispetto a quello già pagato, dall’altro hanno ritenuto che il promittente acquirente "era incorso nell’inadempimento alle obbligazioni assunte derivanti dal preliminare", per non avere pagato il residuo prezzo della vendita"; 3.3.E. "è vero che la proposizione della domanda di adempimento coattivo da parte del promittente acquirente, comporta di per sè una manifestazione della seria volontà di adempiere la propria prestazione"; 3.3.F. "è vero che il promittente acquirente non può essere ritenuto inadempiente, qualora abbia offerto a titolo di prezzo della vendita, ai sensi dell’art. 1220 c.c., "in banco iudicis", a mezzo di assegni circolari la somma dallo stesso ritenuta dovuta al promittente venditore, che non l’ha accettata senza addurre alcuna giustificazione". 3.4. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1455 e 1458 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4, 5. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della causa in relazione all’art. 360 c.p.c., nn 3, 4, 5 e chiede alla Corte "se è vero che il promittente acquirente di un immobile che immesso nel possesso dell’immobile all’atto della firma del preliminare sia condannato alla restituzione dell’immobile a seguito della declaratoria di risoluzione del contratto suddetto non è tenuto al risarcimento nel caso che detta sentenza sia riformata atteso che la stessa ha efficacia retroattiva". 3.5. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2932 c.c. e art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4, 5. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della causa in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4, 5 e chiede alla Corte "se è vero che la proposizione della domanda di adempimento coattivo da parte del promittente acquirente, comporta di per sè una manifestazione della seria volontà di adempiere la propria prestazione". 3.6. Violazione dell’art. 91 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, poichè alla luce di quanto esposto dovrebbe essere riformato il capo della sentenza che ha disposto in ordine alle spese e compensi dei giudizi di merito da porsi a carico del resistente. Il ricorso del C. è stato illustrato con memoria. 4. Questo il motivo del ricorso incidentale ed i relativi quesiti: Violazione e mancata applicazione della disposizione in materia di prescrizione ex art 2946 c.c. in relazione al preliminare di vendita. Omessa insufficiente ed erronea motivazione sul punto decisivo del giudizio, in riscontro dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5 e chiede alla Corte se: 4.1. "è vero che nel caso in cui venga rilevata e conseguentemente dichiarata l’inefficacia giuridica di un preliminare di vendita siccome colpito da effetti prescritti ogni altra accezione e difesa viene assorbita e rigettata e conseguentemente va dichiarata la domanda di parte istante come azione di restituzione e non di rivendica"; 4.2. "è vero o no che la declaratoria d’inefficacia giuridica di un preliminare di vendita siccome prescritto comporta la restituzione dell’immobile ex art. 2033 c.c. e la conseguente condanna del detentore all’immediato rilascio ed al ristoro dei danni in favore del legittimo proprietario successivamente al compimento della prescrizione"; 4.3. "è vero o no che un comproprietario può agire in giudizio al fine di ottenere il rilascio di un immobile trattandosi di atto di ordinaria amministrazione della cosa comune relativamente al quale si deve presumere che sussista il consenso degli altri comproprietari e pertanto non ricorre la necessità d’integrare il contraddittorio nei confronti dell’altro comproprietario". 5. La pronuncia riguarda i ricorsi riuniti, essendo stati proposti avverso la medesima sentenza (art 335 c.p.c.). 5.1. I motivi del ricorso principale del C. si rivelano tutti inammissibili per mancanza dei momenti di sintesi in relazione alle parti di essi che prospettano vizi motivazionali, nonchè per inidoneità dei quesiti di diritto formulati in relazione alle altre parti dei medesimi. Infatti, l’art. 366-bis cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione temporis, prevede le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, disponendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso se, in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, dai nn. 1, 2, 3 e 4, ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 cod. proc. civ., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a dicta giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza; mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo iter argomentativo della decisione impugnata), è richiesta un’illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione (Cass. n. 4556/09). 5.2. Orbene, nel caso in esame, rispetto a nessuno delle parti di motivi, che deducono vizi motivazionali è stato formulato il "momento di sintesi", che, come da questa Corte precisato, richiede un quid pluris rispetto alla mera illustrazione del motivo, imponendo un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile (v. Cass.. 18/7/2007, n. 16002). L’individuazione dei denunziati vizi di motivazione risulta perciò impropriamente rimessa all’attività esegetica del motivo da parte di questa Corte (Cass. n. 9470/08). 5.3. Inoltre, rispetto ai motivi ed alle parti di motivi che non deducono vizi motivazionali, si deve ribadire che il quesito di diritto si rivela inidoneo, in quanto non può consistere in una domanda che si risolva in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni illustrate nel motivo e porre La Corte di cassazione in condizione di rispondere al quesito con l’enunciazione di una regala iuris (principio di diritto) che sia suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. A titolo indicativo, si può delineare uno schema secondo il quale sinteticamente si domanda alla corte se, in una fattispecie quale quella contestualmente e sommariamente descritta nel quesito (fatto), si applichi la regola di diritto auspicata dal ricorrente in luogo di quella diversa adottata nella sentenza impugnata (Cass. S.U., ord. n 2658/08). E ciò quand’anche le ragioni dell’errore e della soluzione che si assume corretta siano invece – come prescritto dall’art. 366 c.p.c., n. 4 – adeguatamente indicate nell’illustrazione del motivo, non potendo la norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. interpretarsi nel senso che il quesito di diritto possa desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, poichè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (Cass. 20 giugno 2008 n. 16941). Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede, pertanto, che, con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed averne indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto, formulato in modo tale da circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (v. Cass., 17/7/2008 n. 19769; 26/3/2007, n. 7258). Occorre, insomma che la Corte, leggendo il solo quesito, possa comprendere l’errore di diritto che si assume compiuto dal giudice nel caso concreto e quale, secondo il ricorrente, sarebbe stata la regola da applicare. 5.4. Non si rivelano, pertanto, idonei i quesiti formulati rispetto ai primi cinque motivi del ricorso principale (mancando del tutto il quesito relativo al sesto), dato che non contengono adeguati riferimenti in fatto (nè l’oggetto preciso della questione controversa, nè la sintesi degli sviluppi della controversia sullo stesso), nè espongono chiaramente le regole di diritto che si assumono erroneamente applicate e, quanto a quelle di cui s’invoca l’applicazione, si limitano ad enunciazioni di carattere generale ed astratto che, in quanto prive di chiare e specifiche indicazioni sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, non consentono di dare risposte utili a definire la causa (Cass. S.U. 11.3.2008 n. 6420). Del resto, il quesito di diritto non può risolversi – come nell’ipotesi – in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta, ovvero in cui la risposta non consente di risolvere il caso sub iudice (Cass. S.U. 2/12/2008 n. 28536). 5.5. Senza contare che sussistono, in rapporto ai primi cinque motivi del ricorso principale anche altri profili d’inammissibilità. In primo luogo, si deve ribadire che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata alla Corte di cassazione dall’art. 65 ord. giud.); viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione; il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 16698 e 7394 del 2010; 4178/07; 10316/06; 15499/04). Nei predetti motivi, infatti, l’assunta violazione di legge si basa sempre e presuppone una diversa ricostruzione delle risultanze di causa (l’esistenza di un valido "titolo" da parte del C. per non dover essere sottoposto alla restituzione dell’immobile), censurabile solo sotto il profilo del vizio di motivazione, secondo il paradigma previsto per la formulazione di detti motivi, non idoneamente sviluppato nel ricorso in esame (v. paragrafi precedenti n. 5.1. e 5.2.). 5.6. Inoltre, diversamente da quanto prospettato nei motivi del ricorso principale, non è consentito, in questa sede, un riesame del merito della controversia, neppure attraverso il tramite strumentale dell’art. 360 c.p.c., n. 5 il quale nei suoi limiti obiettivi e nella sua finalità, è volto unicamente al controllo di legalità sul modo e sui mezzi adoperati dal giudice nella motivazione delle fonti del suo convincimento (Cass. n. 7921/2011, ord.; 17477/2007; 15693/2004; 11936/2003; 4599/1982). Invero, nel caso in esame, con congrua e corretta motivazione, la Corte territoriale ha confermato la sentenza di primo grado, dando atto dell’intervenuta risoluzione del contratto preliminare, con conseguente accertamento dell’occupazione abusiva e sine titulo del terreno da parte del C. e la sua condanna al rilascio del bene, oltre al risarcimento del danno da quantificarsi in separata sede. I giudici di merito hanno ritenuto che il G. abbia fornito ampia prova in ordine all’abusiva occupazione del terreno di sua proprietà ed all’assenza di un titolo che legittimasse anche solo il possesso e/o la detenzione del bene da parte dell’odierno ricorrente principale. I giudici di merito hanno, altresì, affermato che tra le parti non poteva sostenersi conclusa una compravendita immobiliare, in quanto il "preliminare" richiamato dal C. doveva ritenersi risolto. Le argomentazioni difensive contenute nel secondo motivo del ricorrente non potevano trovare accoglimento, in quanto assolutamente generiche. Anche il terzo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso si rivelano manifestamente infondati: una volta motivatamente accertati gli inadempimenti del C., la risoluzione del "preliminare" e la conseguente abusiva occupazione da parte di quest’ultimo del terreno de quo, a nulla sarebbe valso "misurare" e valutare il terreno, disponendo la CTU richiesta dal ricorrente e negata dai giudici di merito; legittimo appare la condanna generica al risarcimento del danno a carico del C.; legittimo il rigetto della domanda di esecuzione in forma specifica, con logico e conseguente addebito delle spese a carico del soccombente. 6. Il ricorso incidentale della C. e F., T. e G.F., tardivamente proposto (consegnato per la notifica il 28.11.2008) in relazione al termine "lungo" decorrente dal deposito della sentenza impugnata (16 agosto 2007), in base alle date qui indicate – è divenuto inefficace a seguito dell’inammissibilità del ricorso principale del C.. Si deve, invero, ribadire che l’inammissibilità – per qualsiasi motivo – del ricorso principale per cassazione determina, ai sensi dell’art. 334 c.p.c., comma 2, l’inefficacia di quello incidentale proposto tardivamente e cioè oltre il termine breve o lungo per impugnare; nè in senso preclusivo dell’anzidetta inefficacia rileva la circostanza che il ricorso incidentale sia stato proposto nel termine di cui all’art. 370 c.p.c., comma 1 (il 28.11.2008, in relazione a ricorso principale notificato agli eredi G. il 22- 23.10.2008), costituendo anzi tale tempestività "interna" il presupposto stesso dell’operatività della detta sanzione di inefficacia per il caso di inosservanza del termine "esterno" di impugnazione (Cass. n. 1528/10; 8105/06; 12845/05; 3419/04). 4. Ne deriva l’inammissibilità dei ricorsi riuniti. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno compensate nel rapporto tra il ricorrente principale e quelli incidentali, stante la reciproca soccombenza; mentre seguono la soccombenza nel rapporto tra il ricorrente principale e l’altra resistente.

P.Q.M.

Pronunciando sui ricorsi riuniti, dichiara inammissibile il ricorso principale ed inefficace quello incidentale. Compensa le spese tra il ricorrente principale e quelli incidentali; condanna il C. al pagamento, in favore di G.A., delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.000,00=, di cui Euro 1.800,00= per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2012

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