Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 06-06-2012, n. 9152

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con sentenza 1. 12.2003 il Tribunale di Brindisi respingeva la domanda di V.M., operaia agricola a tempo determinato e titolare di pensione di vecchiaia, intesa ad ottenere il riconoscimento del diritto alla riliquidazione della pensione mediante utilizzo delle retribuzioni giornaliere medie per gli operai agricoli a tempo determinato, come fissate per gli anni precedenti il pensionamento con i decreti ministeriali pubblicati nell’anno immediatamente successivo, con gli accessori relativi alle differenze sul trattamento corrisposto dall’INPS. In riforma della statuizione di prime cure la Corte d’appello di Lecce, con sentenza 18.7.2007, dichiarava il diritto della V. alla riliquidazione della pensione attraverso l’utilizzo delle retribuzioni medie giornaliere per gli operai agricoli a tempo determinato relative ai cinque anni precedenti il pensionamento, come rilevate, ai sensi del D.P.R. n. 488 del 1968, art. 28 con i decreti ministeriali pubblicati, per ciascuno dei predetti anni, nell’anno immediatamente successivo; per l’effetto, condannava l’INPS al pagamento delle differenze per i ratei maturati entro il termine di prescrizione, oltre ad interessi e rivalutazione nei limiti della L. n. 412 del 1991, art. 16.

Ritenevano i giudici del gravame che il sistema di calcolo adottato dall’Istituto (che individuava la retribuzione pensionabile in base a salario medio convenzionale rilevato annualmente nella provincia di Brindisi mediante gli appositi decreti ministeriali, previsti dall’art. 28 cit., relativi agli ultimi cinque anni prima del pensionamento, senza tener conto che in ciascuno di tali decreti si veniva a determinare il salario dell’anno precedente e non anche di quello in corso) si fondava, erroneamente, sulla L. n. 457 del 1972, art. 3 interpretato autenticamente dalla L. n. 144 del 1999, art. 45, comma 21 che era previsto per le sole prestazioni temporanee, ma non per il trattamento di pensione.

Per la cassazione della pronuncia della Corte territoriale ricorre l’INPS affidandosi ad un unico motivo, poi ulteriormente illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c..

Resiste con controricorso la V..

Motivi della decisione

1- Con unico motivo di doglianza l’INPS chiede, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (applicabile ratione temporis al caso di specie), che la Corte affermi che, in materia di liquidazione dei trattamenti pensionistici in favore dei lavoratori agricoli a tempo determinato, deve trovare applicazione la L. n. 457 del 1972, art. 3 così come interpretato dalla L. n. 144 del 1999, art. 45, comma 21 che prevede l’utilizzo, come parametro di calcolo, della retribuzione media convenzionale individuata nell’apposito decreto ministeriale previsto dal D.P.R. n. 488 del 1968, art. 28 con riferimento all’anno precedente la liquidazione della pensione.

Il motivo è fondato.

Questa S.C., rimeditando il precedente orientamento espresso con sentenza n. 2377/2007, è ormai più volte pervenuta alla conclusione che, in tema di pensione di vecchiaia degli operai agricoli a tempo determinato, la retribuzione pensionabile per gli ultimi anni di lavoro va calcolata applicando il D.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 28 e, dunque, in forza della determinazione operata anno per anno da apposito decreto ministeriale sulla media delle retribuzioni fissate dalla contrattazione provinciale nell’anno precedente.

Ciò trova conferma – oltre che nell’impossibilità di rinvenire un diverso e più funzionale sistema di calcolo, che non pregiudichi l’equilibrio stesso della gestione previdenziale di settore – anche nella disposizione di cui alla L. n. 144 del 1999, art. 45, comma 21 che nell’interpretare autenticamente la L. n. 457 del 1972, art. 3 concernente le prestazioni temporanee in favore dei lavoratori agricoli, ha inteso estendere ai lavoratori agricoli a tempo determinato l’applicazione della media della retribuzione prevista dai contratti collettivi provinciali vigenti al 30 ottobre dell’anno precedente prevista per i salariati fissi, così da ricondurre l’intero sistema ad uniformità, facendo operare, ai fini del calcolo di tutte le prestazioni, le retribuzioni dell’anno precedente (v., e pluribus, Cass. 30.1.09 n. 2531, Cass. 23.2.09 n. 4355 e le successive pronunce di questa S.C., tutte conformi).

Deve ritenersi superato il dubbio che il richiamo all’interpretazione autentica data dal cit. L. n. 144 del 1999, art. 3 non sia pertinente in quanto l’interpretazione stessa è testualmente riferita alla "determinazione della retribuzione media da porre a base per la liquidazione delle prestazioni temporanee per gli operai agricoli a tempo determinatò" e non anche delle prestazioni previdenziali:

infatti, la L. 23 dicembre 2009, n. 191 ha reiterato l’interpretazione autentica precisando che "la L. 8 agosto 1972, n. 457, art. 3, comma 3, si interpreta nel senso che il termine ivi previsto del 30 ottobre per la rilevazione della media tra le retribuzioni per le diverse qualifiche previste dai contratti collettivi provinciali di lavoro ai fini della determinazione della retribuzione media convenzionale da porre a base per le prestazioni pensionistiche e per il calcolo della contribuzione degli operai agricoli a tempo indeterminato è il medesimo di quello previsto alla citata L. n. 457 del 1972, art. 3, comma 2 per gli operai a tempo indeterminato".

Tale ultimo intervento del legislatore rafforza ulteriormente il principio più recentemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte.

Nè sussistono margini per sollevare incidente di legittimità costituzionale cit. L. 23 dicembre 2009, n. 191, art. 2, comma 5, atteso che con sentenza n. 257/2011 la Corte cost. si è già pronunciata a riguardo, dichiarando non fondata la relativa questione proposta con riferimento all’art. 3 Cost., all’art. 111 Cost., commi 1 e 2, art. 117 Cost., comma 1, in relazione agli artt. 6 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva con L. 4 agosto 1955, n. 848.

Nè la questione potrebbe essere oggi riproposta in relazione agli ulteriori parametri dell’art. 24 Cost. (già in sostanza esaminato dalla cit. sentenza n. 257/2011) e/o dell’art. 38 Cost. (che non vincola il legislatore ad un dato sistema di calcolo della retribuzione a fini pensionistici).

Nè potrebbe sollevarsi una questione che facesse leva su un contrasto con gli artt. 101, 102 e 104 Cost. in quanto ostativi a una norma di interpretazione autentica tale da snaturare l’originario portato precettivo da interpretare, attribuendogli un significato estraneo a quelli in origine autorizzati dal testo normativo ed intervenendo su un tema scevro da incertezze ermeneutiche, con conseguente violazione delle prerogative costituzionali del potere giudiziario.

Ebbene, la cit. sentenza n. 257/2011 della Corte cost. si è già pronunciata a riguardo con il dire che "l’opzione ermeneutica prescelta dal legislatore non ha affatto introdotto nella disposizione interpretata un elemento ad essa del tutto estraneo, ma si è limitata ad assegnarle un significato riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario. Il che è reso evidente dai contrastanti orientamenti della giurisprudenza di legittimità, di cui la medesima ordinanza di rimessione da conto e che sono anteriori alla norma censurata".

Il fatto, poi, che non esistesse contrasto interpretativo è smentito dal rilievo che la sopra ricordata sentenza 30.1.09 n. 2531 di questa S.C., che era andata in contrario avviso rispetto al precedente arret costituito da Cass. n. 2377/07 (oltre che da Cass. n. 3212/07), è anteriore alla norma di interpretazione autentica contenuta nella L. n. 191 del 2009, art. 2, comma 5.

Dunque, proprio a livello di legittimità esisteva una situazione di oggettiva incertezza del dato normativo.

2- In conclusione, il ricorso è da accogliersi e, per l’effetto, la sentenza impugnata da cassarsi.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, ex art. 384 c.p.c., comma 2 la controversia può essere decisa nel merito da questa S.C., con rigetto della domanda alla stregua della argomentazioni sopra svolte.

Non va emessa pronuncia sulle spese, ricorrendo i presupposti di cui all’art. 152 disp. att. c.p.c. nel testo anteriore alla novella di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11 convertito, con modificazioni, in L. 24 novembre 2003, n. 326, inapplicabile ratione temporis nel caso di specie, atteso che il ricorso introduttivo di lite è stato depositato prima dell’ottobre 2003.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda. Nulla spese.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2012

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