Cass. civ. Sez. III, Sent., 05-06-2012, n. 8988

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. C.A. ed P.O. impugnano per cassazione, sulla base di due motivi, illustrati con memoria, la sentenza della Corte di Appello de L’Aquila, depositata il 23 maggio 2007, che, in riforma della sentenza di primo grado, revocava il decreto ingiuntivo emesso nei loro confronti e li condannava al pagamento in favore di Capitalia della somma corrispondente al debito della Cooperativa La Nuova Rinascita nei confronti di detta Banca quale risultante al 9 luglio 1992 e determinato con applicazione dei soli interessi legali, nonchè previa detrazione delle somme che la Banca avesse eventualmente riscosse dal debitore principale e/o da altri fideiussori. L’intimata non ha svolto attività difensiva. 2. I ricorrenti deducono: 2.1. Violazione art. 112 c.p.c. in rel. agli artt. 1955 e 1956 c.c., sussistendo il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, poichè la Corte territoriale avrebbe omesso qualsiasi pronuncia sul motivo di opposizione al decreto ingiuntivo riproposto in appello – riguardante la richiesta di declaratoria d’intervenuta liberazione delle fideiussioni per il comportamento colpevole della creditrice – sistematicamente contrario ai principi di correttezza e di buona fede nei confronti dei fideiussori e collusivo con la debitrice principale, agevolandola con operazioni di ulteriori finanziamenti mediante ricorso abusivo al credito concomitante con la spoliazione patrimoniale e l’incipiente manifesto stato d’insolvenza. Chiede, al riguardo alla Corte se l’omessa pronuncia sulla richiesta espressa di liberazione delle fideiussioni per il colpevole comportamento della banca e per il recesso esercitato da essi ricorrenti integri la violazione dell’art. 112 c.p.c., trattandosi di punto decisivo del giudizio. 2.2. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio, con conseguente violazione dell’art. 132 in rel. all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 e artt. 1955 e 1956 c.c. Chiede alla Corte se l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sulla richiesta di declaratoria d’intervenuta liberazione delle contestate Fideiussioni per fatto e colpa ascrivibili alla banca creditrice, ai sensi degli artt. 1955 e 1956 c.c., integri la violazione dell’art. 132 c.p.c. in rel. all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, trattandosi di un fatto controverso e decisivo per il giudizio. 3. Come raccomandato dal Collegio, viene adottata motivazione in forma semplificata. 3.1. I motivi – da trattarsi congiuntamente proponendo, sotto diversi profili, la medesima censura – si rivelano entrambi inammissibili, per inidoneità del quesito di diritto e del momento di sintesi formulati in relazione agli stessi e perchè trattati in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione. 3.2. 4.1. Infatti, l’art. 366-bis cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione temporis (la sentenza è stata depositata il 23.05.07), prevede le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, disponendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso se, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo iter argomentativo della decisione impugnata e non, come peraltro prospettato nella specie anche un error in procedendo), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in un’esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione (Cass. n. 4556/09). 3.3. Orbene, nel caso in esame, rispetto al secondo motivo, che deduce vizio motivazionale, è stato formulato un inidoneo momento di sintesi (uno specifico "momento di sintesi" non risulta, inoltre, formulato in relazione alla parte del primo motivo che deduce vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5). Detta sintesi, come da questa Corte precisato, richiede un quid pluris rispetto alla mera illustrazione del motivo, imponendo un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002). L’individuazione del denunziato vizio di motivazione risulta perciò impropriamente rimessa all’attività esegetica del motivo da parte di questa Corte (Cass. n. 9470/08). Si deve ribadire, al riguardo, che è inammissibile, alla stregua della seconda parte dell’art. 366 bis cod. proc. civ., il motivo di ricorso per cassazione con cui, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la parte si limiti a censurare l’apoditticità e carenza di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento alla valutazione d’inadeguatezza delle risultanze di causa da parte del giudice del merito, in quanto la norma processuale impone la precisazione delle ragioni che rendono la motivazione inidonea a giustificare la decisione mediante lo specifico riferimento ai fatti rilevanti, alla documentazione prodotta, alla sua provenienza e all’incidenza rispetto alla decisione (Cass. n. 4589/09). 3.4. Dal canto loro, i quesiti di diritto non possono consistere in una domanda che si risolva in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni illustrate nel motivo e porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere al quesito con l’enunciazione di una regula iuris (principio di diritto) che sia suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. A titolo indicativo, si può delineare uno schema secondo il quale sinteticamente si domanda alla Corte se, in una fattispecie quale quella contestualmente e sommariamente descritta nel quesito (fatto), si applichi la regola di diritto auspicata dal ricorrente in luogo di quella diversa adottata nella sentenza impugnata (Cass. S.U., ord. n 2658/08). E ciò quand’anche le ragioni dell’errore e della soluzione che si assume corretta siano invece -come prescritto dall’art. 366 c.p.c., n. 4, – adeguatamente indicate nell’illustrazione del motivo, non potendo la norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. interpretarsi nel senso che il quesito di diritto possa desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, poichè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (Cass. 20 giugno 2008 n. 16941). Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede, pertanto, che, con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed averne indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto, formulato in modo tale da circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (v. Cass., 17/7/2008 n. 19769; 26/3/2007, n. 7258). Occorre, insomma, che la Corte, leggendo il solo quesito, possa comprendere l’errore di diritto che si assume compiuto dal giudice nel caso concreto e quale, secondo il ricorrente, sarebbe stata la regola da applicare. 3.5. Non si rivela, pertanto, idoneo il quesito formulato alla fine del primo motivo proposto nel presente ricorso, dato che non contiene idonei riferimenti in fatto, nè espone le regole di diritto che si assumono erroneamente applicate, quanto a quelle di cui s’invoca l’applicazione, si esauriscono in enunciazioni di carattere generale ed astratto che, in quanto prive di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, non consentono di dare risposte utili a definire la causa (Cass. S.U. 11.3.2008 n. 6420). Del resto, i quesiti di diritto non possono risolversi – come nell’ipotesi – in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta, ovvero in cui la risposta non consente di risolvere il caso sub indice (Cass. S.U. 2/12/2008 n. 28536). 3.6. Senza contare che entrambi i motivi – che deducono l’omessa pronuncia sulla questione della liberazione dalle fideiussioni, che si asserisce essere stata proposta sia come motivo di opposizione al decreto ingiuntivo che come motivo di appello – sono formulati impropriamente sotto il profilo del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 e non in relazione al n. 4 del medesimo articolo, trattandosi di error in procedendo, nonchè esposti in violazione del canone di autosufficienza del ricorso per cassazione. Va, infatti ribadito che: 3.6.A. L’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente, non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale o del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo e della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (Cass. n. 375/2005; 11844/2006; 24856/06; 1196, 12952 e 15882/2007; nonchè 5087/2010, la quale ha precisato anche che il ricorrente è tenuto, ai fini dell’astratta idoneità del motivo ad individuare l’indicata violazione, a precisare – a pena di inammissibilità – che il motivo o la conclusione siano stati mantenuti nel giudizio di appello fino al momento della precisazione delle conclusioni). 3.6.B. affinchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, è necessario, da un lato, che al giudice di merito fossero state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, e, dall’altro, che tali domande o eccezioni siano state riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, per il principio dell’autosufficienza, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività (Cass. S.U, n. 15781/2005; v. anche Cass. 978/2007; 16752/2006, ord.; 317/2002). 3.7. Pertanto, il ricorso è inammissibile. Nulla per le spese del presente giudizio, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2012

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