Cass. civ. Sez. III, Sent., 05-06-2012, n. 8989 Fideiussione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con atto di citazione notificato in data 6 ottobre 2000, la Ghedrosa S.r.l., proponeva opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Mantova in data 12 luglio 2000, con cui le veniva ingiunto di pagare, in favore della International Factors Italia (Ifitalia) S.p.A., l’importo di L. 3.306.910.665, oltre accessori e spese, oggetto della fideiussione rilasciata dalla prima in favore della seconda per le obbligazioni contratte dal debitore Risatti Tours S.r.l. con la creditrice Ifitalia. Esponeva che la garanzia fideiussoria era stata prestata da R.L., all’epoca amministratore unico della Ghedrosa, fino al 10 marzo 1994, ed anche legale rappresentante ed amministratore unico della Risatti Tours, società garantita; che, pertanto, la fideiussione era annullabile per essere stata stipulata dal rappresentante in conflitto di interessi con il rappresentato; che tale situazione doveva essere nota alla creditrice Ifitalia, stante l’identità dell’amministratore unico delle due società ben rilevabile dall’affidante nella fase istruttoria preliminare alla stipula; che, infine, la fideiussione era invalida anche per violazione della L. n. 154192, art. 10 a tenore del quale doveva essere indicato l’importo massimo garantito. Pertanto, chiedeva che fosse revocato il decreto ingiuntivo e dichiarata infondata la pretesa posta a fondamento dello stesso. Si costituiva la società International Factors Italia, contestando, in particolare l’applicabilità dell’art. 1394 c.c. sul presupposto che, vertendosi in tema di rappresentanza organica, avrebbe dovuto applicarsi l’art. 2384 c.c., e che nel caso di specie non erano indicate le limitazioni della legge o dell’atto costituivo che il R. avrebbe superato; che altrettanto infondata era l’eccezione di nullità per indeterminatezza dell’importo, essendo stato questo definito nella misura di L. 3.400.000,000. Disposta la comparizione delle parti, riservatasi la decisione sulla concessione dell’efficacia della provvisoria esecutività del decreto all’esito del deposito di memorie (nelle quali le parti sviluppavano ulteriormente le proprie difese, in particolare l’opponente eccepiva 1 estinzione e la decadenza dalla fideiussione ex artt. 1956 e 1957 c.c.), il giudice negava la provvisoria esecuzione. Il Tribunale, all’esito dell’istruttoria documentale, accoglieva l’opposizione e revocava il decreto ingiuntivo compensando le spese, dichiarando, per quanto qui rileva, la decadenza dell’ingiungente ai sensi dell’art. 1957 c.c. per non aver agito contro la debitrice nei modi e nel termine di sei mesi dalla scadenza dell’adempimento da parte della creditrice principale, a ciò non ostando la circostanza che questa fosse stata ammessa al concordato preventivo. 2. Con la sentenza qui impugnata, depositata in data 3 giugno 2008, la Corte d’Appello di Brescia respingeva l’appello della società Factors, osservando che l’eccezione di decadenza ex art. 1957 c.c. era stata sollevata nella fase processuale intermedia tra la prima udienza di comparizione delle parti ex art. 183 c.p.c. e quella successiva fissata ai sensi dell’art. 184 c.p.c. con memoria autorizzata dal giudice ai fini della decisione sull’istanza di provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto; la stessa era stata formulata, quindi, nello (stesso termine (e non oltre) previsto dell’art. 183 c.p.c., comma 5, per la modifica delle domande ed eccezioni, ciò che faceva ritenere che non vi fosse alcuna necessità di fare ulteriori richieste, ben potendo la parte servirsi del medesimo scritto già autorizzato per esercitare il proprio diritto processuale di modifica e precisazione delle domande ed eccezioni. Il fatto che il giudice, successivamente allo scioglimento della riserva, avesse fissato "l’udienza per i provvedimenti di cui all’art. 184 c.c." (come espressamente previsto dall’art. 183 c.c., u.c.) confermava ulteriormente che egli stesso aveva ritenuto le precedenti memorie valevoli ai fini dell’art. 183 c.c., comma 5. Risultava invece del tutto tardiva, la contro eccezione con cui l’appellante intendeva far valere l’inoperatività dell’art. 1957 c.c., in virtù della specifica clausola di esonero contenuta nell’art. 11 del contratto di fideiussione. Come risultava dal verbale di udienza del 13 maggio 2004, la società I.F.I., in sede di precisazioni delle conclusioni, si era rimessa a quelle rassegnate nella comparsa di costituzione e risposta del 4 dicembre 2000, nella quale nessuna contro eccezione poteva essere contenuta, non essendo stata ancora sollevata da Ghedrosa la decadenza ex art. 1957 c.c., e nemmeno ve n’era traccia negli atti successivi (memorie autorizzate ex art. 184 c.p.c. e atti conclusionali ex art. 190 c.p.c.), onde la stessa doveva ritenersi inammissibile ai sensi dell’art. 345 c.p.c.. 3. Ifitalia ricorre per cassazione, sulla base di due motivi, articolati sotto più profili ed illustrati con memoria; la Ghedrosa resiste con controricorso, chiedendo il rigetto del ricorso. La società ricorrente deduce i seguenti motivi, formulando per ciascuno dei profili con essi articolati i seguenti quesiti o momenti di sintesi: 3.1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 641 e 650 c.p.c., dell’art. 324 c.p.c., dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 183 c.p.c. (testo vigente al tempo del procedimento); degli artt. 167 e 180 c.p.c.; del principio del contraddittorio e del divieto di mutatio libelli; nullità dei procedimenti di merito e della impugnata sentenza per errores in procedendo, in relazione alla violazione degli articoli già citati; insufficiente ed illogica motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Lamenta, in primo luogo, la parte ricorrente che la Ghedrosa nel giudizio di primo grado, dopo aver, con l’atto di citazione, opposto il decreto per alcune specifiche ragioni, con la memoria del 17.12.2001, in tema di provvisoria esecuzione del decreto opposto, ha ampliato la materia del contendere evocando tra le proprie difese (pur senza mutare le proprie conclusioni), anche quella dell’estinzione della garanzia ex artt. 1955, 1956 e 1957 c.c.; su tale ampliamento della materia del contendere la ricorrente non ha mai accettato il contraddittorio. Adduce, a sostengo di tale profilo principale della censura, la giurisprudenza di questa S.C. che ha limitato la possibilità per l’opponente di proporre "diverse e nuove eccezioni" nei modi e nei tempi di cui all’art. 167 c.p.c. Prosegue trattando l’aspetto della tardività dell’eccezione in questione, che sarebbe rilevante ove l’eccezione dovesse essere inquadrata come semplice emendai io. Chiede che questa Corte verifichi se: 3.1.1. "nel caso di specie, nel corso del giudizio di primo grado, l’opponente non sia decaduto dalla possibilità di avanzare nuove domande/eccezioni non proposte in sede di atto di citazione in opposizione all’ingiunzione e, comunque, proposte tardivamente solo dopo l’udienza di prima comparizione, decorso anche il primo termine per memorie assegnato in tale sede dal giudice istruttore, e dopo la prima udienza di trattazione, e se l’opposizione a decreto ingiuntivo possa essere ampliata negli elementi costituitivi della domanda oltre il termine di decadenza previsto dalla legge per proporre l’opposizione e, comunque, oltre i termini di cui all’art. 167 c.p.c.; dica, infine, se l’illegittimo ampliamento della materia del contendere abbia comportato l’inammissibilità delle eccezioni dell’opponente qui in commento e se il relativo accoglimento e la conferma in appello non comportino anche la violazione degli artt. 112 e 324 c.p.c."; 3.1.2.A. "in difetto di richiesta delle parti, sia lecito che il Giudice istruttore assegni alle stesse d’ufficio i termini ex art. 183 c.p.c., comma 5, e se sia lecito che i termini ex art. 183 c.p.c., comma 5, vengano concessi senza termini per memorie di replica; dica, inoltre, se dopo l’udienza di prima trattazione ex art. 183 c.p.c. le parti possano utilizzare termini per note concessi per altri fini per modificare le proprie domande, tenuto anche conto dell’assenza, nella fattispecie, di un termine per note di replica; dica, infine, se la variazione delle domande, anche in forma di semplice emendatio libelli, ma nella specie in forma di mutatio libelli, possa essere legittimamente proposta dopo l’udienza di cui all’art. 183 c.p.c.; con ogni conseguenza in merito all’inammissibilità delle "nuove" eccezioni avversarie ed alla erroneità della impugnata sentenza". 3.1.2.B. in relazione a quest’ultimo profilo dell’articolata censura, deduce che "il fatto controverso consiste nella mutatio libelli posta in essere dalla GHEDROSA oltre i termini di legge, con memoria del 14 dicembre 2001, e negli elementi sopra illustrati posti dal giudice a quo a sostegno del proprio ragionamento teso a ritenere tempestiva la intervenuta mutatio libelli, con argomentazioni non logiche ed insufficienti, omettendo di valutare, tra l’altro, i requisiti di legge posti dall’art. 183 c.p.c., comma 5"; 3.1.3. "la pronuncia sul merito di domande proposte nel corso di processo civile da una delle parti oltre i termini processuali e sulle quali non sia stato accettato il contraddittorio costituisca violazione dell’art. 112 c.p.c. e, in generale, del principio del contraddittorio che regola il processo civile, anche con riferimento al diritto di replica di cui all’art. 183 c.p.c., comma 5, nel caso di specie violato"; 3.1.4. "nel caso di specie la violazione del disposto dell’art. 112 c.p.c. e dei principi del contraddittorio, anche ribaditi dall’art. 183 c.p.c., comma 5 comporti la nullità di entrambi i procedimenti di merito e comunque della impugnata sentenza"; 3.2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., motivazione illogica ed insufficiente su un punto controverso e decisivo per il giudizio; nullità della sentenza impugnata per error in procedendo; violazione e falsa applicazione dell’art. 1957 c.c. Chiede alla Corte se: 3.2.1. "l’appello proposto avverso una sentenza che abbia accolto le domande di una parte senza verificarne la fondatezza e nonostante la richiesta di rigetto dell’altra parte, con richiesta, in sede impugnativa, di rigetto della domanda accolta dal giudice di primo grado, costituisca "nuova" domanda ex art. 345 c.p.c. e se la verifica della fondatezza di una domanda (anche nei confronti di una parte contumace) non costituisca specifico obbligo del giudice di primo grado, la cui violazione può comunque essere oggetto di impugnativa; se la pronuncia che preclude l’esame dell’impugnativa erroneamente classificata come "nuova" ex art. 345 c.p.c. sia nulla per error in procedendo; se l’art. 1957 c.c. sia applicabile alla obbligazione di garanzia la cui validità è espressamente fissata "fino a totale estinzione di ogni Vostro credito nei confronti dell’affidata" e nonostante che le parti, con pattuizione acquisita agli atti, abbiano espressamente escluso l’applicazione del detto articolo. 3.2.2. in relazione al medesimo profilo di censura, deduce che "il fatto controverso consiste nella immotivata convinzione maturata dal giudice d’appello, secondo cui la ricorrente (allora opposta) non avrebbe concluso sulle "nuove" domande della allora opponente, in contrasto con le risultanze processuali, con vizio di motivazione illustrato nella parte discorsiva del presente motivo". 4. Il primo motivo è fondato, nei termini di seguito precisati, per quanto concerne la sussistenza del dedotto error in procedendo, per avere la Corte territoriale violato l’art. 112 c.p.c. ed il divieto di mutatio libelli, non ritenendo l’opponente decaduto dalla possibilità di avanzare nuove eccezioni non proposte nell’atto di citazione in opposizione all’ingiunzione. 4.1. Giova premettere che, trattandosi di opposizione a decreto ingiuntivo, nel giudizio ordinario di cognizione, che si apre con detta opposizione, l’opponente assume la posizione di attore solo formalmente e l’opposto quella solo formale di convenuto, perchè il ruolo sostanziale di attore compete al creditore ricorrente e quello altrettanto sostanziale di convenuto compete all’intimato. Da questa precisazione, deriva la diversa qualificazione delle ragioni che ciascuna delle parti può proporre nel giudizio. Quelle addotte dall’opponente, se mirano a conseguire il rigetto della pretesa fatta valere con il ricorso per decreto ingiuntivo, si qualificano come eccezioni; diversamente sono domande riconvenzionali. Ne consegue che nel corso del giudizio di opposizione, se l’opponente muti le ragioni in base alle quali ha richiesto la revoca del decreto ingiuntivo ed il rigetto della domanda dell’opposto, non propone una nuova domanda, ma solo diverse e nuove eccezioni o domande riconvenzionali, il regime delle quali nei vari gradi del giudizio è sottoposto alle regole di ammissibilità contenute negli articoli del codice di rito riguardanti la fissazione del thema decidendnm. 4.1.1. Va, pertanto, ribadito, in linea di principio, che "Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, solo da un punto di vista formale l’opponente assume la posizione di attore e l’opposto quella di convenuto, perchè è il creditore ad avere veste sostanziale di attore ed a soggiacere ai conseguenti oneri probatorii, mentre l’opponente è il convenuto cui compete di addurre e dimostrare eventuali fatti estintivi, impeditivi o modificativi del credito, di tal che le difese con le quali l’opponente miri ad evidenziare l’inesistenza, l’invalidità o comunque la non azionabilità del credito vantato ex adverso non si collocano sul versante della domanda -che resta quella prospettata dal creditore nel ricorso per ingiunzione – ma configurano altrettante eccezioni (Cass. 24.11.2005 n. 24815; v. anche 6421 e 16011 del 2003; e 11368 del 2006, che avevano affrontato la questione nel regime processuale anteriore alla novella del 1990, precisando che, ove, nel corso del giudizio, l’opponente integri le proprie difese proponendo eccezioni nuove, la deduzione non impinge nel divieto di domanda nuova, restando ogni nuova eccezione ammissibile fino alla rimessione della causa al collegio ex art. 184 cod. proc. civ. e perfino in appello ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ., nella formulazione allora vigente). Nell’ordinario giudizio di cognizione che si instaura a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo, l’opponente, quindi, nella sua sostanziale posizione di convenuto, propone, ove muti le ragioni in base alle quali chiede la revoca dell’ingiunzione, domande riconvenzionali o diverse e nuove eccezioni, che sono ammissibili nei limiti del disposto degli artt. 167 e 345 cod. proc. civ. (Cass. n. 11368/2006, cit.). 4.2. Nel caso in esame, la citazione in opposizione è stata notificata il 6 ottobre 2000 (rispetto ad un decreto ingiuntivo notificato il 20 luglio 2000). Ratione temporis, sono quindi applicabili gli artt. 167, 180, 183 e 184 c.p.c. nel testo modificato dalla L. n. 353 del 1990 e dal D.L. n. 432 del 1995 conv. con L. n. 534 del 1995. 4.3. Pertanto, preliminarmente, deve esaminarsi la questione, prospettata nel primo motivo, della qualificazione del mutamento di linea difensiva – eccezione di liberazione dall’obbligazione fideiussoria per non avere il creditore proposto alcuna istanza contro il debitore principale entro sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione – adottato dall’opponente, rispetto a quanto dedotto nella citazione in opposizione (annullabilità della fideiussione perchè stipulata da rappresentante in conflitto d’interessi con il rappresentato e invalidità della stessa per mancata indicazione dell’importo massimo garantito). Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, nel vigore del regime delle preclusioni di cui al nuovo testo degli artt. 183 e 184 c.p.c., introdotto dalla L. n. 353 del 1990, la questione della novità della domanda (o dell’eccezione) risulta del tutto sottratta alla disponibilità delle parti – e pertanto pienamente ed esclusivamente ricondotta al rilievo officioso del giudice – essendo le preclusioni ispirate ad esigenza di ordine pubblico processuale e l’intera trattazione improntata al perseguimento delle esigenze di concentrazione e speditezza (Cass. n. 947/2012; 25598/2011; 7270/2008; 15147/2007; 11298/2007; 25242/2006; 17152/2006; S.U. 10831/2006; 19453/2005; 9875/2005; 23127/2004); sicchè ove la domanda o l’eccezione non sia stata proposta in primo grado, entro i termini perentori stabiliti per la fissazione del thema decidendum, la domanda deve essere dichiarata inammissibile, pure in difetto della relativa eccezione, ed anche in appello, dato l’inderogabile divieto di proporre domande nuove in appello, stabilito dall’art. 345 c.p.c.. In ogni caso, nella specie, la Corte territoriale avrebbe dovuto esaminare la questione della novità, perchè l’Ifitalia nell’atto di appello aveva impugnato la sentenza di primo grado, tra l’altro, sotto il profilo della tardività ed irritualità dell’eccezione dell’opponente basata sull’art. 1957 c.c., sulla quale ribadiva di non aver mai accettato il contraddittorio. Al riguardo, va confermato che la denuncia della violazione dell’obbligo del giudice di decidere nei limiti della domanda e di non esaminare domande nuove proposte tardivamente, configurando un vizio in procedendo, determina l’estensione del sindacato della Corte al fatto, con il conseguente potere – dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali, al fine di acquisire gli elementi di giudizio necessari alla valutazione della sussistenza della violazione stessa (Cass. n. 16921/2003, in motivazione; Cass. n. 1503/2001; Cass. n. 10287/1998). Del resto, la questione dell’intempestività dell’eccezione ex art. 1957 c.c. in ragione della sua "novità" ha formato oggetto di contraddittorio tra le parti anche in questa sede di legittimità, avendo la resistente replicato al primo motivo, ritenendola strettamente connessa a quelle già formulate e non rientrante nel concetto di mutatio libelli, rappresentando l’introduzione di un ulteriore profilo di valutazione circa l’invalidità del rapporto fideiussorio, costituente di per sè il fondamento della pretesa contenuta nell’opposizione a decreto ingiuntivo, (p. 8 controricorso). 4.4. Nel caso in esame, si deve, in sostanza, verificare se la proposizione di detta eccezione abbia rappresentato una mutatio libelli, vale a dire la formulazione di un’eccezione fino ad allora non compresa nel thema decidendum (fissato con il ricorso per decreto ingiuntivo, la proposizione dell’opposizione e la comparsa di risposta dell’opposto), ovvero una semplice emendatio – precisazione o modificazione, secondo il testo normativo applicabile – delle eccezioni e delle conclusioni già formulate. 4.5. Nel primo caso, infatti, ove si tratti di vera e propria mutatio, la stessa sarebbe di per sè preclusa, in quanto non formulata nell’atto di opposizione, con conseguente superfluità (e, quindi assorbimento della relativa) decisione in ordine alla ritualità o meno della sentenza impugnata in ordine al rispetto della scansione delle fasi preparatorie di formazione del thema decidendum e di quello probandum in base alle richiamate norme. Si deve, al riguardo, ribadire che l’art. 183 cod. proc. civ., nel testo di cui alla L. 26 novembre 1990, n. 353, vigente fino al 1 marzo 2006, applicabile ratione temporis, dispone, al comma 4, che nella prima udienza di trattazione l’attore può proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale del convenuto ed entrambe le parti possono precisare e modificare le domande e le conclusioni già formulate (Cass. S.U. 14 febbraio 2011 n. 3567, che, sulla base di tal principio ha ritenuto che, ove l’attore voglia eccepire la prescrizione del diritto azionato dal convenuto in riconvenzionale, è tenuto, a pena di decadenza, trattandosi di eccezione non rilevabile d’ufficio, a proporla al più tardi in sede di prima udienza di trattazione, non potendo avvalersi delle memorie da depositare nei termini fissati all’art. 183 c.p.c., comma 5, in quanto finalizzate esclusivamente a consentire alle parti di precisare e modificare le domande e le eccezioni già proposte e di replicare alle domande ed eccezioni formulate tempestivamente, ma non a proporne di ulteriori, non essendo ammissibile estendere il thema decidendum; si veda anche Cass. 23 marzo 2006 n. 6352, in motivazione, secondo cui non possono proporsi oltre la prima udienza e non oltre i termini di cui all’art. 183 c.p.c., commi 4 e 5, le eccezioni che si fondino su presupposti di fatto nuovi). Infatti, il comma quarto dell’art. 183 cod. proc. civ. consente all’attore, nella prima udienza di trattazione, di proporre le sole domande e le eccezioni, anche nuove, che siano conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni del convenuto, ma non attribuisce alle parti la facoltà di proporre domande – ma il principio è riportatale anche alle eccezioni – nuove che potessero essere proposte già con la citazione o la comparsa di risposta; mentre il successivo comma 5 consente a sua volta alle parti, con le memorie depositate nel termine, non già di proporre domande nuove, sia pure con il limite sopra ricordato che esse siano conseguenza delle difese avversarie, ma soltanto di precisare e modificare le domande, eccezioni o conclusioni già proposte (in tal senso, Cass. 2 settembre 2005 n. 17699, secondo cui, in forza di tal principio, l’attore non può proporre, nella memoria di cui all’art. 183 c.p.c., comma 5, domanda di condanna del convenuto al pagamento di penalità per le future violazioni dei divieti imposti con il provvedimento di inibitoria – originariamente richiesto – allo svolgimento di un’attività integrante concorrenza sleale parassitaria, dato che tale domanda, avendo propria causa petendi e proprio petitum, si pone come autonoma e nuova rispetto a quella in precedenza proposta; si ved anche Cass. 17 maggio 2004 n. 9323). 4.6. Il discrimine tra mutatio ed emendatio libelli sta nel fatto che quest’ultima non deve comportare immutazione dei fatti giuridici posti a fondamento dell’azione e non introdurre un tema di indagine completamente nuovo perchè concernente presupposti diversi da quelli prospettati con il ricorso introduttivo o con l’atto difensivo del convenuto (tra le molte: Cass. n. 13997/2007). Si ha mutatio libelli, infatti, soltanto nei casi in cui la parte faccia valere nel corso del giudizio una nuova pretesa, diversa da quella originaria, che dia luogo ad una trasformazione obbiettiva della controversia, con la conseguenza di disorientare la difesa predisposta dalla controparte e, quindi, di alterare il regolare svolgimento del processo (Cass. n. 17457/2009; 21017/2007; 7579/2007; 7524/2005; fino a Cass. n. 5409/1977). 4.7. Alla luce di tali criteri, l’eccezione, proposta dall’opponente nella memoria autorizzata ai fini della decisione in ordine alla provvisoria esecuzione del decreto, rappresentava diversamente da quanto sostiene la resistente (v. precedente punto 4.3.) – una vera e propria eccezione nuova esorbitante dalle domande ed eccezioni originarie, che non rappresentava precisazione, nè modifica delle stesse, non essendo omogenei i fatti posti alla base della nuova eccezione (mancata azione del creditore nei confronti dell’obbligato principale nei sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione ex art. 1957 c.c.), rispetto a quelli sui quali si basavano le alternative eccezioni proposte nell’atto d’opposizione al decreto ingiuntivo (conclusione della fideiussione ad opera di rappresentante in conflitto d’interessi con il rappresentato e mancata indicazione dell’importo massimo garantito). L’estraneità dell’eccezione di liberazione del fideiussore, per mancato esercizio del diritto da parte del creditore entro sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione, al thema decidendum originario è stata affermata da questa S.C. in varie fattispecie processuali (Cass. 27 settembre 2011 n. 19736, rispetto all’altra causa estintiva della fideiussione di cui all’art. 1955 c.c., proprio per la disomogeneità dei fatti costitutivi posti alla base delle due diverse eccezioni; Cass. 16 giugno 1981 n. 3904, sulla novità in sede di legittimità dell’eccezione basata su detta norma; Cass. 15 febbraio 1972 n. 408, che ha ritenuto preclusa in secondo grado l’eccezione stessa in quanto, in base alle regole allora vigenti, non proposta nei motivi di appello). 4.8. Non trattandosi, pertanto, nè di precisazione, nè di modificazione di eccezione già proposta, non v’è motivo di verificare se essa debba ritenersi tempestivamente proposta, rispetto agli artt. 183 e 184 c.p.c., nel testo vigente ratione temporis. 5. L’accoglimento del primo motivo assorbe ogni decisione rispetto al secondo, volto a far ritenere l’ammissibilità di difese tendenti a paralizzare proprio quell’eccezione ex art. 1957 c.c. qui ritenuta tardiva. 6. L’accoglimento del predetto motivo comporta la cassazione della sentenza impugnata, in relazione allo stesso, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, non risultando riproposte in appello le originarie eccezioni dell’opponente, la decisione nel merito della causa, con il rigetto dell’opposizione al decreto ingiuntivo. 7. Ricorrono giusti motivi, tenuto conto della natura della controversia e dell’iter processuale, per dichiarare compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata, in relazione la motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione al decreto ingiuntivo.

Compensa le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *