Cass. civ. Sez. II, Sent., 06-06-2012, n. 9117 Concorrenza sleale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato nel dicembre 1989 le società LE.SER.FIN s.r.l. e GEFI Roma s.r.l. evocavano, dinanzi al Tribunale di Roma, la BANCA POPOLARE di MILANO, la BIPIEMME SERVIZI (poi IMPREFIN CONSULT SIM), la BIPIEMME LEASING, S.G., la BIPIEMME FINANZIAMENTI (poi COMPASS) e M.V. a causa della ripetuta e lesiva condotta della preponente SERVIZI LEASING s.r.l. del Gruppo Istituto Milanese Leasing, POPOLARE DI MILANO, che prendeva a collocare, attraverso i propri sportelli, i servizi finanziari, anche a condizioni per i clienti più vantaggiose di quelle praticate ai propri dalle società attrici, il tutto in violazione della clausola di esclusiva del collocamento dei predetti servizi da promuovere nella zone di Roma e provincia, riconosciuto alle società attrici dall’art. 1 del contratto 2.1.1985, sottoscritto con la preponente SERVIZI LEASING s.r.., per cui chiedevano venisse riconosciuta la loro responsabilità contrattuale ed extracontrattuale e per l’effetto condannarle in solido al pagamento delle indennità contrattualmente dovute (indennità di risoluzione, di mancato preavviso, indennità suppletive relative al diritto di esclusiva, ecc.), nonchè ai risarcimento dei danni arrecati alle attrici.

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza delle società convenute BANCA POPOLARE DI MILANO, BIPIEMME SERVIZI, BIPIEMME LEASING, BIPIEMME FINANZIAMENTI (poi COMPASS), formulando inizialmente analoghe argomentazioni, quali declaratoria di nullità del contratto di agenzia per carenza di iscrizioni delle società attrici nel ruolo degli agenti, spiegata riconvenzionale per ottenere la restituzione delle somme corrisposte a titolo di provvigione, il giudizio veniva interrotto all’udienza del 18.6.2002, perchè dichiarato dai procuratore della BPM Servizi che la stessa era stata incorporata nella Imprefin s.p.a. e la BPM Finanziamenti era stata incorporata nella Compass s.js.a.. Riassunto il giudizio, il Tribunale adito, espletata istruttoria, comprensiva di c.t.u. contabile, contumaci la IMPREFIN CONSULT SIM, la BIPIEMME LEASING ed il liquidatore di quest’ultima, S.G., accoglieva le domande attoree nei confronti della B.P.M. soc. coop. A r.., della Compass s.p.a., della Imprefim Consult Sim s.p.a., di M. V., della BPM Leasing s.p.a. in liquidazione, condannandoli in solido al pagamento in favore delle attrici di Euro 905.032,92, oltre accessori.

In virtù di appello interposto dalla B.P.M. soc. coop. a r.l., la quale insisteva nell’eccezione di difetto di legittimazione passiva, stante la sua estraneità al contratto di agenzia, con obbligo di restituzione di quanto ricevuto in esecuzione della sentenza impugnata da parte dei soci C. e P., si costituivano le società LESERFIN e GEFI Roma, nonchè i soci C. e P., che chiedevano il rigetto dell’appello e proponevano appello incidentale per ottenere la condanna di B.P.M., COMPASS, IMPREFIN CONSULT SIM in liquidazione, M.V., BIPIEMME LEASING in liquidazione e S.G. (appello incidentale che non risultava dagli atti di causa notificato allo S. in proprio), al pagamento solidale dell’ulteriore somma di Euro 61.310,65, nonchè la IMPREFIN CONSULT SIM ed il liquidatore, M.V., eccependo l’intervenuta estinzione del giudizio di primo grado tardivamente riassunto e per chiedere, con gravame incidentale, il rigetto della domanda proposta nei loro confronti ed accolta dal giudice di primo grado.

Con atto separato proponeva appello avverso la medesima decisione anche la COMPASS, lamentando la erroneità nel merito della decisione e, in caso di conferma, l’omessa pronuncia sulla domanda subordinata di condanna in garanzia della B.P.M. a rimborsare quanto eventualmente pagato alle società attrici, avendo rilevato dalla stessa, in data 7.11.1991, l’intero pacchetto azionario della BIPIEMME FINANIAZIAMENTI e la alienante espressamente garantito l’inesistenza di debiti e contestazioni giudiziarie pregiudizievoli.

Rispetto a detto atto di gravame si costituiva la B.P.M. e premesso di avere pagato per intero la somma di cui alla sentenza impugnata in favore delle attrici, assumeva essere infondata la domanda in manleva in quanto contrattualmente non dovuta alcuna garanzia. Si costituivano anche le società LESERFIN e la GEFI Roma, nonchè i soci C. e P. che resistevano e chiedevano, con appello incidentale, la condanna della COMPASS al pagamento della ulteriore somma di Euro. 61.310,65. Riuniti gli appelli, la Corte di appello di Roma accoglieva l’appello proposto dalla B.P.M. soc. coop. a r.l. e l’appello incidentale proposto da IMPREFIN CONSULT SIM s.p.a. in liquidazione e da M.V., nonchè l’appello proposto dalla COMPASS s.p.a. (già B.P.M. FINANZIAMENTI s.p.a.), assorbito l’appello incidentale condizionato della B.P.M., rigettava l’appello incidentale proposto dalla LE.SER.FIN s.r.l. in liquidazione, dalla GEFi Roma s r.l. in liquidazione, dal C. e dalla P., rilevatane l’inammissibilità quanto allo S., ed in riforma della sentenza impugnata, rigettava tutte le domande proposte dalle società attrici in primo grado ed in accoglimento della domanda di ripetizione proposta dall’appellante B.P.M., condannava in solido il C. e la P. al pagamento della somma di Euro.

1.756.066,70, oltre accessori.

A sostegno della decisione la corte distrettuale, quanto all’appello proposto dalla B.P.M., nel ritenere la fondatezza dell’eccezione relativa alla non titolarità del rapporto giuridico controverso, precisava che costituendo una delle condizioni dell’azione, il suo difetto doveva essere rilevato anche d’ufficio, diversamente da quanto argomentato dal giudice di prime cure. Del resto nella specie l’accertata esistenza di un gruppo di società, al quale la BPM aveva concorso, con il suo ingresso nel corso del 1988, per l’acquisizione del controllo della Rete Commerciale preposta alla vendita del prodotto leasing e più in generale dei prodotti di erogazione, non comportava la creazione di un nuovo centro di imputazione giuridica che si sovrapponesse alle singole società che lo componevano, nè era individuabile un’unica impresa imputabile alla capogruppo ovvero, congiuntamente, a questa e alle singole società controllate.

In ordine alla questione concernente la nullità de contratto di agenzia, ai sensi della L. n. 316 del 1968, art. 9, e della L. n. 204 del 1985, art. 9, per difetto di iscrizione nel ruolo degli agenti e rappresentanti di commercio della LESERFIN, nonchè della GEFI Roma, trattandosi di rapporto sorto e risolto (v. lettera del 31.10.1989) in epoca anteriore alla data di scadenza del termine concesso per dare attuazione nel nostro sistema normativo alla direttiva comunitaria n. 653 del 1986, essendo incontestata la mancata iscrizione delle appellate nel ruolo degli agenti e rappresentanti di commercio, i contratti di agenzia stipulati il 2.1.1985 e quello del 19.1.1987 dovevano essere dichiarati nulli per contrarietà a norme imperative.

Aggiungeva, per completezza, che l’avere praticato la BPM alla comune clientela condizioni commerciali più favorevoli di quelle applicate dalle società, attrici in primo grado, di per sè non costituiva neppure comportamento astrattamente riconducibile all’ipotesi di concorrenza sleale, in difetto di prova dell’intento predatorio nei confronti del concorrente. Riconosceva, perciò, il diritto della BPM ad ottenere la restituzione di quanto versato in esecuzione della decisione di primo grado.

Dalla nullità del contratto di agenzia faceva, altresì, discendere l’insussistenza di tutte le pretese creditorie basate sulla vigenza fra le parti del rapporto contrattuale, nonchè sulla violazione delle regole di correttezza commerciale.

Infine, dichiarava assorbito il ricorso riunito proposto dalla COMPASS relativamente alla domanda di manleva formulata nei confronti della BPM per accessorietà.

Avverso la decisione della corte di appello capitolina hanno proposto ricorso per cassazione la LESERFIN, la GEFI Roma, C.S. e P.A.M., che risulta articolato in quattordici motivi, cui hanno resistito con controricorso la BPM, che ha anche proposto ricorso incidentale condizionato, prospettando una doglianza, la IMPREFIN COLSULT SIM s.p.a., che ha anch’essa proposto ricorso incidentale condizionato con un motivo, M.V., con ulteriore ricorso incidentate condizionato dedotto su due motivi, nonchè la COMPASS s.p.a. e S.G..

Hanno presentato memorie illustrative i ricorrenti ed i resistenti IMPREFIN CONSULT SIM e il M..

Motivi della decisione

Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposto dalla LE.SER.FIN. e dalla GEFI Roma sollevata dalla Procura generale, cui risulta connesso il ricorso incidentale condizionato della BANCA POPOLARE DI MILANO (da vagliare anche per quanto di seguito si dirà in relazione al primo motivo del ricorso principale); che assume l’estinzione delle società attrici, in quanto cancellate dal registro delle imprese, rispettivamente, il 16.3.1998 ed il 4.3.1991, ossia in epoca anteriore al ricorso in riassunzione ex art. 303 c.p.c., del 14.10.2002, notificato l’8.11.2002, circostanza dalla quale conseguirebbe la nullità della sentenza di primo grado e l’improseguibilità del processo di appello.

Occorre, innanzitutto, valutare le vicende che hanno riguardato le varie società coinvolte nel giudizio.

Nell’ambito del giudizio di primo grado la riassunzione della lite venne operata, nell’anno 2002, dalle società LE.SER.FIN. e GEFI Roma, cancellate, rispettivamente, il 16.3.1998 ed il 4.3.1991, oltre che dai soci delle predette, C. e P.; evocata in riassunzione, con atto notificato l’8.10.2002, fu, tra le altre, la IMPREFIN COLSULT SIM, cancellata il 29.11.1996. Trattandosi di accadimenti occorsi alle società in epoca anteriore alla data di entrata in vigore del testo novellato dell’art. 2495 c.c., comma 2, (come attuato dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, art. 4, che ha fissato la decorrenza dal 1.1.2004), il Tribunale ritenne valida ed efficace la riassunzione e nel 2003 pronunciò sentenza di condanna al pagamento di somme nei confronti anche della cancellata IMPREFIM CONSULT SIM ed in favore anche delle società cancellate, LE.SER.FIN. e GEFI Roma.

In data 13.1.2004 la BANCA – POPOLARE DI MILANO notificava l’atto di appello anche alle società cancellate LE.SER.FIN. e GEFI Roma, sebbene formulando richiesta di restituzione delle somme versare in esecuzione della sentenza di primo grado nei confronti dei soli soci C. e P. (v. pag. 3 della decisione), in quanto diretti beneficiari della pronuncia del giudice di prime cure; l’appello veniva notificato anche alla IMPREFIN CONSULT SIM. Tutte le parti appellate proponevano appello incidentale: la LE.SER.FIN. e la GEFI Roma – unitamente ai soci C. e P. – da una parte e la IMPREFIN CONSULT SIM, dall’altra, con proprio atto, unitamente a M.V., liquidatore della s.p.a., che però si costituiva in proprio.

La corte distrettuale rigettava l’appello incidentale delle società LE.SER.FIN. e GEFI Roma, mentre accoglieva quello proposto dalla IMPREFIN CONSULT SIM e dal M.. Questa Corte, con decisione a Sezioni Unite, del 22 febbraio 2010 n. 4060, ha affrontato la questione della efficacia della cancellazione (e della iscrizione) delle società commerciali dal registro delle imprese (istituito con la L. n. 580 del 1993) e risolvendo un contrasto ha sancito – per quanto di interesse nella presente fattispecie – che l’effetto estintivo, cioè costitutivo, della cancellazione dell’iscrizione delle società di capitali e cooperative, introdotto con l’art. 2495 c.c., novellato, per le cancellazioni precedenti alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 6 del 2003, (ossia dal 1.1.2004), decorre solo da detta data, operando la previsione per l’avvenire, stante il carattere di jus superveniens ultrattivo, produttivo di effetti estintivi nuovi, anche per le pregresse cancellazioni, in rapporto a quanto previsto nelle preleggi e in Costituzione. Con la conseguenza che per le società commerciali, di capitali e di persone, l’inciso "ferma restando la estinzione della società" che la novella ha inserito con riferimento espresso alle società di capitali e alle cooperative, integra il presupposto logico, nel sistema, per una lettura della cancellazione delle iscrizioni di società di persone dichiarativa della cessazione della loro attività dal momento dell’entrata in vigore della legge anche per le cancellazioni precedenti e dalla data della cancellazione dell’iscrizione per quelle successive al 1 gennaio 2004, consentendo la previsione espressa di legge dell’estinzione delle società con personalità giuridica di dar luogo a quella interpretazione costituzionalmente orientata delle norme da sempre sollecitata dal giudice delle leggi e favorevole ad un identico trattamento di tutti i creditori delle imprese individuali e collettive di qualsiasi tipo, oggi possibile in ragione della riforma del 2003. In altri termini, la cancellazione delle società della loro iscrizione nel registro delle imprese comporta la fine della loro capacità e soggettività giuridica, da riconoscere, per quelle avvenute in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 6 del 2003, dal primo gennaio 2004 ovvero, per l’avvenire, contestualmente con ciascuna cancellazione successiva.

In applicazione dei principi sopra esposti discende che nella specie andava ritenuto inammissibile l’appello incidentale proposto in data 1.4.2004 dalle società LE.SER.FIN. e GEFI Roma, estinte a far tempo dal 1 gennaio 2004, in quanto cancellate, rispettivamente, il 16.3.1998 ed il 4.3.1991 (anche se lo stesso è stato rigettato dalla corte distrettuale; cfr pag. 7 della sentenza impugnata); del pari, inammissibile risultava l’appello incidentale proposto dalla IMPREFIN CONSULT SIM in data 16.7.2004, cancellata il 29.11.1996, pertanto da ritenere estinta dal primo gennaio 2004 (appello accolto dal giudice del gravame).

E’ consequenziale, inoltre, alla esposta scelta di risoluzione del contrasto nel senso dell’effetto estintivo delle società a seguita della cancellazione anche anteriore alla vigenza del D.L.gs. n. 6 del 2003, sia pure al momento dell’entrata in vigore di essa (1 gennaio 2004), che la LE.SER.FIN. e la GEFI Roma, cancellate, rispettivamente, il 16.3.1998 ed il 4.3.1991, su loro domanda, sono da ritenere estinte e prive di legittimazione sostanziale e processuale e per tali motivi ad esse va negata la loro legittimazione al procedimento anche in sede di legittimità. Ciò comporta che le predette ricorrenti come non erano soggetti di diritto allorchè hanno resistito in appello (anche per la presentazione dell’appello incidentale), mancando di legittimazione sia a resistere sia ad impugnare, tali erano anche ai momento della proposizione del presente ricorso per cassazione, perchè persone giuridiche ormai estinte ad ogni effetto di legge dal 1 gennaio 2004.

Pertanto il ricorso per cassazione dalle stesse proposto in via principale va dichiarato inammissibile, mancando la legittimazione a proporlo per e ormai inesistenti LE.SER.FIN. e GEFI Roma (cfr Cass. SS.UU. 22 febbraio 2010 n. 4062).

Ammissibile, di converso, risulta il ricorso proposto dagli unici due soci di entrambe le predette società estinte, C. e P..

Passando all’esame del ricorso principale dei soci C. e P., con il primo motivo viene denunciata a violazione degli artt. 342, 324, 327, 329 e 346 c.p.c., perchè nonostante l’intervenuto passaggio in giudicato nei confronti di IMPREFIN CONSULT SIM, del M. e della COMPASS (già BPM FINANZIAMENTI) della statuizione con cui la sentenza di primo grado ha rigettato la domanda/eccezione di nullità del contratto per difetto di iscrizione dell’agente, ai sensi della L. n. 316 del 1968, art. 9, e della L. n. 204 del 1985, la corte di merito ha ritenuto di potere rilevare di ufficio la nullità del contratto di agenzia. Tutto ciò benchè la IMPREFIN CONSULT SIM ed il M. fossero rimasti contumaci in primo grado e la loro linea difensiva, di cui all’appello incidentale, riguardasse la nullità del giudizio per intervenuta estinzione, dunque vertesse su questione palesemente estranea a quella posta a base della decisione assunta dal giudice del gravame.

Nè il paragrafo intitolato "nel merito", con il quale si affermava che in via estremamente subordinata venivano fatte proprie tutte le deduzioni, eccezioni ed istanze della BPM con l’atto di appello, poteva essere configurata come proposizione specifica dell’impugnazione in relazione alla statuizione della sentenza impugnata, non esponendo alcuna critica alle rationes decidendi.

Aggiungono i ricorrenti che il giudice del gravame, in contrasto con gli artt. 342 e 346 c.p.c., nonostante avesse correttamente ritenuto la IMPREFIN responsabile delle eventuali conseguenze del dedotto inadempimento della preponente all’obbligo dell’esclusiva contrattualmente previsto, ha concluso per la nullità del contratto di agenzia e ciò sebbene gli odierni ricorrenti avessero tempestivamente eccepito la violazione dell’art. 342 c.p.c..

Nella medesima violazione sarebbe incorsa la corte distrettuale con riferimento al rapporto della COMPASS, nel cui appello, riunito a quello proposto dalla BPM, si è limitata a richiedere la riforma della decisione del giudice di prime cure, senza esplicitare le ragioni che avrebbero dovuto determinare la riforma della prima sentenza.

Il motivo va accolto nei limiti di seguito precisati.

Come già precisato, l’appello proposto dalla IMPREFIN CONSULT SIM in liquidazione andava dichiarato inammissibile in quanto proposto da soggetto – società estinta – privo di legittimazione sostanziale e processuale.

E’ consequenziale alla soluzione prospettata nel senso dell’effetto estintivo della società a seguito della cancellazione, anche allorchè sia avvenuta in data anteriore alla vigenza del D.Lgs. n. 6 del 2003, sia pure al momento dell’entrata in vigore di detto D.Lgs. (1 gennaio 2004), che la IMPREFIN CONSULT SIM, cancellata il 29.11.1996, su sua domanda, è da ritenere estinta e priva di legittimazione sostanziale e processuale e quindi priva di legittimazione, attiva e passiva, al procedimento anche in sede di legittimità, non essendo più soggetto di diritto al tempo della proposizione del presente ricorso per cassazione (v. sempre Cass. SS.UU. 22 febbraio 2010 n. 4062).

Di converso, ammissibile risulta l’appello incidentale fatto..valere dal M. in proprio, nonchè l’appello della COMPASS s.p.a., proposto in via principale, ma convertito in incidentale, ai sensi dell’art. 333 c.p.c., essendo stata fatta in ambedue gli appelli espressa adesione alle censure svolte dall’appellante principale, BANCA POPOLARE DI MILANO, fra le quali figurava la contestazione della ritenuta (in)validità dei contratti di agenzia in contestazione.

Dalle premesse deve trarsi la conseguenza della formazione del giudicato quanto alla decisione del giudice di prime cure relativamente al riconoscimento in favore dei soci C. e P. degli importi dovuti per indennità e a titolo risarcitorio dalla società estinta, IMPREFIN CONSULT SIM, in mancanza di una valida impugnazione della decisione di primo grado sul punto, la sola idonea ad impedire la formazione del giudicato (perchè non proveniente dalla parte legittimata, ossia i soci).

Nè nella specie può ritenersi che il non impugnante possa godere degli effetti favorevoli della impugnazione proposta da altri in applicazione di un principio generale desumibile da varie norme (art. 1073 c.c., u.c., artt. 1306 e 1310 c.c.) in base al quale si comunicano gli effetti favorevoli e non quelli sfavorevoli, vertendosi in materia di obbligazioni scindibili. Nei predetti sensi può trovare accoglimento il primo motivo del ricorso principale proposto dai soci e per l’effetto va dichiarata l’inammissibilità del ricorso incidentale proposto dalla INTERFIN CONSULT SIM, con assorbimento del ricorso incidentale condizionato proposto dalla BPM. Vengono di seguito esaminati, in via congiunta, i motivi secondo, terzo ed ottavo del ricorso principale in quanto tutti attitenti alla questione della nullità del contratto di agenzia.

Col secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 342 e/o 346 c.p.c., per non avere la BPM riproposto specificamente con l’atto di appello l’eccezione di nullità del contratto di agenzia. L’assunto della corte di merito di rilevabilità d’ufficio della nullità del contratto, inoltre, si porrebbe in aperto contrasto con il combinato disposto degli artt. 342 e 346 c.p.c., per avere la BPM, la BPM Servizi, la BPM Leasing e la BPM Finanziamenti, con le rispettive comparse di costituzione presentante nel giudizio di primo grado eccepito la nullità del contratto di agenzia, salvo poi rinunciarvi nel corso del giudizio.

In altri termini, il giudice di secondo grado ha il potere-dovere di deliberare le sole questioni che siano state riproposte in appello, dalla parte soccombente sul punto, nel rigoroso rispetto degli artt. 342 e 346 c.p.c..

Con il terzo motivo viene denunciata la omessa e contraddittoria motivazione per non avere la corte di merito pronunciato in relazione alle eccezioni dei ricorrenti in ordine alla declaratoria di nullità del contratto non avendo la COMPASS, la IMPREFIN CONSULT SIM ed il M. riproposto espressamente nei loro atti la relativa domanda, ma essendosi limitati ad un generico rinvio per relationem ai motivi di appello sollevati dalla BPM, trincerandosi dietro l’enunciazione di principio per cui la nullità sarebbe rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.

Con l’ottavo mezzo i ricorrenti deducono la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 99, 112, 100 e/o 306 c.p.c., dell’art. 1418 c.c., e della L. n. 204 del 1985, art. 9, nonchè della direttiva CE n. 653 del 1986 assumendo l’illegittimità della decisione della corte capitolina anche nella parte in cui ha ritenuto che la rinuncia alla domanda – eccezione di nullità avanzata dalle società BPM, BPM Servizi, BPM Leasing e BPM Finanziamenti con le rispettive comparse conclusionali non fosse da prendere in considerazione, essendosi, di converso, dal momento della rinuncia verificata, ad ogni effetto giuridico, la definitiva cessazione della materia del contendere su tale eccezione e/o domanda. Aggiungono che la rilevabilità di ufficio di una domanda – eccezione non è più nella disponibilità del giudice del gravame laddove sulla relativa domanda-eccezione si sia già pronunciato il giudice di prime cure, come avvenuto nella fattispecie.

E’ evidente che stabilire la tempestività o meno della eccezione di nullità del contratto ovvero la sua rilevabilità d’ufficio costituisce passaggio obbligato per l’esame delle altre questioni sollevate con il ricorso.

Questa Corte in numerose occasione ha affermato che la nullità, come l’inesistenza, di un contratto, può rilevarsi d’ufficio anche per la prima volta in appello. Il potere del giudice di dichiarare la nullità ex art. 1421 c.c., va però coordinato con il principio della domanda fissato dagli artt. 99 e 112 c.p.c., nel senso che solo se sia in contestazione l’applicazione o l’esecuzione di un atto la cui validità rappresenti un elemento costitutivo della domanda, il giudice è tenuto a rilevare in qualsiasi stato e grado del giudizio, indipendentemente dall’attività assertiva delle parti, l’eventuale nullità dell’atto stesso. Se poi la contestazione attiene direttamente alla illegittimità dell’atto, una diversa ragione di nullità non può essere rilevata d’ufficio, ne1 può esser dedotta per la prima volta in grado d’appello, trattandosi di domanda nuova e diversa da quella ab origine proposta dalla parte (cfr Cass. 7 febbraio 2011 n. 2956; Cass. 20 gennaio 2006 n. 1112; Cass. 8 settembre 2004 n. 18062; Cass. 11 agosto 2004 n. 15561; Cass. 30 luglio 2004 n. 14570). Ne giudizio in cui si chieda l’esecuzione di un negozio, il giudice, cui spetta, in ragione della tutela dei valori fondamentali dell’ordinamento giuridico, verificare d’ufficio la sussistenza delle condizioni dell’azione, deve rilevare d’ufficio la nullità del negozio, in ogni stato e grado del giudizio, ove essa risulti dagli atti, anche indipendentemente da un’eccezione del convenuto. L’art. 1421 c.c., consente, dunque, al giudice di rilevare d’ufficio la nullità del contratto quando essa contraddice con la domanda e contrasta con la pretesa dell’attore, di cui impedisce l’accoglimento.

Sotto un altro profilo, la sanzione della nullità colpisce svariate ipotesi di vizi dell’atto, sicchè, in riferimento ad uno stesso negozio, sono ben ipotizzabili molteplici ipotesi di nullità, ciascuna indotta da profili specifici. L’azione di nullità è per questo caratterizzata da una causa petendi, che ne definisce la species agli effetti delle preclusioni processuali, in modo che la proposizione di una domanda intesa a ottenere la declaratoria di nullità del contratto impedisce alla parte di far valere in appello una diversa causa di nullità ed al giudice di porre a base della decisione ragioni diverse di nullità (cfr. ex plurimis: Cass. 6 agosto 2003 n. 11847; Cass. 14 gennaio 2003 n. 435; Cass. 17 maggio 2002 n. 7215). I due ordini di esigenze, testè esposti, facenti capo l’uno alla normale verifica, commessa al giudice, delle condizioni di fondatezza dell’azione, e l’altro alla immodificabilità della domanda, possono trovarsi in contrasto ove alla pretesa di esecuzione del contratto di una parte si contrapponga l’eccezione di nullità dell’altra, che il giudice ritenga di integrare con il rilievo di quegli aspetti di patologia del negozio, rilevabili d’ufficio, che tuttavia la parte interessata ad una improduttività di effetti del negozio non abbia colto. Il contrasto è superabile ove si rifletta che se da un lato il potere-dovere decisionale del giudice in relazione alla domanda proposta, si estende agli aspetti della inesistenza o della nullità del contratto dedotto dall’attore, la deduzione in tal senso del convenuto non può costituire, od essere considerata, domanda giudiziale, non ponendosi in rapporto genetico con il potere-dovere decisionale del giudice sul punto, che già esiste.

Sia impostata quella deduzione come eccezione, come domanda riconvenzionale per la declaratoria di nullità, o come motivo di gravame, si tratta pur sempre di mera difesa, attenendo all’inesistenza, per mancato perfezionamento o per nullità, del fatto giuridico e del contratto, dedotto dall’attore a fondamento della domanda, che dunque non condiziona l’esercizio del potere officioso di rilievo della nullità fondata su aspetti distinti di patologia negoziale (in tal senso Cass. 14 marzo 1998 n. 2772).

Nella specie deve farsi riferimento alla domanda iniziale, che è quella proposta dai due soci nei confronti della preponente e delle società collegate, nonchè della capogruppo al fine di ottenere il pagamento delle indennità e del risarcimento dei danni per violazione della clausola di esclusiva del contratto di agenzia intercorso con la Servizi Leasing s.r.l. L’aspetto della nullità del contratto da cui scaturirebbe l’obbligo delle società convenute al pagamento delle somme per le voci suesposte, è esercitabile dal giudice in ogni stato e grado: e non rileva che le convenute abbiano fatto valere, in via di eccezione, la nullità e poi, come sostenuto dai ricorrenti, vi abbiano rinunciato nella comparsa conclusione depositata avanti al giudice di prime cure.

Di fronte ad un appello fondato, fra l’altro, sulla nullità del contratto di agenzia per mancata iscrizione delle società attrici al ruolo degli agenti, deve essere riconosciuto al giudice d’appello il potere di rilevare l’inesistenza di un contratto quale unica possibile fonte di obblighi pretesi violati.

In tal senso, peraltro, avevano formulato le difese in sede di gravame oltre alla BPM, anche le altre società convenute.

In ogni caso anche a volere ritenere che la BANCA POPOLARE di MILANO avesse coltivato in appello unicamente la domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto per inadempimento dell’agente, la risoluzione postulava pure sempre che il contratto inadempiuto non fosse in radice nullo.

Argomentata, inoltre, risulta nella sentenza impugnata la nullità del contratto di agenzia per contrasto con norme imperative di diritto interno, contratto che era già esaurito o comunque non più in corso al momento in cui avrebbe dovuto trovare attuazione la invocata direttiva comunitaria (n. 653 del 1986).

Le censure sono, dunque, infondate.

Con il quarto mezzo del ricorso principale viene lamentata la violazione della L. n. 316 del 1968, artt. da 1 a 3, 5, 6 e 9, e L. n. 204 del 1985, nonchè il vizio di motivazione per essere prevista l’iscrizione al ruolo degli agenti e rappresentanti di commercio, come condizione per il legittimo esercizio delle relative attività, solo con riferimento alle persone fisiche, mentre allorchè la predetta attività venga esercitata da società, l’art. 6 di entrambe le leggi stabiliscono che il legale rappresentante della società debba possedere i requisiti per l’iscrizione, ma non richiedono l’iscrizione dello stesso, nè della società.

Aggiungono la inapplicabilità del divieto di cui all’art. 9 al subagente, qualità che rivestivano le società ricorrenti in quanto promuovevano la vendita dei servizi finanziari in gran parte prodotti non dalla società che figurava formalmente come loro mandante e che aveva formalmente stipulato il contratto di agenzia, ma dalla società capogruppo o da altra società del medesimo gruppo.

Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.

Con la L. 12 marzo 1968, n. 316, è stato stabilito che coloro che svolgevano attività di agente dovevano iscriversi in apposito albo (art.2), facendosi divieto a chi non era iscritto di esercitare l’attività e ribadendo il divieto con riguardo alla stipulazione del relativo contratto, pena l’irrogazione di un’ammenda (art. 9). La successiva L. 9 maggio 1985 n.204, pur sostituendo l’ammenda con una sanzione amministrativa, ha mantenuto fermo il divieto. Dalle leggi invocate, in particolare dal combinato disposto della L. 9 maggio 1985, n. 204, artt. 2, 6 e 10, risulta, altresì, che l’iscrizione all’albo degli agenti non è limitata alle sole persone fisiche, come sostenuto dai ricorrenti, giacchè ciò contrasterebbe con la stessa ratìo delle norme di diritto interno. La circostanza, del resto, si ricava testualmente dalla L. n. 2004 del 1985, art. 6, ove si precisa che "Qualora l’attività di agente sia esercitata da società, i requisiti per l’iscrizione nel ruolo devono essere posseduti dai legali o dal legale rappresentante delle società stesse" (art. 6).

Giusta tale ultima disposizione, per cui l’iscrizione in tanto è possibile in quanto i requisiti (di cui alla L. n. 316 del 1968, artt. 5 e 7) siano posseduti dal suo legale rappresentante, nella seconda parte della medesima norma viene rafforzata la previsione sancendo che "Le società sono tenute a comunicare alla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura le eventuali variazioni dei loro legali rappresentanti per l’aggiornamento del ruolo".

Pacifico quanto precede, è palese che in tanto i soci delle s.r.l. attrici potevano vedere accolta la proposta domanda di condanna delle convenute al pagamento delle indennità di cui al contratto di agenzia, in quanto avessero dimostrato che nella vigenza del medesimo contratto le stesse società erano iscritte nel ruolo degli agenti di commercio.

Risulta introdotta per la prima volta nel presente giudizio di legittimità la questione correlata alla sussistenza di un sostanziale contratto di sub-agenzia che a suo tempo sarebbe stato concluso con la Servizi Leasing, società mandante, giammai dedotta nei pregressi gradi di merito.

Con il quinto motivo del ricorso principale i ricorrenti denunciano la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 4 del Trattato dell’Unione Europea, che riproduce in parte l’art. 10 Trattato CE, degli artt. 56 – 62 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (già artt. 49 – 55 del Trattato CE) e/o degli artt. 49 – 54 e/o 56 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (già artt. 43 – 48 e 49 Trattato CE), nonchè della direttiva CE n. 653 del 1986, della L. n. 316 del 1968, art. 9, e/o L. n. 204 del 1985, art. 9, oltre all’art. 3 Cost., per avere la corte di merito erroneamente considerato nulli i contratti de quibus per essere stati risolti in epoca anteriore alla data ultima – 1 gennaio 1990 – di recepimento imposta agli Stati membri della direttiva CE n. 653 del 1986, pur dovendosi registrare un contrasto nella giurisprudenza di legittimità al riguardo. Concludono nel senso che essendo stata la direttiva CE recepita nell’ordinamento interno italiano solo con il D.Lgs. n. 303 del 1991, emanato in epoca di molto successiva rispetto al termine di recepimento, 1 gennaio 1990, si assisterebbe alla situazione per cui nel periodo compreso fra il 1 gennaio 1990 e quella di entrata in vigore del D.Lgs., il giudice nazionale avrebbe dovuto ritenere pienamente validi i contratti di agenzia vigenti al 1 gennaio 1990 conclusi dall’agente non iscritto all’albo. Con ciò determinando una situazione di disparità di trattamento tra situazioni identiche, contraria al principio di eguaglianza sancito dall’ari 3 Cost. Va respinto anche detto motivo-La corte distrettuale ha ampiamente argomentato in ordine alla asserita violazione di norme di diritto comunitario che la decorrenza della disapplicazione – per contrasto con la direttiva n. 86/653/CEE – del divieto di esercizio dell’attività di agenzia ai non iscritti nell’apposito albo, di cui alla L. n. 204 del 1985, art. 9, (confermativa della L. n. 316 del 1968), doveva coincidere con l’entrata in vigore nell’Ordinamento interno della predetta Direttiva. Orbene, la Direttiva predetta è stata attuata con D.Lgs. 10 settembre 1991, n. 303, che ha prescritto, all’art. 6, che e disposizioni de medesimo decreto si applicavano ai contratti già in corso alla data del 1.1.1990, a decorrere da 1.1.1994. Alla data del primo gennaio 1990 il contratto di agenzia in contestazione non poteva considerarsi in corso, essendo intervenuto, giusta lettera dell’agente del 31.10.1989, recesso in tronco, ossia con effetto immediato (ex art. 2119 c.c., applicato analogicamente: v. in tal senso Cass. 12.1.2006 n. 422; Cass. 16.12.2004 n. 23455). Nè la pendenza del giudizio instaurato, per conseguire pretese creditorie postulanti la intervenuta immediata estinzione de rapporto derivante dal recesso per giusta causa senza preavviso, può essere invocata al fine di accertare la sussistenza di un rapporto contrattuale "ancora in atto" ovvero "in corso", secondo la locuzione utilizzata dall’art. 12 della Direttiva 653/86 e richiamata dal D.Lgs. n. 303 del 1991, art. 6.

Ne consegue che per il rapportò di agenzia in oggetto, conclusosi m epoca anteriore al 1.1.1990, era ancora operante l’obbligo di iscrizione nell’albo degli agenti stabilito dalla L. n. 204 del 1985, e che, essendo non controversa la mancata iscrizione delle società agenti per le quali sono state richieste le indennità, ne è derivata la nullità del rapporto (in tal senso v. Cass. 14 settembre 2005 n. 18202).

Dalle considerazioni che precedono discende l’infondatezza anche del sesto e del settimo motivo del ricorso principale, con i quali viene dedotta, da una parte, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1373, 1418, 1453 e ss., 1456 e 1750 c.c., della direttiva CE n. 653 del 1986 e/o artt. 10, 43-48 e/o 49-55 del Trattato CE (ora, rispettivamente, art. 4 del Trattato dell’Unione Europea e artt. 49- 55 e 56-62 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea) per avere la corte di merito esplicitamente affermato che in relazione ai contratti in corso alla data indicata di recepimento della direttiva questi erano cessati per "risoluzione anticipata" ovvero per "recesso" per grave inadempimento, usando indistintamente i suddetti istituti, ed errando sull’epoca di risoluzione del contratto per effetto di una semplice lettera, inviata dai legale rappresentante delle società ricorrenti il 31.10.1989 e ciò in contrasto con quanto previsto dall’ari 10 del contratto di agenzia che richiedeva il preavviso di tre mesi; dall’altra, il vizio di motivazione in relazione agli artt. 1373, 1418, 1453 e ss., 1456 e 1750 c.c., della direttiva CE n. 653 del 1986 e/o artt. 10, 43 – 48 e/o 49 – 55 del Trattato CE (ora, rispettivamente, art. 4 del Trattato dell’Unione Europea e artt. 49-55 e 56-62 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea) per avere la corte di merito, nell’incorrere in un’erronea qualificazione giuridica del fatto, omesso di argomentare in ordine alle ragioni che avrebbero fatto ritenere la lettera dell’avv. Are di per sè sufficiente a sciogliere il contratto de quo, anche alla luce del diverso accertamento compiuto del c.t.u. in primo grado. Solo per completezza osserva il collegio che un’ultima considerazione appare dirimente nel verificare la cessazione del rapporto alla data del 1.1.1990: i presente giudizio – con il quale gli stessi ricorrenti hanno richiesto l’accertamento della giusta causa del loro recesso dal rapporto de quo – è stato introdotto con atto di citazione notificato nel dicembre 1989 e ciò a prescindere dal rilevare che appare del tutto nuova la ulteriore questione posta, con la quale si assume che la lettera dell’avvocato non poteva valere come recesso.

Con il nono mezzo del ricorso principale viene censurata la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 167 e 190 c.p.c., nonchè dei principi di diritto in tema di allegazione, non contestazione e "fatto pacifico", con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, nonchè il vizio di motivazione, per avere la corte di merito accolto l’eccezione di difetto di titolarità passiva della BPM, sebbene la stessa abbia dedotto la carenza solo nell’ultima comparsa conclusionale del 4.7.2003, accettato il contraddicono e formulate le difese per quasi quindici anni.

Aggiungono che in nessuno degli atti processuali dei ricorrenti la legittimazione sostanziale della BPM è stata fondata sulla sua mera qualità di società capogruppo o di società controllante, per cui le considerazione della corte di merito sul punto apparirebbero inconferenti. Assumono essere vero che la BPM, e poi la COMPASS, erano le produttrici dei servizi oggetto del contratto di agenzia, mentre le altre società rappresentavano la rete di vendita, per tale ragione la preponente doveva essere considerata la BPM. Con il decimo mezzo del ricorso principale viene denunciata la violazione degli artt. 2359, 2362 e 2082 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per non avere i ricorrenti posto a fondamento delle domande proposte nei confronti della BPM e delle altre società la mera posizione di società controllante o capo gruppo, bensì qualcosa di diverso che anche la giurisprudenza meno recente considera rilevante, ossia il possesso sostanziale da parte della BPM di tutte le azioni o quote delle controllate, tant’è che la loro stessa denominazione rende evidente che le stesse fossero mere articolazioni organizzative della stessa impresa. Entrambi i motivi appaiono assorbiti dai rilievi fin qui svolti, in quanto riflettono, rispettivamente, l’asserita tardività dell’eccezione di difetto di titolarità passiva della BANCA POPOLARE di MILANO – che trattandosi di giudizio di vecchio rito, ben poteva essere formulata per la prima volta anche in appello – e la mancata considerazione che la titolarità sostanziale della BANCA poteva discendere dall’art. 2362 c.c., allora vigente. Ed invero, non facendo questione alcuna circa la legittimazione della BPM a fare valere la nullità del contratto di agenzia, una volta ritenuta detta nullità, resta assorbita ogni questione in termini soggettivi del rapporto contrattuale predetto. Nè risulta provata l’esistenza di alcuna delle dedotte condizioni (unicità della struttura produttiva ed organizzativa; integrazione tra le attività esercitate dal gruppo e coordinamento tecnico e amministrativo-finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo, con convergenza verso uno scopo comune, sì da fare ravvisare un unico centro di imputazione), essendo cosa diversa la responsabilità dell’unico azionista, ormai abrogata, per l’insolvenza della società.

Con l’undicesimo motivo del ricorso principale viene denunciata la violazione degli artt. 2598 e 2043 c.c., anche per vizio di motivazione, in quanto la corte di merito pur avendo riconosciuto che le attrici avevano formulato domanda non solo per responsabilità contrattuale ma anche per quella per illecito costituito da concorrenza sleale ex art. 2598 c.c., n. 3, aggiungendo che i due profili di responsabilità andavano distinti, conclude nel senso che si tratta di questione che "attiene al merito della causa" e solo "per compiutezza di indagine" ha ritenuto non sussistere un comportamento astrattamente riconducibile all’ipotesi di concorrenza sleale. Anche detto motivo non può essere accolto.

La disciplina, di cui i ricorrenti lamentano l’omessa applicazione da parte del giudice di merito, secondo quel che esattamente ha ritenuto l’impugnata sentenza in consonanza con la giurisprudenza di questa Corte (da ultimo: Cass. 20 marzo 2006 n. 6117), riguarda la concorrenza sleale.

Sul tema, la giurisprudenza di questa Corte (v. anche Cass. 9 agosto 2007 n. 17459; Cass. 8 agosto 2003 n. 13071; Cass. 11 aprile 2001 n. 5375) ha stabilito che il principio secondo il quale la concorrenza sleale deve ritenersi fattispecie tipicamente riconducibile ai soggetti del mercato in concorrenza, non configurabile, pertanto, ove manchi il presupposto soggettivo del cosiddetto "rapporto di concorrenzialità", non esclude la legittima predicabilità dell’illecito concorrenziale anche quando l’atto lesivo del diritto del concorrente venga compiuto da un soggetto (il c.d. terzo interposto) il quale, pur non possedendo egli stesso i necessari requisiti soggettivi (non essendo, cioè, concorrente del danneggiato), agisca, tuttavia, per conto di (o comunque in collegamento con) un concorrente del danneggiato stesso, essendo egli stesso legittimato a porre in essere atti che ne cagionino vantaggi economici. In tal caso, pertanto, il terzo va legittimamente ritenuto responsabile, in solido, con l’imprenditore che si sia giovato della sua condotta, mentre, mancando del tutto siffatto collegamento tra il terzo autore del comportamento lesivo del principio della correttezza professionale e l’imprenditore concorrente del danneggiato, il terzo stesso è chiamato a rispondere ai sensi dell’art. 2043 c.c..

Orbene, della suddetta regola di diritto non ricorrono le condizioni di applicabilità rispetto alla tesi prospettata dai ricorrenti, per la quale la preponente, ritenendo i vantaggi che alla impresa esercitata sarebbero venuti dall’attività incrementativa della BPM, quest’ultima avrebbe compiuto un atto di concorrenza sleale in danno dello stesso agente.

E’ evidente, invero, come la censura di cui al suddetto motivo del ricorso oltre a non specificare secondo quali modalità ed in quale misura la BPM abbia posto in essere atti lesivi della concorrenza, non tiene conto del fatto che l’eventuale condotta del terzo interposto consistenti in atti di concorrenza sleale avrebbe potuto legittimare le società ricorrenti solo nell’ipotesi in cui le danneggiate fossero portatrici di una posizione soggettiva tutelabile ex art. 2598 c.c., in forza di un rapporto contrattuale, anche se con riferimento alla preponente, valido (v. in tal senso, Cass. 9 agosto 2007 n. 17459).

Con il dodicesimo motivo del ricorso principale i ricorrenti lamentano la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2041 c.c., e dell’art. 346 c.p.c., per avere la corte di merito contra ius, pur espressamente dando atto che le società agenti avevano diritto ad ottenere una condanna ai sensi dell’art. 2041 c.c., nonostante la declaratoria di nullità del contratto, domanda formulata in primo grado, seppure in via subordina, ma non riproposta in sede di gravame (avendo gli stessi limitato le proprie difese a resistere al gravame principale e a chiedere con quello incidentale la condanna al pagamento di ulteriori somme a titolo di indennità sostitutiva del preavviso, di risoluzione del rapporto e suppletiva di clientela), ritenuto che nulla poteva essere pronunciato al riguardo. Infatti la parte integralmente vittoriosa in grado primo non è tenuta a riproporre espressamente la domanda, essendo sufficiente che la questione venga richiamata in maniera esplicita nei propri scritti difensivi, come avvenuto nella specie con la memoria di costituzione e risposta del 31.3.2004 e con la comparsa conclusionale de 30.3.2007.

La censura è parimenti infondata.

La corte distrettuale correttamente ha ritenuto che l’actio de in rem verso, di cui all’art. 2041 c.c., non fosse stata riproposta in sede di gravame, dagli appellati, pena l’effetto di tacita rinuncia sancito dall’art. 346 c.p.c., i quali nel contestare le deduzioni dell’appellante BPM avevano espressamente sostenuto che la questione relativa alla domanda di arricchimento senza causa erano "superate e non più pertinenti", nè avevano concluso per l’accoglimento di detta domanda subordinata.

Ciò a prescindere dal rilevare che si trattava pur sempre di voci di danno per attività illecita, per le quali era prevista una sanzione amministrativa.

Con il tredicesimo motivo del ricorso principale i ricorrenti denunciano la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1373, 1418 e 2598 c.c., per non avere la corte di merito tenuto conto che con l’appello incidentale i ricorrenti avevano rilevato come il c.t.u. avesse correttamente riconosciuto che il contratto per cui è causa avesse avuto durata superiore ai cinque anni, per cui erano dovute le ulteriori voci pretese.

La censura è assorbita, risultando il rigetto dell’appello incidentale correlato alla nullità del contratto di agenzia, statuizione ritenuta valida in sede di legittimità.

Con il quattordicesimo ed ultimo motivo del ricorso principale i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., anche quale vizio di motivazione, per avere la corte di merito condannato le ricorrenti a rifondere le spese alla COMPASS, anche quelle di primo grado, per onorari in Euro 13.000,00 che è un valore superiore o quasi pari ai massimi tariffar previsti da D.M. 5 ottobre 1994, n. 585, applicabile ratione temporis. Anche la determinazione degli onorari in favore della BPM, liquidati per Euro 25.000,00, appare non solo inusuale ed anomala, ma anche assunta in violazione delle tariffe seppure interpretate nel modo più generoso.

La doglianza, prima che infondata, va ritenuta inammissibile, stante la genericità dell’assunto relativo alla presunta anomalia della liquidazione delle spese processuali, senza fornire alcuna indicazione delle voci che avrebbero violato le disposizioni tariffarie.

Il ricorso principale va, dunque, accolto nei limiti sopra esposti – il solo primo motivo e soltanto nei confronti della IMPREFIN CONSULT SIM, limitatamente alle posizioni dei soci C. e P. – mentre per il resto va rigettato, oltre ad essere inammissibile per quanto attiene ai motivi di ricorso principale proposti nei confronti di S.G., soggetto che non risulta evocato nel giudizio di appello, pronuncia che peraltro assorbe l’esame della restante impugnazione incidentale del M. (con la quale lamenta di essere stato condannato in solido con le altre parti convenute al risarcimento del danno in favore delle parti attrici nonostante non fosse stato parte de giudizio di primo grado, in violazione degli elementari principi che presiedono al contraddittorio, condanna pronunciata da giudice di primo grado, ma annullata dalla corte distrettuale in accoglimento dell’appello incidentale proposto dallo stesso). In relazione ai parziale accoglimento del primo motivo del ricorso principale per essere passata in giudicato la condanna, resa in primo grado, della società IMPREFIN CONSULT SIM s.p.a., ormai estinta, nei confronti dei ricorrenti C. e P., la sentenza impugnata va cassata, con rinvio a diversa sezione della smessa corte di appello di Roma, die giudicherà limitatamente alla responsabilità della IMPREFIN CONSULT SIM estinta, tenendo conto che del debito ne risponderanno i soci, ma soltanto nei limiti delle somme da essi effettivamente percepiti in base al bilancio di liquidazione. La responsabilità dei soci di società di capitali resta, infatti, limitata, dopo l’estinzione della società, fino alla concorrenza di quanto riscosso nel riparto del capitale sociale.

Il giudice del rinvio provvedere alla regolamentazione delle spese anche di questa fase del giudizio limitatamente alle predette parti.

Per quanto attiene alfa disciplina delle spese processuali delle altre parti, nei cui confronti questa Corte pronuncia definitivamente, in particolare per quelle del grado di appello, quanto alla IMPREFIN CONSULT SIM, da una parte, e la LE.SER.FIN. e GEFI Roma, dall’altra, e per quelle di cassazione, quanto alle altre resistenti, vengono liquidate nei termini di seguito esposti: per l’appello, in rapporto alla chiara giustificazione della parte soccombente nel merito nell’insistere nella sua posizione, espressione dell’indirizzo ermeneutico prevalente alla data d’inizio delle azioni a base delle domande decise con la sentenza impugnata, equa appare la compensazione totale delle spese del giudizio di appello; per eguali ragioni vengono interamente compensare le spese del presente giudizio di cassazione fra le società LE.SER.FIN. – GEFI Roma e le resistenti (in tal senso, v. Cass. SS.UU. 22 febbraio 2010 n. 4062). Seguono la soccombenza fra le restanti parti, fatto salvo il rapporto rimesso al giudice del rinvio.

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso principale proposto dalla LE.SER.FIN e dalla GEFI Roma;

accoglie il primo motivo del ricorso principale limitatamente ai ricorrenti C. e P. nei confronti della sola IMPREFIN CONSULT SIM, dichiarando l’inammissibilità dell’appello proposto dalla stessa società, rigettati tutti gli altri motivi del ricorso principale;

dichiara inammissibile il ricorso principale proposto dai soci C. e P. nei confronti dello dichiara inammissibile il ricorso incidentale proposto dalla IMPREFIN CONSULT SIM; dichiara assorbiti i ricorsi incidentali condizionati delle restanti parti;

cassa la sentenza impugnata in relazione alla parte di motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione limitatamente ai ricorrenti C. e P. nei confronti della IMPREFIN CONSULT SIM, ad altra sezione della Corte di appello di Roma;

compensa integralmente le spese del giudizio di appello fra la IMPREFIN CONSULT SIM e le società agenti;

compensa integralmente le spese processuali del giudizio di legittimità fra le società LE.SER.FIN. – GEFI Roma e tutte le parti resistenti;

condanna i ricorrenti C. e P. alla rifusione delle spese processuali del giudizio di cassazione che liquida in favore di ciascuno dei resistenti in Euro 12.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori, come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio Sezione Seconda Civile, il 14 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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