Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 05-06-2012, n. 8977

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione del 15.4.1985 F.W. e G. convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Roma il Ministero della Difesa ed esponevano: di essere comproprietarì di un terreno di mq. 1062 sito in (OMISSIS), località (OMISSIS); che detto terreno era stato occupato dall’amministrazione convenuta a seguito di provvedimento del Comandante della Regione militare centrale; che tuttavia la detta amministrazione non aveva poi dato corso all’espropriazione; che l’immobile in questione era stato incluso nel poligono di tiro realizzato dal Ministero della Difesa e si sarebbe quindi realizzata una fattispecie di occupazione acquisitiva del bene. Conseguentemente chiedevano la condanna del convenuto al risarcimento del danno ed al pagamento dell’indennità di occupazione.

Il Ministero si costituiva sollecitando il rigetto della domanda, anche in ragione del carattere abusivo della costruzione realizzata sul terreno in questione, domanda che viceversa il Tribunale accoglieva, rimettendo la causa in istruttoria per le relative quantificazioni.

All’udienza del 18.10.94 veniva quindi formulata riserva di gravame e, " per l’ipotesi in cui detta sentenza fosse stata definitiva ", veniva proposto anche appello immediato davanti alla Corte territoriale, che tuttavia dichiarava inammissibile l’appello, poichè avente ad oggetto sentenza non definitiva, All’esito dell’espletata istruttoria il Tribunale condannava il Ministero al pagamento di L. 1.337.459.000f oltre rivalutazione ed interessi, decisione che, unitamente a quella non definitiva, veniva impugnata dall’originario convenuto. La Corte di Appello adita confermava la decisione di primo grado, rilevando in particolare: che " l’appello dichiarato inammissibile non può essere riproposto, con la conseguenza che deve escludersi che l’amministrazione … possa rimettere in discussione, aspetti della causa che risultano già decisi … "; che pertanto le sole censure non attinenti a profili coperti dal giudicato interno sarebbero state quelle concernenti il carattere abusivo della costruzione o l’applicabilità del criterio del valore di mercato del bene; che peraltro le stesse sarebbero risultate inconsistenti, in quanto non confortate dai riscontri processuali e "insuscettibili di inficiare l’attendibilità delle conclusioni esposte nella consulenza tecnica di ufficio".

Avverso la decisione il Ministero della Difesa ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui hanno resistito con controricorso F.G. e F.A., Fa.

G., I.Q., F.G. in proprio e quale procuratore di F.V., nella qualità di eredi di F.W.. Entrambe le parti depositavano infine memoria.

La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza pubblica del 27.3.2012.

Motivi della decisione

Con i tre motivi di impugnazione il Ministero ha rispettivamente denunciato:

1) difetto di giurisdizione del giudice ordinario, atteso che il tema di indagine oggetto di giudizio sarebbe individuabile nella legittimità o meno del decreto n. 134/80 del Comandante Militare territoriale della Regione Centrale, sulla quale si sarebbe già espresso in termini positivi il Consiglio di Stato, con decisione del 27.10.1981;

2) violazione degli artt. 340 e 358 c.p.c., con riferimento all’intervenuta declaratoria di inammissibilità dell’appello avverso la sentenza parziale n. 6754/94.

Era stata infatti formulata riserva di gravame e l’appello immediato avverso la medesima sentenza era stato azionato "per mero tuziorismo, per l’ipotesi (remota) per cui la sentenza gravata non fosse da ritenersi definitiva" (p. 5). L’inammissibilità dell’appello immediato non avrebbe potuto spiegare dunque alcun effetto sull’efficacia della riserva di gravame, nè avrebbe rilevanza in senso contrario la successiva declaratoria di inammissibilità di cui alla sentenza 3035/98 della stessa Corte di Appello, trattandosi di decisione processuale, in quanto tale inidonea a determinare il passaggio in giudicato della decisione;

3) violazione dell’art. 112 c.p.c., stante l’assenza di pronuncia sulla doglianza relativa alla misura delle indennità e del risarcimento, che sarebbero stati quantificati in misura eccessiva ed il cui esame non sarebbe stato precluso dalla statuizione di inammissibilità dell’appello contro la sentenza parziale.

Il primo motivo di censura, con il quale il Ministero della Difesa ha sollevato una questione di giurisdizione, segnatamente prospettata sotto il profilo del contenuto dell’accertamento che gli originari attori avrebbero sostanzialmente sollecitato, è inammissibile, circostanza che determina l’assorbimento del secondo motivo. In particolare, secondo il ricorrente, il detto accertamento avrebbe avuto ad oggetto la legittimità del provvedimento amministrativo con il quale era stato disposta l’occupazione di urgenza del terreno di loro proprietà, e su tale questione si sarebbe fra l’altro già espresso il Consiglio di Stato (evocato da proprietari di fondi limitrofi), decidendo in termini adesivi all’assunto di esso Ministero.

In proposito osserva tuttavia il Collegio che, a parte ogni considerazione in ordine alla tardività della deduzione che non risulta in precedenza formulata, la censura prospettata va disattesa sotto un pregiudiziale assorbente profilo. Ed infatti, nella contestata decisione la Corte di Appello ha specificamente rilevato come il Ministero con l’atto "all’origine del presente giudizio abbia certamente inteso chiedere la riforma della sola sentenza definitiva n. 15037/2002 in data 15.4.2002, con la conseguenza che … devono considerarsi passate in giudicato le statuizioni e le relative affermazioni contenute nella citata pronuncia non definitiva".

Quest’ultima statuizione, avente ad oggetto il contenuto dell’atto di impugnazione e le conseguenze derivanti dalla relativa interpretazione, non è stata censurata e pertanto, sotto tale riflesso, emerge l’inconsistenza delle doglianze formulate.

Ad identiche conclusioni di inammissibilità deve poi pervenirsi per quanto concerne il terzo motivo di impugnazione, con il quale il Ministero si è doluto dell’omessa pronuncia della Corte territoriale sugli aspetti attinenti all’entità delle indennità e del risarcimento, ritenuti eccessivi.

In proposito giova rilevare che la Corte di Appello, dopo aver precisato che le sole censure sottratte alla preclusione da giudicato risultavano essere quelle concernenti il valore dell’immobile, ha poi escluso che le stesse potessero essere oggetto di esame per la loro genericità, perchè riproduttive "in modo pressochè testuale i rilievi svolti nella comparsa conclusionale di primo grado", per non avere ad oggetto le argomentazioni esposte nella sentenza appellata, per essere incentrate "su valutazioni che non trovano alcun reale fondamento negli atti di causa". Tali affermazioni non sono state censurate, essendosi il ricorrente limitato a denunciare la mancata risoluzione di "tutte le questioni di merito sollevate, con particolare riferimento a quella attinente al valore dei beni per cui è causa" ed a prospettare, quindi, doglianze del tutto generiche.

Conclusivamente il ricorso deve essere dunque dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.700, di cui Euro 200 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 27 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2012

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