Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 06-06-2012, n. 9148 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Roma, con sentenza depositata il 5.9.2006, in parziale accoglimento dell’appello proposto da V.S. ed in riforma della sentenza impugnata, dichiarava la nullità della proroga, disposta fino al 5.10.1998, del contratto a termine stipulato con la società Poste Italiane avente decorrenza dal 10.8.1998, nonchè la nullità del termine apposto al contratto stipulato il 23.11.1998 e della successiva proroga, previa declaratoria della sussistenza tra le parti di un rapporto subordinato a tempo indeterminato a far data dal 10.8.1998, condannava la società al pagamento, a titolo risarcitorio, di un importo pari alle retribuzioni maturate dalla data di costituzione in mora (18.10.1999) nei limiti del triennio decorrente dalla cessazione di fatto del rapporto, ossia fino al 31.3.2002, oltre accessori di legge.

Rilevava la Corte territoriale che, benchè dovesse ritenersi valido il contratto stipulato il 10.8.1998 ai sensi dell’art. 8 del ccnl del 26.11.1994 ed, in particolare, per la necessità di espletamento de servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno- settembre, la relativa proroga era illegittima in quanto non sostenuta da diversità ontologica delle ragioni poste a fondamento della stessa e che, con riguardo al secondo contratto, lo stesso fosse al di fuori del limite temporale autorizzato dalla contrattazione collettiva.

Osservava che i contratto stipulato con decorrenza 10.8.1998 era conforme alla previsione normativa contrattuale, da interpretare nel senso che unico presupposto per la causale in esame era costituito dalla stipulazione del contratto a tempo determinato nei limiti temporali giugno – settembre e a fini di sostituzione di dipendenti in ferie, indipendentemente dalla specificazione nominativa del dipendente sostituito, ma che l’illegittimità della proroga determinasse l’illegittimità del contratto prorogato, con trasformazione ex tunc del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data suindicata.

Propone ricorso per cassazione la società, affidando l’impugnazione a cinque motivi, illustrati con memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Resiste, con controricorso, la V., la quale propone ricorso incidentale affidato ad unico motivo, pure illustrato con memoria, cui resiste la società con proprio controricorso.

Il presente giudizio, sospeso in attesa della decisione della Corte Costituzionale sulla questione di legittimità costituzionalità della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, è pervenuto nuovamente alla trattazione del Collegio.

Motivi della decisione

Va, preliminarmente, disposta la riunione dei giudizi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo, la società denunzia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alla L. n. 196 del 1997, art. 12 nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione alla L. n. 196 del 1997, art. 12 assumendo che, in ordine alla prosecuzione del contratto, la decisione è totalmente erronea, in quanto la Corte del merito non ha valutato come si trattasse di prosecuzione del rapporto di lavoro giustificata dalla immediata esigenza di continuazione dell’attività lavorativa e non di una proroga del contratto regolata dalla L. n. 230 del 1962, art. 2. Rileva che l’art. 12 della citata legge prevede espressamente che, qualora la prestazione si prolunghi dopo la scadenza del termine iniziale fissato per un periodo fino a 10 giorni, viene posto a carico del datore l’obbligo di retribuire le giornate di prolungamento con una maggiorazione del 20% e formula quesito di diritto, con il quale domanda se la prosecuzione del contratto a termine disposta ai sensi di art. 12 della legge richiamata rappresenti ipotesi distinta rispetto all’istituto della proroga disciplinata da L. n. 230 del 1962, art. 2 prevedendosi nel primo caso che, quando la prestazione lavorativa venga prolungata dopo la scadenza del termine fissato, sia posto a carico del datore solo un obbligo di retribuire le giornate di prolungamento con una maggiorazione del 20%.

Con il secondo motivo, la società ascrive alla sentenza impugnata la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 1362 c.c. e segg., ed in relazione all’art. 425 c.p.c., nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in ordine alla efficacia dell’accordo del 25.9.1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. del 1994.

Con quesito, chiede affermarsi il principio di diritto secondo cui l’accordo del 1997 non contiene alcuna limitazione temporale in quanto integrativo della disciplina del c.c.n.l. per cui ha efficacia per l’intera durata di questo, nonchè l’ulteriore principio che gli accordi successivi hanno efficacia meramente ricognitiva del fenomeno di riorganizzazione e ristrutturazione in atto e che i termini individuati negli accordi successivi non si riferiscono alla scadenza dell’autorizzazione a stipulare contratti a tempo determinato, ma alla durata delle assunzioni.

Con il terzo motivo, articolato sotto due profili, la società rileva la non idoneità della richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione a configurare la mora accipiendi del datore di lavoro, dovendo verificarsi la prova della suddetta offerta di prestazioni lavorative in concreto e, con riguardo alla questione dell’aliunde perceptum, osserva come la prestazione di attività per terzi da parte del lavoratore dopo la scadenza del rapporto a termine, dedotta tempestivamente, non sia stata valutata adeguatamente dal giudice del merito, tenuto conto della natura risarcitoria e non già corrispettiva della somma da riconoscersi per il periodo intercorso dalla scadenza del termine alla riammissione in servizio. Chiede, in proposito, enunciarsi principio di diritto per il quale, per il principio di corrispettività della prestazione, il lavoratore ha diritto al pagamento delle retribuzioni solo se abbia offerto espressamente la prestazione lavorativa e nel rispetto dell’art. 1206 c.c. e segg..

Il primo motivo del ricorso principale va accolto. Preliminarmente, e conformemente alla giurisprudenza prevalente di questa Corte (cfr., ex plurimis, Casse 23 agosto 2007 n. 17933, 29 settembre 2006 n. 21132, 28 giugno 2006 n. 14877, 5 aprile 2006 n. 7966, 7 dicembre 2005 n. 26989, 6 agosto 2004 n. 15297, 26 maggio 2003 n. 8366), deve osservarsi che la disciplina della proroga dei contratti a tempo determinato stabilita dalla L. n. 230 del 1962, art. 2, si applica anche alle ipotesi di contratto a termine individuate dalla contrattazione collettiva a norma della L. n. 56 del 1987, art. 23, in ragione del carattere aggiuntivo di tali ipotesi rispetto a quelle tassativamente indicate dalla L. n. 230, art. 1, cui l’art. 2, riferisce la disciplina delle proroga, come emerge dalla formulazione del suddetto art. 23.

La L. n. 230 del 1962, art. 2 stabilisce, come è noto, che "il termine del contratto a tempo determinato può essere, con il consenso del lavoratore, eccezionalmente prorogato, non più di una volta e per un tempo non superiore alla durata del contratto iniziale, quando la proroga sia richiesta da esigenze contingenti e imprevedibili e si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato ai sensi del comma 2 dell’articolo precedente". Sulla base di tale disposizione, la legittimità della proroga del termine apposto al contratto di lavoro è pertanto subordinata al concorrere di due condizioni, tra di loro connesse, costituite dall’identità dell’attività lavorativa rispetto a quella per la quale il contratto è stato stipulato e dalla ricorrenza di esigenze contingenti ed imprevedibili, comunque diverse da quelle che costituivano la ragione dell’iniziale contratto (cfr. Cass. nn. 17933/07 cit., 24866/06, 10140/05, 10189/02 ed altre che si esprimono in termini di esigenze ontologicamente diverse da quelle iniziali). Una tale interpretazione della L. del 1962, art. 2, è stata ribadita anche con riguardo alle ipotesi di contratto a tempo determinato per le causali individuate dal contratti collettivi ed anche con riferimento all’ipotesi di proroga intervenuta all’interno del periodo temporale di attivazione della causale. In applicazione di tale regola, la proroga del contratto a tempo determinato del 17.8.1998, connessa al mero protrarsi delle esigenze poste alla base della originaria ragione dell’apposizione del termine, andrebbe ritenuta illegittima, conformemente a quanto affermato dalla Corte territoriale, con conseguente conversione del relativo contratto in un contratto a tempo indeterminato (cfr. Cass. 16.4.2008 n. 9993). Tuttavia, ritiene il Collegio che non è stata data adeguata motivazione con riguardo alla configurabilità nella specie proprio di una ipotesi di proroga e non di una mera prosecuzione del rapporto disciplinata dalla L. n. 196 del 1997, art. 12 che ha sostituito il comma 2 della L. n. 230 del 1962, art. 2 prevedendo che "se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto, pari al venti per cento, fino al decimo giorno successivo, al quaranta per cento per ciascun giorno ulteriore, se il rapporto continua oltre il ventesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi, ovvero oltre il trentesimo negli altri casi; il contratto di considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini…..". Orbene, posta l’evidente diversità dei due istituti della proroga e della prosecuzione del rapporto a termine, il giudice del merito avrebbe dovuto procedere ad una indagine in fatto tesa ad accertare se la proroga fosse stata disposta prima della scadenza del termine pattuito, ovvero se il rapporto sia solo proseguito per la durata indicata, da ciò derivando la diversità della disciplina evidenziata e conseguenze diverse, anche in ordine ai termini della conversione del rapporto. In tali sensi dovrà pertanto provvedere il giudice del rinvio, procedendo all’accertamento in fatto indicato ai fini della individuazione della disciplina applicabile nel caso considerato.

Gli altri motivi del ricorso principale rimangono assorbiti, atteso che, ove la fattispecie fosse stata legittimamente qualificata come proroga, all’illegittimità della stessa per mancanza dei requisiti legittimanti la stessa, seguirebbe la conversione già del primo contratto, con esclusione della necessità di esaminare le ulteriori questioni riguardanti la stipulazione del secondo contratto.

In sede di rinvio, per nuovo esame dei profili evidenziati, il giudice del merito esaminerà le questioni afferenti la quantificazione del risarcimento del danno alla luce dello ius superveniens (L. n. 183 del 2010, art. 32).

Con il ricorso incidentale, la V. censura la impugnata sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 1226, 1227, 2094 e 2099, 2697 c.c.; artt. 112, 114 e 432 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè per motivazione insufficiente e contraddittoria su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio (ammontare delle retribuzioni o, comunque, del risarcimento del danno appannaggio della ricorrente in via incidentale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Per le medesime considerazioni svolte con riguardo al ricorso principale, anche i motivi del ricorso incidentale afferenti alle conseguenze risarcitorie devono ritenersi assorbiti.

La sentenza va, in conclusione, cassata in relazione al primo motivo del ricorso principale e rinviata alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, per nuovo esame che tenga conto, in relazione al motivo accolto, degli aspetti di insufficienza delle argomentazioni evidenziati, i quali innegabilmente assumono carattere di decisività ai fini di causa.

Al giudice di rinvio va rimessa la quantificazione delle spese di lite anche del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri motivi del ricorso principale e dell’incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 26 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2012

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