Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 09-11-2011) 24-11-2011, n. 43649 Associazione per delinquere Circostanze del reato Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. E’ sottoposta a ricorso la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria del 21/12/2009 con la quale, in parziale riforma della sentenza di primo grado emessa dal gip del medesimo Tribunale, è stata confermata l’affermazione di responsabilità dei ricorrenti di seguito indicati per reati attinenti la cessione di sostanze stupefacenti.

2.1. La difesa di A.F., imputato del reato continuato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 1 con il primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla mancata applicazione del comma 5 della fattispecie incriminatrice.

Si rileva che il riconoscimento della diminuente è stata escluso per la reiterata attività di spaccio, nonchè per le modalità di diffusione e la natura della sostanza complessiva trattata, che comproverebbe l’esistenza di un ampio bacino d’utenza, elementi di fatto che non consentono, secondo il giudicante, l’identificabilità di tale condotta nell’ambito della disciplina evocata.

Nel contrastare tale argomentazione, si osserva che l’attività continuativa di spaccio non è ostativa all’inquadramento invocato;

si rileva inoltre che, al di là degli elementi astratti citati, di cui la Corte non ha individuato la ricorrenza nel concreto, deve escludersi una valutazione preclusiva considerato che, sulla base della medesima sentenza di primo grado è emersa la natura di tossicodipendente dell’imputato nonchè la circostanza di fatto che, malgrado la presenza di numerosi contatti telefonici con vari tossicodipendenti, solo in due casi è stata accertata la correlazione di tali contatti con intervenuta cessione di sostanze stupefacenti.

Gli episodi accertati hanno condotto a concludere che l’imputato si sia reso responsabile di singole cessioni in favore di distinti consumatori.

La sentenza della Corte in argomento ha fatto riferimento ai riscontri all’attività illecita conseguenti alla perquisizione di tossicodipendenti ed all’attività di osservazione a seguito delle intercettazioni, non conferendo il giusto rilievo, per converso, alla minima entità dell’attività di cessione così realizzata. Si richiamano le peculiari modalità dello spaccio, sottolineando che già nella pronuncia di primo grado era stata accertata la limitazione dell’attività di cessione in favore di distinti consumatori, evidenziando inoltre che non è stata accertata la natura della sostanza; che non è stato possibile individuare la complessiva quantità della sostanza trattata, pur evocata per attribuire negativo spessore all’attività dalla sentenza di secondo grado; che non sono stati specificati da quali elementi, desumibili dagli atti, si possa ricavare l’entità del traffico.

2.2. Si eccepisce mancanza di motivazione, e violazione di legge in relazione all’esclusione di applicabilità delle attenuanti generiche e di una pena contenuta nel minimo, lamentando sul punto le generiche allegazioni della Corte, che non hanno il tenuto nel debito conto le censure dell’appellante riguardo la contestazione dei pretesi numerosi precedenti specifici risultanti a carico dell’ A., ignorando del tutto le allegazioni a riguardo.

In ogni caso, dal complesso della motivazione si ricava che il giudice di merito ha valutato i medesimi parametri, sia al fine di escludere la quantificazione della pena nel minimo, che per escludere la riconoscibilità delle attenuanti generiche, con violazione del divieto del bis in idem sostanziale, che si censura.

3.1. La difesa di C.S.M., del quale anche è stata ritenuta la responsabilità in relazione al reato continuato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 1, eccepisce con il primo motivo mancanza ed apparenza della motivazione lamentando che il giudice dell’appello abbia ignorato i rilievi mossi nel gravame, desumendo da elementi di fatto connaturati alla qualità di tossicodipendente dell’interessato la sua partecipazione allo spaccio, che non risulta invece confortata da ulteriori dati, desumibili dalle intercettazioni ambientali disposte nel procedimento.

3.2. Con il secondo motivo si eccepisce mancanza di motivazione con riferimento alla valutazione degli indizi di colpevolezza.

Richiamando gli argomenti contenuti in atto d’appello a riguardo, si rileva che la sentenza ha valorizzato a suo carico la circostanza che, dopo un incontro con l’odierno ricorrente, alcuni tossicodipendenti sottoposti a controlli di p.g. erano stati sorpresi in possesso della droga, il che, in assenza dell’osservazione relativa all’intervenuta cessione di stupefacente in quel contesto, non permetteva di desumere in maniera non equivoca la riconducibilità della consegna della sostanza al ricorrente.

Analogo vizio viene eccepito riguardo la mancata applicazione della diminuente di cui al quinto comma della norma incriminatrice. La Corte ha posto l’accento a tal fine sulla natura continua e non episodica dell’attività di cessione, omettendo di verificare gli ulteriori indicatori elencati nella norma. Si rileva inoltre l’insufficienza del dato della reiterazione della cessione ad escludere la diminuente, posto che è prevista un’associazione finalizzata a cessioni di minima entità, che sembra contraddire l’assunto posto a base della decisione impugnata.

4.1. La difesa di G.E., del quale è stata ritenuta la responsabilità in relazione al reato continuato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 1, lamenta con il primo motivo violazione di legge e difetto di motivazione valorizzando la qualità di tossicodipendente dell’odierno ricorrente, nonchè delle persone con le quali egli aveva intrattenuto qualche rapporto telefonico. Si lamenta la circostanza che, malgrado un unico controllo avesse riscontrato, a seguito di contatto telefonico, i rapporti dell’odierno ricorrente con tale Ce. si è solo su questa base ipotizzata la frequenza di tali cessioni, corroborando tale conclusione in forza di un episodio risalente al (OMISSIS), in occasione del quale il ricorrente sarebbe stato tratto in arresto per spaccio di eroina a favore di tale B., oltre che dell’ammissione del ricorrente di aver ceduto singole dosi a tossicodipendenti, nel contesto di un consumo di gruppo, contestando che tali elementi siano idonei a sorreggere l’affermazione di responsabilità. 4.2. Si osserva inoltre che non vi è stata pronuncia riguardo alla ricorrenza della pur sollecitata applicazione della diminuente del comma 5 della norma incriminatrice, la cui sussistenza nel concreto è chiaramente giustificata dal contesto in cui le azioni si sono verificate. Si lamenta l’esclusione l’uso di gruppo, non giustificata dal concreto sviluppo delle condotte, e quindi la mancata applicazione della disciplina di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 75.

Da ultimo sì lamenta l’entità del criterio sanzionatorio adottato, che non ha contenuto la pena nel minimo.

5.1. La difesa di M.P., anch’egli condannato in relazione al reato continuato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 1, eccepisce con il primo motivo violazione di legge e vizio di motivazione in punto di prova di responsabilità, richiamando a tal fine le dichiarazioni dell’interessato che ha, confermando la sua tossicodipendenza, ricondotto l’attività di cessione nell’ambito di quelle solitamente in corso tra persone affette da dipendenza, mentre si ritiene insignificante l’uso del linguaggio criptico nelle comunicazioni, sottolineato dal giudicante per corroborare l’ipotesi d’accusa, posto che la materia trattata esclude che possa utilizzarsi un linguaggio trasparente.

5.2. Si eccepiscono analoghi motivi riguardo all’omesso riconoscimento del quinto comma della norma incriminatrice, escludendo che sia ostativa a tale applicazione la pretesa assiduita dello scambio, poichè tale situazione non esclude la minima offensività dell’azione, così come risulta legittimato dalla lettura della norma.

5.3. Si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione riguardo la graduazione della pena che, in ragione della richiamata tossicodipendenza, avrebbe dovuto essere contenuta nel minimo edittale.

6.1. La difesa di Mo.Gi.Se., condannato in relazione ai reati di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73 e art. 74, comma 6, con il primo motivo eccepisce violazione di norma processuale e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta inutilizzabilità delle intercettazioni disposte con decreto del 12/7/2001 n. 17413, per la genericità della motivazione offerta dalla procura all’ascolto disposto presso strutture estranee ai suoi uffici.

In argomento la Corte ha richiamato la sentenza sezioni unite Policastro che ritiene idonea la giustificazione del P.m, sulla modalità di audizione facendo riferimento all’attestazione di segreteria, non tenendo conto dell’ulteriore evoluzione giurisprudenziale sul punto, che ha escluso la sufficienza del rinvio ad un’attestazione, richiedendo l’esplicitazione della ritenuta indisponibilità che deve fare riferimento ad una certificazione esauriente, attestazione insussistente nel caso concreto. Se è vero che la Corte ha ritenuto possibile un’integrazione successiva, nel caso concreto mancherebbe anche tale integrazione, rendendo quindi insanabile l’inutilizzabilità sussistente nel concreto.

6.2. Con il secondo motivo si rileva violazione di legge e difetto di motivazione, desumibile dalla circostanza che nella sentenza non si fosse tenuto conto delle osservazioni delle parti sugli elementi favorevoli emersi, recependo le considerazioni del gup, senza fornire convincente spiegazione sulle obiezioni difensive contenute in atto d’appello; in particolare la Corte ha affermato la consumazione del reato associativo di minore entità di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 74, comma 6, negando poi la ricorrenza della diminuente per il reato fine con motivazione contraddittoria.

Dopo aver osservato che sono state ricondotti al ricorrente episodi delittuosi risalenti all’arco di tempo (OMISSIS), nel corso dei quali questi parla attraverso un’utenza cellulare e non usa espressioni criptiche, si obietta che la Corte non ha considerato la circostanza che si tratta di discorsi tra tossicodipendenti alla ricerca di una dose giornaliera, come dimostrato dalla mancata individuazione dell’esponente quale persona coinvolta nello spaccio, da parte delle persone escusse.

6.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in quanto, vertendosi su condotte consumate prima dell’entrata in vigore della Legge 2000, non si è tenuto conto della pacifica non punibilità del consumo di gruppo sotto la vigenza di quella normativa, fattispecie alla quale può ricondursi la condotta ascritta l’imputato.

6.4. Si lamenta con il quarto motivo difetto di motivazione attinente la pretesa partecipazione del ricorrente all’attività associativa, non essendo stati posti in risalto, i motivi di tale accertamento, che deve riguardare la natura permanente del vincolo associativo ed il carattere stabile dell’organizzazione, nonchè il ruolo in essa rivestito da Mo..

Sfornita di motivazione risulta inoltre, secondo il ricorrente, la determinazione della pena irrogata nel concreto in misura nettamente superiore al minimo previsto dalla legge.

7.1. La difesa di Q.D., anch’egli condannato in relazione ai reati di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73 e art. 74, comma 6, eccepisce con il primo motivo violazione di norma processuale e difetto di motivazione in relazione agli artt. 268 e 271 cod. proc. pen. rilevando, per i decreti autorizzativi delle intercettazioni specificamente indicati in ricorso, la genericità e apoditticità della motivazione adottata dalla procura della Repubblica per giustificare l’indisponibilità degli impianti interni, nonchè l’erronea motivazione riguardo le condizioni di eccezionale urgenza che hanno indotto a non attendere la liberazione delle postazioni nella sala di ascolto. Nelle attestazioni allegate al decreto non è riportata alcuna specificazione delle ragioni di tale indisponibilità, che consenta di valutare accertata l’insufficienza degli apparati, come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità, a tal fine non potendo supplire le attestazioni dell’ufficio, fermo restando che da tali attestazioni non è dato desumere neppure indirettamente l’indicazione sull’assoluta urgenza dell’accertamento.

7.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione riguardo l’apprezzamento di sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. In particolare si è osservato da parte del giudicante che Q. manteneva collegamenti con numerosi tossicodipendenti e che con essi comunicava col linguaggio criptico, argomenti entrambi sforniti di capacità dimostrativa. Si osserva che l’indizio deve essere in sè determinante, ed essere solo rafforzato dalla valutazione complessiva, mentre in questo caso i singoli elementi sono privi di tale connotazione; in ogni caso si ritiene che gli elementi valorizzati non possano neanche assurge a gravità di indizio, contrariamente a quanto valutato nella sentenza, che ha fornito significato accusatorio all’utilizzazione di diverse carte Sim da parte del ricorrente, poichè tale modalità comunicativa univocamente dimostrativa della finalità illecita, soprattutto ove, come nella specie, le diverse carte venivano utilizzate sullo stesso apparecchio telefonico, circostanza che consente di individuare in ogni caso l’utilizzatore attraverso il medesimo numero IMEI. Neppure può assumere a finalità dimostrativa la circostanza che egli avesse solo contatto con tossicodipendenti, elemento di fatto di cui si contesta l’effettiva aderenza alle risultanze processuali.

Analogamente si è ritenuto che si riferissero a stupefacenti le conversazioni che riguardano, ad esempio, pantaloni, oggetti non riguardanti settori merceologici trattati dell’interessato, mentre in senso contrario egli ha dedotto nel giudizio di merito lo svolgimento di attività economica riguardante tale settore, segnalandosi che inspiegabilmente tale giustificazione è stata ritenuta plausibile solo per diverso coimputato che, avendo svolto le medesime osservazioni, risulta essere stato assolto. Conseguentemente si sottolinea che tutti gli elementi, isolatamente considerati, non conducono ad una valutazione di univocità degli indizi, che esclude conseguentemente la legittimità di una loro valutazione complessiva.

7.3. Con il terzo motivo si contesta la violazione di legge ed il vizio di motivazione riguardo l’accertamento di sussistenza dell’associazione a fini di spaccio, di cui si è desunta la presenza sulla base dei rapporti intercorrenti tra Q. ed i suoi coimputati. Si sottopongono a critica gli elementi valorizzati a tal fine, sulla base dei quali era stato ritenuto che tale D. dovesse identificarsi nell’imputato, elemento la cui verificabilità si contesta; che l’attività di lavaggio auto svolta presso l’azienda di Q. non fosse una copertura dell’illecita attività, conclusione raggiunta dal giudice sulla base della valutazione sulla sua mobilità eccessiva, ritenuta, ingiustamente, incompatibile con il lavoro richiamato.

In ogni caso nella sentenza impugnata manca l’individuazione dell’elemento caratterizzante della fattispecie, costituito proprio dalla volontà di porre in essere una serie indeterminata di cessioni, che non risulta possibile ricondurre alla persona di Q..

7.4. Con il quarto motivo si contesta violazione di legge, per aver il giudicante ritenuto l’ipotesi associativa di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 74, comma 6, escludendo per i reati fine l’applicazione dell’art. 73, comma 5, in contrasto con la specifica lettera della legge.

7.5. Con il quinto motivo si eccepisce difetto di motivazione in relazione all’esclusione delle attenuanti generiche, nonchè l’intervenuta determinazione della pena in misura superiore al minimo, non essendo stati considerati a favore dell’interessato sia la natura risalente nel tempo dei precedenti a carico di Q., sia il comportamento corretto tenuto da questi nel corso del processo.

Motivi della decisione

1. I ricorso sono parzialmente fondati.

1.1. In particolare risulta fondato il rilievo di mancanza e contraddittorietà della motivazione riguardo all’esclusione dell’applicabilità della diminuente del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, con riferimento all’azione realizzata da A.. Si ricorda in argomento che, sulla base della lettera della norma, la valutazione di minore entità della fattispecie deve essere operata ricercando i plurimi elementi di fatto in essa indicati, ed individuandone nel caso concreto la ricorrenza o la loro esclusione, con valutazione saldamente ancorata a quanto emerso dagli atti e con necessaria individuazione di elementi i che conducano a concludere in senso favorevole o contrario a tale riconoscimento, conducendo l’individuazione anche di un solo elemento negativo al ridimensionamento dell’entità dell’attività illecita all’esclusione dell’applicazione della diminuente.

Nelle due pronunce di merito, la cui lettura unitaria, per pacifica giurisprudenza, può integrare il percorso motivazionale complessivo, non è dato ricavare gli elementi valutativi in argomento e tale carenza risulta tanto più insuperabile nella pronuncia di secondo grado, posto che l’applicazione dell’attenuante invocata costituiva uno dei motivi di gravame.

Per argomentare l’esclusione dell’attenuante invocata i giudici di merito hanno richiamato la pluralità delle cessioni, elemento di fatto inidoneo a condurre all’esclusione dello spaccio di minima entità (Sez. 6, Sentenza n. 29250 del 01/07/2010, dep. 26/07/2010, imp. Moutawakkil, Rv. 249369), del tutto pacifica essendo la compatibilità tra l’attenuante in esame e la disciplina del reato continuato, resa ulteriormente manifesta dalla previsione normativa di una associazione finalizzata al piccolo spaccio, che deve prevedere inesorabilmente nella sua struttura un chiaro indicatore di continuità dell’azione. In realtà, in correlazione al riferimento alla ripetitività dell’azione, per inferirne la necessaria qualificazione dell’azione nella disposizione di cui all’art. 73, comma 1 cit., avrebbero dovuto evidenziarsi, in via esemplificativa, la natura ravvicinata e frenetica degli scambi, i riferimenti temporali sulla base dei quali tale valutazione veniva formulata, le specifiche modalità dell’azione, ove indicative di un costante rifornimento di un congruo numero di tossicodipendenti, elementi concreti, desumibili dagli atti, sulla base dei quali fosse possibile ritenere che la natura della sostanza trattata fosse varia, o dai quali fosse possibile desumere il costante possesso di quantitativi elevati della sostanza illecita, finalizzato alla cessione, elementi di fatto tutti genericamente evocati nella pronuncia di secondo grado, senza alcuna individuazione specifica in ordine al tipo di sostanze, alle quantità o ad altri elementi, o agli atti dai quali tali elementi valutativi sono stati tratti, con modalità che di fatto non permettono all’interessato alcun controllo sul percorso valutativo seguito dal giudice di merito.

A ciò deve aggiungersi che anche nella pronuncia di primo grado, al di là del richiamo letterale al testo delle conversazioni intercettate, manca in proposito qualsiasi sintesi valutativa, sicchè anche sotto tale profilo, non può essere in alcun modo integrata la valutazione della pronuncia d’appello, su di un elemento che costituiva specifico motivo di gravame.

Se, del tutto pacificamente, la sussistenza di un unico elemento valutativo di segno contrario rispetto alla tenuità del fatto, tra quelli individuati dalla disposizione in esame, permette di escluderne l’applicazione (Sez. U, Sentenza n. 35737 del 24/06/2010, dep. 05/10/2010, imp. Rico, Rv. 247911), tuttavia nella specie, l’assoluta genericità dei riferimenti, a fronte della contestazione operata in appello riguardo ai significati che era possibile attribuire ai contatti telefonici registrati, ed alla limitazione a due di essi della possibilità di collegamento con una contestata attività di cessione, non consente di ritenere offerta una motivazione esauriente, circostanza che impone l’annullamento della pronuncia impugnata, su tale aspetto, con rinvio ad altra sezione della medesima Corte d’appello per nuovo esame sul punto.

1.2. Il motivo di ricorso riguardante la giustificazione con la quale è stato escluso il riconoscimento delle attenuanti generiche, si innesta inesorabilmente con l’analisi del primo motivo, poichè emerge dall’atto di gravame che il difensore, oltre a contestare la valenza negativa dei precedenti specifici risultanti a carico dell’imputato, sottolineando la minima gravità dei fatti ad esso ascritti, pone in luce altresì la minima entità degli episodi oggetto del presente giudizio che, in uno con la scarsa gravità degli elementi di ricavabili dai precedenti giudizi e ed alle condizioni personali dell’interessato, avrebbero consentito l’attenuazione della sanzione, sicchè anche tale aspetto deve essere rimesso alla nuova valutazione del giudice del rinvio, in quanto imprescindibilmente connesso alla prima valutazione.

2.1. Infondato è il motivo di ricorso con il quale si contesta l’affermazione di responsabilità di C., in ragione del suo stato di tossicodipendenza, poichè la sentenza in argomento ha dato conto delle plurime risultanze, costituite da intercettazioni, dalla documentazione degli incontri tra C. ed i suoi interlocutori dopo le conversazioni, dall’avvenuto sequestro di sostanza stupefacente, il cui convergente significato conferma la qualità del ricorrente di fornitore della sostanza stupefacente in favore di terzi, che non risulta poter essere smentita sulla considerazione della sua coesistente qualità, indiscussa, di tossicodipendente. Il relativo motivo di ricorso è pertanto infondato, in quanto generico.

Analogamente infondato è il motivo di ricorso riguardante il difetto di motivazione sugli indizi di colpevolezza, per la pretesa assenza di valenza accusatoria del rinvenimento nel possesso delle persone entrate in contatto con C. della sostanza stupefacente, per non essere stato colto dagli agenti operanti il momento dello scambio. In realtà la sentenza di secondo grado richiama, e quella di primo grado espone in maniera analitica, la portata ed il numero dei contatti prima telefonici, e poi diretti, tra gli interlocutori, la cui frequenza e tenore, ed il cui collegamento con i fulminei incontri verificatisi, in uno con l’uso di un linguaggio costante, chiaramente evocativo di causali diverse degli incontri, come accertato dal loro controllo, danno pienamente conto della univoca valenza indiziaria in relazione alla contestazione formulata ed impongono, sotto tale profilo, il rigetto del ricorso, che di fatto sollecita sul punto un’inammissibile valutazione di merito.

2.2. Quanto alla mancata motivazione sull’esclusione del riconoscimento della diminuente di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, non può che testualmente richiamarsi quanto espresso sub 1.1.

Infatti, anche con riferimento alla posizione processuale in esame il giudice di merito ha posto in rilievo la frequenza delle cessioni, senza indicarne temporalmente la ripetizione al fine di attualizzare la concretezza del riferimento, con richiamo che nella sua genericità risulta in sè scarsamente indicativo dell’entità del traffico; costituendo l’applicazione della diminuente uno specifico motivo di gravame la motivazione avrebbe dovuto sviluppare proprio tale aspetto, attingendo elementi concreti dagli atti a sostegno della propria valutazione negativa; anche nel caso di specie quindi deve disporsi l’annullamento con rinvio di tale capo della pronuncia.

3.1. Il primo motivo di ricorso proposto in favore di G., con il quale si impugna l’affermazione di responsabilità è generico, in quanto nella sentenza si richiamano i plurimi indicatori dell’attività di cessione, desumibili dalle intercettazioni telefoniche, e confermati in un caso dal riscontrato rinvenimento della sostanza stupefacente sulla persona che aveva preso contatti con l’interessato, avvalorata dall’ammissione di questi di aver curato la fornitura di stupefacente, sia pure in favore di un ridotto numero di persone. A fronte di tale specifica indicazione contenuta nelle pronunce impugnate, ed ai chiari riferimenti quantitativi che emergono dalle conversazioni richiamate nella pronuncia di primo grado, con generico motivo di ricorso si contestano gli elementi indiziari, prospettando un ipotetico uso di gruppo i cui precisi elementi indicatori non vengono posti in evidenza nè nel ricorso, nè indicati come emergenti da specifici atti, e ritenuti ingiustamente svalutati dai giudici di merito, con censura che non si sottrae conseguentemente, al vizio di genericità. Deve infatti ricordarsi che gli elementi indicativi dell’uso di gruppo, attività che si considera irrilevante penalmente, sono costituiti da un acquisto ed una derivata detenzione di droga da parte di più persone riunite per consumo collettivo e contestuale, circostanze rispetto alle quali non risulta, neppure dalla prospettazione contenuta in ricorso l’individuazione di atti del processo dai quali potrebbe ricavarsi il raggiungimento della prova positiva di una comune ed originaria finalità che unisce e da forma alla partecipazione dei singoli alle condotte descritte.

3.2. Anche nel caso in esame deve invece giungersi all’accoglimento del motivo di ricorso con il quale sì contesta il difetto di motivazione in relazione all’applicazione dell’art. 73, comma 5 D.P.R. cit., sollecitata in atto di gravame.

Sul punto non possono che richiamarsi le osservazioni sub 1.1., poichè anche con riferimento alla condotta che si addebita a G. si è escluso il riconoscimento invocato sulla base di un generico richiamo all’assiduita degli scambi, che, privo di indicazioni concrete rispetto agli elementi di fatto in tal senso emergenti dagli atti, rende insufficiente la motivazione, in quanto insuscettibile di controllo di congruità. 3.3. Anche in questo caso la stretta connessione tra il riconoscimento della diminuente e la determinazione della sanzione impone di accertare la dipendenza di tale motivo di ricorso da quello accolto, con rivalutazione da parte del giudice di rinvio anche di tale aspetto.

4.1. Il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di M. è inammissibile, in quanto contesta l’omesso riconoscimento dell’uso di gruppo della sostanza stupefacente, riproponendo quanto genericamente allegato in proposito dall’interessato, ignorando le diverse risultanze richiamate nelle pronunce di merito che contrastano con tale ricostruzione, sulla cui conformità agli atti il ricorrente non formula alcuna riserva, con ciò dimostrando di sollecitare in questa fase lo svolgimento di un terzo grado di giudizio non consentito dall’ambito del giudizio di legittimità. Su tale motivo non può che farsi richiamo a quanto già espresso in argomento sub 3.1. 4.2. Risulta invece fondato, anche in questo caso, il rilievo attinente il difetto di motivazione riguardo l’esclusione della diminuente dell’art. 73, comma 5 cit.. Anche con riferimento all’analisi delle risultanze a carico di M. il giudice di merito ha genericamente richiamato l’assiduita delle cessioni, pur facendo poi riferimento ad un unico cliente, senza indicare sia in quali termini quantitativi tale assiduità si collochi, sia gli elementi quantitativi che possono desumersi dagli atti e valutati idonei a consentire di apprezzare, nel concreto, la congruità della motivazione rispetto alla valutazione operata.

Per l’effetto, richiamate le considerazioni già svolte a riguardo sub 1.1. non può che concludersi anche sul punto, nel senso già indicato.

4.3. Anche in questo caso sulla determinazione della pena non può che rimettersi il punto alla valutazione del giudice di rinvio, attesa la stretta dipendenza di tale valutazione dall’accertamento dell’entità effettiva dell’illecito.

5.1. e 6.1. Le difese di Mo. e Q. hanno formulato identici motivi di ricorso, rilevando inutilizzabilità delle intercettazioni per inadeguata motivazione sull’utilizzazione di impianti estremi alla Procura per la captazione delle conversazioni, ricorsi che risultano inammissibili sotto plurimi profili.

In primo luogo si rileva che l’eccezione risulta già respinta dai giudici di merito, e riproposta prescindendo dalle argomentazioni sul punto. Si rileva a riguardo che si è dato atto in entrambi i provvedimenti della presenza di una certificazione dell’ufficio, attinente l’indisponibilità delle postazioni interne, nonchè dell’indubbia circostanza che tale attestazione, specificamente richiamata nel decreto del P.m., abbia sempre preceduto la materiale esecuzione delle captazioni, elemento pacificamente idoneo e sufficiente a permettere di operare nel senso indicato, nel rispetto delle indicazioni normative, come interpretate dall’univoca giurisprudenza di legittimità in materia (Sez. U, Sentenza n. 2737 del 29/11/2005, dep. 24/01/2006, imp. Campennì, Rv. 232605).

Per di più nella specie sussistono ulteriori elementi di inammissibilità dell’istanza, di natura procedurale, in quanto, al di là dell’apparente specificità del rilievo, che viene formulato con riferimento a singoli decreti, di fatto non si illustra quali tra le conversazioni intercettate sulla base del provvedimento di cui si assume l’inutilizzabilità siano state valutate rilevanti al fine dell’affermazione di responsabilità, non permettendo quindi di operare il controllo volto ad accertare la prova di resistenza della pronuncia, e quindi dimostrata la specifica rilevanza al fine di decidere dell’eccezione formulata, analisi che, operata in ragione delle conversazioni richiamate nella sentenza impugnata, risulta agevolmente confermare la validità della pronuncia, in quanto le captazioni riguardano tutte periodi temporali diversi da quelli ipoteticamente rimandabili all’esecuzione dei decreti contestati.

In particolare, per quel che attiene Mo., risulta del tutto irrilevante il preteso vizio di motivazione del decreto esecutivo del luglio 2001, a fronte della contestazione di episodi di cessione negli anni successivi.

Analogamente corretta risulta la motivazione resa dal giudice di merito riguardo la sussistenza dei motivi di urgenza, che non permettevano di attendere la disponibilità degli impianti collocati presso la procura, ritenendosi ormai acquisito in giurisprudenza (da ultimo Sez. 2, Sentenza n. 5103 del 17/12/2009, dep. 09/02/2010, imp. Cannizzaro, Rv. 246435) che il requisito dell’eccezionale urgenza che deve sussistere per legittimare l’uso di impianti esterni non richieda una motivazione specifica ove, come nella specie, si proceda per il delitto di associazione per delinquere, in relazione al quale il requisito richiamato si ritiene correlato alla natura permanente dell’illecito.

5.2. Fondato risulta invece il motivo attinente il contrasto esistente tra il riconoscimento di responsabilità per il delitto associativo di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 74, comma 6 e l’affermazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 73, comma 1, riguardo le singole cessioni compiute in attuazione di tale attività organizzata. La configurazione della fattispecie associativa ritenuta, con la sua assoluta dipendenza descrittiva dalla fattispecie attenuata di cui all’art. 73, comma 5 cit, esclude la compatibilità tra tali configurazioni; è il caso di rilevare nella specie che tale astratta compatibilità non risulta neppure argomentata dal giudice di merito, in quale si è limitato ad evocarla concettualmente, non considerando che tale astratta prospettazione risulta contraddetta dallo specifico tenore testuale della previsione associativa, che correla il suo accertamento proprio alla programmazione della realizzazione di singole attività qualificabili ai sensi dell’art. 73, comma 5 L.cit..

Anche nell’illustrare specificamente la situazione processuale di Mo. nel provvedimento impugnato è stata genericamente richiamata la diffusione e sistematicità dell’attività illecita, che, oltre che contrastare con la definizione giuridica dell’associazione, già sottolineata, in ragione dell’omesso riferimento a specifici elementi processuali non da conto delle circostanze indicative concrete valutate al fine di pervenire alla conclusione che le singole condotte siano inquadrabili nell’art. 73, comma 1 L. cit., producendo, anche in questo caso, oltre che la violazione di legge già richiamata in relazione alla figura associativa accertata, il deficit motivazionale illustrato sub 1.1. che impone l’annullamento di tale capo della pronuncia.

5.3. e 5. 4. Inammissibile per genericità è il motivo sulla base del quale, richiamata la possibilità astratta di applicazione della causa di non punibilità dell’uso di gruppo della sostanza stupefacente, se ne contesta la mancata applicazione nella specie, omettendo di individuare gli elementi di fatto sulla base dei quali tale accertamento dovrebbe valutarsi fondato; anche in questo caso il ricorrente non illustra le circostanze emergenti dagli atti, astrattamente idonee a fondare tale ricostruzione, ingiustamente ignorate dal giudice, ma si limita ad ipotizzare la possibilità di tale ricostruzione alternativa, con deduzione inammissibile per assenza di specificità.

Per quel che attiene la rivendicata applicazione della pena da determinarsi nel minimo il giudice di rinvio dovrà determinarsi in ragione dei nuovi parametri valutativi individuati per effetto della diversa qualificazione dell’ipotesi di accusa.

6.2. Inammissibile è la contestazione della univocità degli elementi di accusa a carico di Q., in quanto, in senso contrario rispetto alle generiche allegazioni contenute in argomento nel ricorso, gli elementi di prova indicati nelle pronunce risultano univoci e correttamente analizzati dai giudici di merito, mentre i rilievi svolti in proposito in questa sede, nella loro genericità, risultano finalizzati a sollecitare una nuova valutazione di merito, inammissibile in questa fase.

Deve invero ricordarsi che, a dispetto di quanto esposto in ricorso, le intercettazioni risultano aver costituito solo una parte del tessuto probatorio valutato, in quanto nelle sentenze di merito si richiamano a fondamento delle accuse a suo carico, le specifiche dichiarazioni delle persone che si rifornivano dal ricorrente o da terzi che dal primo acquistavano, per cedere successivamente, elementi rispetto ai quali le cautele comunicative utilizzate dall’interessato non costituiscono che elementi di sostegno e non unico indicatore dell’illiceità dell’accordo. Nella pronuncia impugnata sono richiamati i linguaggi criptici usati, la cui inaffidabilità non risulta presunta, come sembrerebbe desumersi dal ricorso, ma dimostrata dalla circostanza che il successivo incontro, monitorato dalle forze dell’ordine, attestava lo scambio di oggetti di minima entità, non riconducibili a quelli cui si era fatto riferimento nelle conversazioni.

Il complesso delle articolazioni motivazionali delle pronunce di merito in argomento da conto della genericità del motivo di ricorso, e della sua inammissibilità, in quanto volto a sollecitare una valutazione di merito, non ammissibile in questa sede.

6.3. Analogo vizio attiene la contestazione di sussistenza della ritenuta formazione associata, che riguarda non la conformità della ricostruzione operata dal giudice al modulo legale, ma la contestazione dei singoli elementi di fatto, valutazione squisitamente di merito, che potrebbe trovare fondamento solo ove basata sulla rispondenza degli elementi indicati alle effettive risultanze, o sulla incoerenza interna della ricostruzione, non sull’esito di tale valutazione.

Nella specie il giudice risulta aver dato conto delle condizioni di fatto accertate, in forza delle quali si è ritenuto che l’attività economica svolta da Q. come lavagista, anche servendosi della collaborazione di Ma. che lavorava alle sue dipendenze, servisse quale base di smercio della sostanza stupefacente, indicando le conversazioni significative dalle quali ha ritenuto di desumere la fondatezza di tale ricostruzione accusatoria e rispetto ad essa sono formulati rilievi di merito, che sollecitano una nuova valutazione, inammissibile per quanto già esposto.

Nè la sentenza impugnata risulta censurabile in punto di valutazione della consapevolezza da parte di Q. dell’illecito contestato, atteso che, superata la contestazione relativa alla presenza degli elementi di fatto indicatori dell’esistenza stessa della compagine, nel cui ambito risulta attribuita a Q. anche la qualità di promotore, sulla base sia del contesto comunicativo desunto dalle comunicazioni, che dall’uso, quale base operativa, della sede della propria attività economica, la consapevolezza dell’illecito non può che discendere da tale riconoscimento, essendo inimmaginabile l’azione di costituzione di un gruppo illecito, in assenza di consapevolezza della sua struttura e finalità. 6.4. Fondato risulta invece il motivo relativo alla violazione di legge consistente nell’avvenuto riconoscimento della consumazione di reati di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 1, nell’alveo dell’attività associativa di cui all’art. 74, comma 6 L. cit. circostanza che, per quanto già esposto sub 5.2, risulta contrastante con la configurazione normativa del reato associativo accertato.

6.5. Il motivo di ricorso attinente il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e la determinazione della pena, è suscettibile di nuova determinazione di merito, in ragione del parziale annullamento, che riguarda proprio la valutazione di gravità del fatto, e dovrà costituire oggetto del giudizio di rinvio.

7. Annullata conseguentemente la pronuncia, in relazione all’esclusione della diminuente di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, si rinvia per nuovo giudizio sul punto a diversa sezione della Corte d’appello di Reggio Calabria, per nuova determinazione sul punto, disponendo il rigetto dei ricorsi nel resto.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla circostanza attenuante di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5 e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d’appello di Reggio Calabria.

Rigetta nel resto i ricorsi.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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