T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 28-12-2011, n. 10259

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato all’Amministrazione comunale di Roma in data 12 aprile 2007 e depositato il successivo 9 maggio i ricorrenti impugnano la determinazione in epigrafe con la quale il Comune ha ingiunto loro la demolizione delle opere meglio oltre indicate.

Avverso tale provvedimento gli interessati deducono:

1. violazione dell’art. 34 del d.lgs. 6 giugno 2001, n. 380

2. violazione dell’art. 22 del d.P.R. n. 380 del 2001.

Concludono con istanze istruttorie e chiedendo l’annullamento della determinazione impugnata, con conseguente irrogazione della sola sanzione pecuniaria, in luogo della demolizione.

L’Amministrazione comunale si è costituita in giudizio.

Il ricorso è stato trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 17 novembre 2011.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e va pertanto respinto.

Con esso i ricorrenti impugnano la determinazione a demolire le seguenti opere realizzate senza permesso a costruire: "Al piano seminterrato dell’appartamento contraddistinto con int. 3, che da concessione in sanatoria n. 36957 del 14 giugno 1997 doveva misurare mq. 32 con destinazione d’uso non residenziale, in realtà misura mq. 42 circa con altezza di m. 2,70 e risulta suddiviso in due vani di cui uno ammobiliato con tavolo e sedie, mobilia varia, n. 1 forno ed un camino e l’altro comunicante a mezzo porta, adibito a ripostiglio. Il citato locale risulta altresì ampliato, mediante scavo del terrapieno in corrispondenza del vialetto laterale ricavando n. 3 locali, uno adibito a cucina completo di mobili, uno adibito a bagno ed uno adibito a cantina per complessivi mq. 18 circa con altezza di mt. 2,00; tutti comunicanti con il locale principale. Opere ultimate in ogni parte compresi gli impianti tecnologici.".

2. Avverso tale determinazione, con una prima doglianza, gli interessati lamentano che l’irrogazione della misura demolitoria della parte abusiva del manufatto non può essere disposta senza tenere conto dell’eventuale pregiudizio che verrebbe cagionato alla struttura dalla eliminazione delle parti abusive. Le opere realizzate sono per l’appunto collocate al piano seminterrato ed in parte nel terrapieno laterale, sicché la demolizione ingiunta comporterebbe la rovina ed il crollo dei due piani soprastanti, già ritenuti a norma dal Comune.

Con la seconda censura osservano che per gli impianti tecnologici, poiché non sono suscettibili di autonoma utilizzazione, sarebbe necessario un titolo abilitativo diverso dal permesso a costruire, in assenza del quale il Comune avrebbe dovuto disporre il pagamento della sanzione pecuniaria, trattandosi fra l’altro di opere pertinenziali.

3. Le censure non possono essere condivise.

L’art. 34, comma 2 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 che consente, nell’impossibilità di demolire opere abusive senza pregiudizio della restante eseguita in conformità, l’applicazione della sanzione pecuniaria, si applica all’ipotesi contemplata dalla rubrica della stessa norma di parziale difformità dal permesso a costruire, in questo caso rilasciato in sanatoria nel 1997 dall’Amministrazione comunale, come è dato evincere dalla stessa determinazione impugnata.

Nel caso in esame la difformità non è parziale, in quanto i ricorrenti oltre a realizzare lo scavo del terrapieno in corrispondenza del vialetto laterale dell’appartamento situato al piano seminterrato in Roma, Via E. Florian, hanno anche realizzato un ampliamento dello stesso che nella concessione in sanatoria è stato condonato per mq. 32, mentre in realtà misura mq. 42, sostanzialmente cumulando abuso su abuso e con conseguente inapplicabilità dell’art. 34, comma 2 del decreto presidenziale menzionato ed applicabilità, invece, dell’art. 33, come correttamente riportato dall’Amministrazione comunale nel provvedimento impugnato. Sostanzialmente l’intervento edilizio in questione, comportando una modifica della superficie e della volumetria di quello precedentemente assentito, ha portato alla realizzazione di un organismo edilizio in parte diverso dal precedente, secondo la definizione datane dall’articolo 3 del d.P.R. n. 380 del 2001, con conseguente necessità del permesso a costruire, nell’ipotesi proprio mancante.

In ordine alla valutazione relativa alla applicazione della sanzione pecuniaria, piuttosto che la demolizione, come opposto in ricorso dall’interessato è pure da osservare che, come chiarito dalla giurisprudenza in analoghe occasioni: "L’ingiunzione di demolizione costituisce la prima ed obbligatoria fase del procedimento repressivo, in quanto ha natura di diffida e presuppone solo un giudizio di tipo analitico- ricognitivo dell’abuso commesso, mentre il giudizio sinteticovalutativo, di natura discrezionale, circa la rilevanza dell’abuso e la possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria (disciplinato dall’art. 33 comma 2, e 34 comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001) può essere effettuato soltanto in un secondo momento, cioè quando il soggetto privato non ha ottemperato spontaneamente alla demolizione e l’organo competente emana l’ordine (questa volta non indirizzato all’autore dell’abuso, ma agli uffici e relativi dipendenti dell’Amministrazione competenti e/o preposti in materia di sanzioni edilizie) di esecuzione in danno delle ristrutturazioni realizzate in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire o delle opere edili costruite in parziale difformità dallo stesso; pertanto, soltanto nella predetta seconda fase non può ritenersi legittima l’ingiunzione a demolire sprovvista di qualsiasi valutazione intorno all’entità degli abusi commessi e alla possibile sostituzione della demolizione con la sanzione pecuniaria, così come previsto dagli artt. 33 comma 2, e 34 comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001. Valutazione che deve essere effettuata mediante apposito accertamento da parte dell’Ufficio Tecnico Comunale, d’ufficio o su richiesta dell’interessato." (TAR Campania, Napoli, 14 giugno 2010, n. 14156), con la conseguenza che trovandoci, nel caso in esame, in una fase ancora prodromica alla constatazione di inesecuzione dell’ingiunzione a demolire la doglianza non appare condivisibile.

Ma anche la seconda censura con la quale gli interessati fanno valere la natura pertinenziale degli impianti tecnologici quali cucine, bagni, lavatoi nonché delle pertinenze edilizie quali vani caldaia, ripostigli o altro non può essere condivisa, perché nel caso in esame le cosiddette pertinenze poste in evidenza nella determinazione impugnata e pure sopra riportata evidenziano un cambio di destinazione di uso con opere dell’immobile di proprietà dei ricorrenti che aveva ottenuto la sanatoria "con destinazione di uso non residenziale", con la conseguenza che esse appaiono invece realizzate in funzione del cambio della destinazione del bene e che pertanto, incidendo anch’esse sul carico urbanistico sarebbero dovute rientrare in un necessario permesso a costruire, che invece è mancato.

Anche in questo caso conforme è la giurisprudenza in materia che pone l’accento sulla differenza tra pertinenza civilistica e pertinenza urbanistico – edilizia, la quale ultima comportando, malgrado la sua natura accessoria, un appesantimento del carico urbanistico necessita di idoneo titolo abilitativo. (TAR Lazio, sezione I quater, 22 dicembre 2010, n. 38196 e T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 03 dicembre 2010, n. 26788).

4. Per le superiori considerazioni il provvedimento impugnato va trovato scevro dalle dedotte censure ed il ricorso va, pertanto, respinto.

5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna i ricorrenti S.A. e T.G. al pagamento di Euro 2.000,00 per spese di giudizio ed onorari a favore di Roma Capitale.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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