Cass. civ. Sez. II, Sent., 06-06-2012, n. 9118 Acque pubbliche e private

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Società San Carlo S.r.l. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Venezia, il Ministero delle finanze e il Ministero della marina mercantile chiedendo che fosse accertato che l’area denominata (OMISSIS), censita alla partita 1052, foglio 4, mappale 6, e foglio 10, mappale 11, del Comune di Porto Tolle, era di sua proprietà, non avendo l’area le caratteristiche e/o di presupposti utili ad una sua demanializzazione.

Si costituivano i due Ministeri, divenuti in corso di causa Ministero dell’economia e delle finanze e Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, contestando la fondatezza della domanda chiedendone il rigetto.

Espletata una c.t.u., l’adito Tribunale, con sentenza depositata il 2 9 novembre 2004, respingeva le domande e compensava le spese di lite.

Il Tribunale accertava che l’aspetto fisico morfologico della laguna salmastra comunicante col mare, persistendo da mezzo secolo, non poteva dirsi transitorio, sicchè la stessa doveva ritenersi rientrante per definizione nei beni demaniali elencati dall’art. 28 cod. nav.. Accertava altresì, sulla base dei rilievi del consulente tecnico, la sussistenza in concreto della idoneità del bacino a servire agli scopi pubblici del mare, essendosi rilevati sia la navigabilità, sia l’utilizzo generalizzato per la pesca e l’allevamento dei molluschi in modo diretto da parte della collettività, attraverso cooperative concessionarie della provincia.

La Società San Carlo proponeva appello, cui resistevano le amministrazioni.

La Corte d’appello di Venezia, con sentenza depositata il 21 gennaio 2010, ha rigettato l’appello condannando l’appellante alle spese del grado.

Premesso che, in base all’art. 28 cod. nav., fanno parte del demanio marittimo le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa e salmastra che almeno per una parte dell’anno comunicano liberamente col mare, nonchè i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo, la Corte d’appello ha osservato che l’area lagunare oggetto di causa compresa nel delta del Po, a seguito di fenomeni di subsidenza, bradisismo, erosioni e maree, era stata a suo tempo invasa dalle acque del mare acquisendo le caratteristiche morfologiche di cui all’art. 28, lett. b), citato, divenendo ipso iure bene demaniale, essendo peraltro irrilevanti le cause che avevano prodotto la nuova morfologia accertata. La laguna, infatti, comunica con il mare tramite un profondo canale; la L. n. 36 del 1994 stabilisce inoltre che tutte le acque superficiali e sotterranee sono pubbliche, sicchè il dato normativo rilevante orienta univocamente nel senso della demanialità del sito.

La Corte d’appello ha poi ritenuto irrilevante la circostanza che, nel caso di specie, facesse difetto la funzionalità della laguna agli usi pubblici del mare, atteso che tale funzionalità rilevava per affermare la demanialità dei beni di cui all’art. 28, lett. c) e non anche per quelli di cui alla lett. b) del medesimo articolo, tra i quali rientra appunto la laguna.

Peraltro, ha osservato la Corte d’appello, nel caso di specie doveva ritenersi sussistente oggettivamente la detta funzionalità all’uso pubblico, essendo stato accertato che nella laguna vi sono canali navigabili e che comunque in essa viene esercitata la navigazione, perchè vi viene svolta la pesca e la raccolta dei molluschi, mediante utilizzo di opportune imbarcazioni, irrilevanti essendo le caratteristiche di queste ultime; nella laguna risultano, pertanto, praticate attività riferibili agli usi pubblici del mare, essendo ius receptum che pesca e molluschicultura costituiscono usi pubblici del mare. Ed ancora la Corte d’appello ha rilevato che, contrariamente a quanto supposto dall’appellante, non è configurabile funzionalmente una destinazione naturale tipica del bene demaniale, costituendo quella degli usi pubblici del mare una categoria aperta, nel senso che il suo contenuto può mutare e accrescersi in relazione a molteplici e variabili potenziali utilizzazioni ed anche in relazione al riconoscimento di nuovi interessi primari, quali, ad esempio, le utilizzazioni turistico- ricreative e quella venatoria. In questa prospettiva, la Corte d’appello ha rilevato che la Provincia, oltre a concedere lo sfruttamento della laguna a fini di molluschicultura, è titolare di concessione demaniale per mantenere un certo numero di appostamenti di caccia, e che la laguna assolve anche ad un’importante funzione di equilibrio idraulico e di difesa ecologica in quanto bacino di espansione delle maree nelle zone limitrofe. La Corte d’appello ha poi ritenuto irrilevante l’affermazione dell’appellante relativa alla mancata delimitazione di cui all’art. 52 cod. nav., atteso che tra le parti è in discussione la demanialità del bene, che costituisce un presupposto dell’attività di regolamento di confini, e non anche l’esercizio dei poteri di polizia demaniale .

Da ultimo la Corte d’appello ha affermato che non può escludersi la demanialità di un bene- in dipendenza dell’asserita non definitività del suo assetto morfologico, se non nella particolare situazione – nella specie certamente non ricorrente -della mera occasionalità, essendo altresì irrilevante il fatto che la trasformazione delle terre sia in tutto o in parte dipesa dalla attività dell’uomo al fine di escluderne la demanialità, ben potendo la comunicazione con il mare essere determinata da un intervento dell’uomo.

Per la cassazione di questa sentenza la San Carlo S.r.l. ha proposto ricorso affidato a tre motivi, illustrati da memoria, cui hanno resistito le amministrazioni intimate.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 822 cod. civ., art. 28 cod. nav. e L. n. 36 del 1994, art. 1.

La ricorrente rileva innanzitutto che l’affermazione della Corte d’appello, secondo cui sarebbero irrilevanti le cause che hanno determinato la morfologia dei luoghi tale da far assumere loro le caratteristiche del bene demaniale, non corrisponde alla più recente giurisprudenza, che ha invece sottolineato come tutte le volte in cui l’opera dell’uomo intervenga a trasformare lo stato di fatto si deve escludere la automatica acquisizione da parte del bene delle caratteristiche demaniali. In proposito la ricorrente richiama l’orientamento che si è formato in ordine alle cosiddette darsene a secco, cioè alle darsene create mediante escavazione di aree emerse di proprietà privata, messe poi in libera comunicazione con il mare;

orientamento secondo il quale l’area, pur invasa dalle acque del mare, rimane di proprietà privata. Nel caso di specie, proprio la realizzazione di un profondo canale avrebbe dovuto indurre la Corte d’appello a conclusioni del tutto diverse da quelle cui è pervenuta:

la realizzazione del canale artificiale, scavato nel terreno di proprietà privata, non poteva valere a far assumere al medesimo terreno le caratteristiche e la natura di bene demaniale. Che l’area in questione fosse privata, del resto, non era dubitabile, essendo la stessa stata acquistata da una procedura fallimentare ed essendo essa costituita da terreni emersi, quanto meno sino al 1966.

Sotto altro profilo la ricorrente censura il riferimento alla L. n. 36 del 1994, atteso che la stessa si riferisce al solo demanio idrico e non a quello marittimo.

Ed ancora, la Corte d’appello avrebbe errato nell’affermare la irrilevanza della funzionalità agli usi pubblici del mare dell’area in questione. Anche a questo proposito la ricorrente rileva la difformità dell’affermazxone contenuta nella sentenza impugnata rispetto agli orientamenti di legittimità, in base ai quali, invece, anche relativamente ai bacini di acqua salmastra, deve essere accertata e verificata la funzionalità in ordine al soddisfacimento dei pubblici usi del mare per poterne affermare l’appartenenza al demanio marittimo.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della parte in cui ha affermato che, comunque, nel caso di specie era sussistente la funzionalità dell’area agli usi pubblici del mare. In tal modo la Corte d’appello si sarebbe posta in contrasto con quanto accertato in sede istruttoria e cioè che: in passato i terreni erano tutti emersi e adibiti all’agricoltura o al pascolo; al loro interno si trovavano quattro specchi d’acqua e alcuni piccoli laghetti; tutta la proprietà consisteva di terreni sempre emersi rispetto al mare e protetti a mare da due dune; come conseguenza dell’estrazione del gas metano dal sottosuolo, verso la fine degli anni 50, i terreni hanno subito un progressivo abbassamento che ha favorito l’allagamento dei terreni già emersi; la cessazione dell’estrazione di gas ha provocato una inversione del fenomeno; attualmente la proprietà si presenta costituita sostanzialmente da bacini di scarsa profondità di acqua salmastra; alla fine degli anni 90 il consorzio di bonifica delta Po Adige ha realizzato un canale all’interno della laguna, che mette la stessa in comunicazione con il mare; l’area è classificata in catasto come incolto sterile, stagno, prato, pascolo ed è intestata ad una società privata; essa è sempre stata oggetto di compravendite tra privati e non è mai stata compresa formalmente in ambiti demaniali.

La ricorrente rileva quindi che la affermata navigabilità della laguna è stata in realtà esclusa dal consulente tecnico, essendo risultato navigabile solo il canale realizzato dal consorzio di bonifica, e si duole che la Corte d’appello non abbia tenuto conto del fatto che la navigabilità in riferimento al canale artificiale non poteva essere assunta quale indice della demanialità stante la irrilevanza delle trasformazioni artificiali dei luoghi. La possibilità di utilizzare l’area per la navigazione, ove sia imposto l’uso di piccole imbarcazioni a fondo piatto, non potrebbe poi essere riferito agli usi del mare, perchè ben diverse devono essere le imbarcazioni professionali o da diporto che possono essere utilizzate in mare.

Ed ancora, la ricorrente ritiene che l’esercizio della pesca non costituisca di per sè elemento idoneo a integrare la demanialiatà marittima, sia perchè è attività esercitabile anche nei bacini e nei corsi d’acquai privati, sia perchè i dati emersi con riferimento alla laguna oggetto di causa non erano significativi circa la possibilità che la pesca potesse essere esercitata su larga scala da un numero indefinito di persone. Conseguentemente, la concessione in favore del consorzio non avrebbe potuto essere assunta quale presupposto logico giuridico per affermare la demanialità dell’area.

Illogica è contraddittoria sarebbe, infine, l’affermazione secondo cui gli interessi al cui soddisfacimento è destinato il bene demaniale sono mutevoli, in quanto un’area demaniale, in comunicazione con il mare, non è certo deputata ad accogliere l’espansione delle maree: essa è mare e non è stata creata dalla natura per regolare il regime del mare stesso ovvero per rappresentarne un bacino di espansione.

Con il terzo motivo la ricorrente lamenta omessa o insufficiente motivazione con riferimento alla richiesta, formulata in via subordinata sia in primo grado che in appello, che venisse accertata la proprietà privata quanto meno della porzione di area di cui al foglio 10, mappale 11, nonchè delle parti dell’area di cui al foglio 4, mappale 6, che mantenevano le predette caratteristiche, trattandosi di porzioni emerse di terreno; richiesta questa sulla quale il giudice di appello non si è pronunciato, incorrendo quindi nel denunciato vizio atteso che la sentenza impugnata ha respinto tutte le domande e quindi anche quella subordinata.

Il primo e il secondo motivo del ricorso, all’esame dei quali può procedersi congiuntamente in considerazione della connessione delle censure proposte, sono infondati.

Questa S.C. ha avuto occasione di affermare che, "agli effetti dell’art. 28 cod. nav., lett. b), secondo cui fanno parte del demanio (necessario) marittimo i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell’anno comunicano "liberamente" con il mare, l’indispensabile elemento fisicomorfologico della comunicazione con il mare, pur essendo irrilevante che questa sia assicurata attraverso l’opera dell’uomo che impedisca il progressivo interramento delle acque, non costituisce di per sè solo il fattore decisivo e qualificante della demanialità, ma esso deve essere accertato e valutato in senso finalistico-funzionale, in quanto, cioè, si presenti tale da estendere al bacino di acqua salmastra le stesse utilizzazioni cui può adempiere il mare, rivelando l’idoneità attuale, e non meramente potenziale e futura, del bene, secondo la sua oggettiva conformazione fisica, a servire ai pubblici usi del mare, anche se in atto non sia concretamente destinato all’uso pubblico" (Cass. n. 1863 del 1984; Cass. n. 1300 del 1999; Cass. n. 15846 del 2011). Si comprende quindi come non solo per i bacini di acqua salmastra, ma per tutti gli altri beni facenti parte del demanio marittimo (cfr. gli art. 822 c.c., comma 1 e art. 28 cod. nav.), il punto essenziale dell’indagine che riguarda la identificazione del bene come appartenente a tale categoria giuridica sia incentrato sull’elemento funzionale (idoneità del bene a realizzare gli interessi che attengono ai pubblici usi del mare) (in tal senso, v. Cass. n. 15846 del 2011, cit.).

Con specifico riferimento, poi, all’uso pubblico dei bacini salsi o salmastri, questa Corte ha precisato che lo stesso deve essere ravvisato tutte le volte che essi, per la loro conformazione ed estensione, consentano l’esercizio di attività economiche del tutto simili a quelle che possono svolgersi in mare aperto, come la pesca e la molluschicultura che, appunto, costituiscono indubbia espressione di una utilizzazione immediata delle acque in questione del tutto identica a quella cui può adempiere il mare (Cass. n. 1300 del 1999).

A tale principio la Corte d’appello, con la sentenza qui impugnata, si è correttamente attenuta, nel senso che, pur dopo avere affermato la irrilevanza, ai fini dell’accertamento della demanialità delle aree, della circostanza che faccia difetto la funzionalità degli usi pubblici del mare, ha poi in concreto svolto una indagine sul punto, recependo e confermando le conclusioni già adottate dal giudice di primo grado sulla base degli accertamenti svolti dal consulente tecnico d’ufficio, nel senso della sussistenza, in concreto, del requisito della destinazione delle aree oggetto di causa, agli usi pubblici del mare.

Non sussiste, quindi il denunciato vizio di violazione di legge, avendo la Corte d’appello ricondotto l’area in contestazione, dal punto di vista morfologico, alle caratteristiche che, ai sensi dell’art. 28 cod. nav.,, lett. b), debbono ricorrere per affermare l’appartenenza di un’area al demanio marittimo. Del pari correttamente la Corte d’appello ha affermato la irrilevanza, ai fini della sussistenza delle suddette caratteristiche, della circostanza, dedotta dalla ricorrente, che quella determinata attuale conformazione sarebbe stata determinata da interventi umani. In proposito, è sufficiente rilevare la non pertinenza del richiamo fatto dalla ricorrente ai principi affermati da questa Corte con riferimento alle darsene a secco, trattandosi di principi concernenti in genere il demanio idrico e non quello marittimo, ed essendo, al contrario, le lagune espressamente menzionate tra le componenti del demanio necessario marittimo.

Ciò che rileva, ai sensi del citato art. 28 cod. nav., infatti, è che quei beni ivi considerati (tra i quali le lagune), siano riconduciteli alla descrizione morfologica che ne orienta la attribuzione al demanio marittimo e che ne sia accertata la destinazione agli usi pubblici del mare. Con la precisazione, per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, che ciò che rileva è non già una destinazione attuale all’uso pubblico dell’area, ma la semplice idoneità della stessa a svolgere una siffatta funzione pubblica, alla stregua della sua attuale conformazione, secondo criteri di accertamento che devono essere applicati con particolare rigore, posto che è in questione la natura pubblica o meno di un bene astrattamente demaniale per forza di legge (Cass. n. 15846 del 2011, cit.).

Esclusa dunque la denunciata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, deve del pari escludersi la sussistenza del denunciato vizio di motivazione.

La Corte d’appello ha adeguatamente e congruamente motivato il proprio convincimento facendo riferimento agli accertamenti svolti dal consulente tecnico d’ufficio. In proposito, richiamando quanto affermato nella citata sentenza n. 1300 del 1999, è sufficiente poi a configurare idonea motivazione della decisione adottata il rilievo dell’esercizio della pesca e della molluschicoltura nella laguna per ritenere integrata la sussistenza del requisito della destinazione delle acque agli usi pubblici del mare. Per il resto, deve rilevarsi che le censure motivazionali impingono su valutazioni di fatto sottratte al controllo in sede di legittimità quando, come nella specie, risultano adeguatamente e logicamente motivate.

E’ invece fondato il terzo motivo di ricorso, con il quale è sostanzialmente denunciata una omessa pronuncia sulla domanda subordinata svolta sin dall’atto introduttivo del giudizio di primo grado e coltivata anche in grado di appello.

Premesso che dalla stessa sentenza impugnata emerge che effettivamente la ricorrente aveva svolto una domanda subordinata, volta ad escludere la demanialità dell’area di cui al foglio 10, mappale 11 e ad ottenere il frazionamento del foglio 4, mappale 6, e alla determinazione della parte di esso che ha mantenuto le caratteristiche che pertengono alla proprietà privata (v. le conclusioni come trascritte nella sentenza impugnata) , deve rilevarsi che effettivamente sul punto la Corte d’appello non ha svolto alcun esame e non ha quindi adottato, neanche implicitamente, stante la specificità della richiesta formulata, alcuna statuizione.

Pertanto, rigettato il primo e il secondo motivo di ricorso e accolto il terzo, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio, per nuovo esame della domanda subordinata, ad altra sezione della Corte d’ appello di Venezia.

Al giudice di rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo e il secondo motivo di ricorso, accoglie il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2012

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