Cass. civ. Sez. II, Sent., 06-06-2012, n. 9116 Servitù coattive di passaggio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 18 aprile 2000, T.G. e C.M.G. assumevano di essere proprietari di un fondo in (OMISSIS) al quale poteva accedersi da un viottolo pedonale – largo due metri e per circa settanta metri con pendenza del 30% – che si dipartiva dalla strada vicinale (OMISSIS), attraversava la proprietà di V.F. e si snodava lungo il confine con la proprietà di T.G. e C. R..

Premessa, quindi, la difficoltà del passaggio e la non accessibilità dello stesso a mezzi meccanici convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Palermo, D.G.A. e S.C., al fine di ottenere la costituzione di servitù coattiva di passaggio sul loro terreno attraverso la costruzione di una strada che potesse collegare il proprio fondo ad una strada pubblica denominata fondo Petix.

Si costituivano i convenuti contestando la domanda e chiedendone il rigetto.

Con sentenza del 23 maggio 2006, il Tribunale di Palermo -sezione distaccata di Monreale, premesso che la via Fondo Petix, oggi via C3, doveva ritenersi di uso pubblico e che non era quindi necessario evocare in giudizio tutti i proprietari dei fondi sui quali la stessa insisteva, riteneva che il fondo degli attori dovesse essere qualificato come intercluso perchè l’accesso a detto terreno tramite il sentiero descritto in citazione non era fondato su un diritto di servitù; riteneva altresì che il percorso indicato dagli attori fosse quello praticabile; costituiva, quindi, servitù coattiva di passaggio sulle particelle 665 e 301 dei convenuti, sul percorso indicato dal consulente tecnico d’ufficio; determinava infine l’indennità da porre a carico degli attori.

I soccombenti proponevano appello eccependo preliminarmente la nullità della sentenza per omessa integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i comproprietari della via C3, che era una strada privata e non pubblica o di uso pubblico e rilevando, tra l’altro, che non sarebbe stato possibile costituire una servitù coattiva atteso che il passaggio sarebbe sfociato su una via privata.

Si costituivano gli appellati chiedendo il rigetto del gravame.

Con sentenza depositata il 1 dicembre 2009, la Corte d’appello di Palermo riformava la sentenza impugnata rigettando la domanda di costituzione di servitù coattiva di passaggio proposta dagli originari attori.

La Corte d’appello rigettava in primo luogo le eccezioni di nullità della sentenza per omessa integrazione del contraddittorio, rilevando che, secondo la giurisprudenza di legittimità, il riconoscimento della servitù coattiva non richiede la partecipazione al giudizio di tutti i proprietari dei fondi interessati dal passaggio. Rilevava, peraltro, che la via C3 doveva ritenersi di natura privata, essendo rimasta del tutto sfornito di prova l’acquisto da parte dell’ente pubblico territoriale della strada per usucapione, e non essendo stato dimostrato il pubblico transito per il periodo necessario ad usucapire.

La Corte d’appello rigettava poi il motivo con il quale gli appellanti sostenevano la mancanza di uno dei requisiti imposti dall’art. 1051 cod. civ. per la costituzione della servitù di passaggio – e cioè l’arrivo del passaggio su una via pubblica – rilevando che il tragitto individuato dal consulente tecnico sfociava nella SP via (OMISSIS), dovendosi ritenere del tutto irrilevante la circostanza che detto sbocco risultasse al momento impedito da un cancello apposto tra la via pubblica PG3 e la via C3, trattandosi di modifica dello stato dei luoghi posta in essere nel corso del giudizio di primo grado, artatamente effettuata allo scopo di paralizzare la domanda attrice.

La Corte territoriale riteneva invece fondato il motivo di gravame con il quale gli appellanti avevano censurato la sentenza di primo grado per non avere tenuto conto della esenzione prevista dall’art. 1051 cod. civ., u.c., posto che il passaggio si svolgeva a pochi metri da una cucina all’aperto. Alla luce delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, la Corte d’appello rilevava che la strada insisteva in una zona inquadrabile sia come cortile che come giardino, sicchè il passaggio individuato nella sentenza di primo grado risultava illegittimo.

Da ultimo, la Corte d’appello rilevava che vi era la possibilità di tracciare un percorso alternativo su fondi di proprietà di terzi, il che comportava il rigetto della domanda.

Per la cassazione di questa sentenza ricorrono T.G. e C.M.G. sulla base di cinque motivi; gli intimati hanno resistito con controricorso.

In prossimità dell’udienza i ricorrenti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., insufficienza e contraddittorietà della motivazione nonchè nullità della sentenza, dolendosi del fatto che la Corte d’appello, pur in mancanza di qualsivoglia domanda in tal senso, si sia espressa e-scludendo che la via C3 fosse pubblica o asservita ad uso pubblico. Tutte le eccezioni in proposito erano state prospettate al fine di valutare l’ammissibilità o meno della eccezione di non integrità del contraddittorio e comunque sempre in relazione all’applicazione dell’art. 1051 cod. civ.; in ogni caso, sostengono i ricorrenti, la motivazione addotta dalla Corte d’appello per affermare la natura privata di quella via era del tutto illogica è contraddittoria.

1.1. Il motivo è inammissibile.

Dalla motivazione della sentenza impugnata emerge chiaramente che le argomentazioni svolte dalla Corte d’appello in ordine alla natura della strada denominata via C3 altro non costituiscono che un obiter dictum, in quanto tale inidoneo a costituire ratio decidendi e ad assumere, così come paventato dai ricorrenti, efficacia di giudicato.

Invero, la Corte era stata chiamata a valutare la questione se fosse o no necessario integrare il contraddittorio con i proprietari dei fondi interessati dal passaggio della detta via; e su tale motivo di gravame, la risposta è stata offerta dalla Corte in via dirimente, nel senso della adesione all’indirizzo della giurisprudenza di questa Corte secondo cui "qualora il passaggio a favore di fondo intercluso debba essere costituito, ai sensi dell’art. 1051 cod. civ., su più fondi appartenenti ad altri proprietari,questi ultimi non sono litisconsorti necessari nel relativo procedimento, giacchè il riconoscimento della servitù coattiva non è impedita dalla loro mancata partecipazione al giudizio; infatti, l’attore può provvedere nei loro confronti con domande separate o con accordi distinti, restando solo precluso al giudice di imporre un vincolo su detti fondi" (Cass. n. 6069 del 2006; Cass. n. 13101 del 2011) .

Dopo aver risolto la questione a sè devoluta circa la non necessità della integrazione del contraddittorio, la Corte ha soggiunto argomentazioni in ordine alla natura della strada sulla quale avrebbe dovuto essere esercitata la servitù di passaggio che non assumono alcun autonomo rilievo ai fini della decisione in ordine alla suindicata questione e che non appaiono dunque idonee ad assumere alcuna efficacia di giudicato sul punto.

Ne consegue la inammissibilità del motivo per difetto di interesse.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 1051 cod. civ., nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione, censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto che l’esenzione di cui all’art. 1051 cod. civ., u.c., non opererebbe nel solo caso in cui l’interclusione del fondo non possa essere altrimenti rimediabile, e cioè quando esista una possibilità di un percorso alternativo.

La Corte d’appello, sostengono i ricorrenti con la complessa censura, non avrebbe tenuto conto della situazione di interclusione assoluta del fondo di loro proprietà ed avrebbe omesso ogni comparazione tra le esigenze del fondo soggetto alla esenzione di cui all’art. 1051 cod. civ., u.c., e quelle del fondo intercluso, al fine di non imporre inutili sacrifici nè all’uno nè all’altro. In proposito, i ricorrenti – dopo aver richiamato il principio per cui in materia di servitù di passaggio coattivo, la disposizione dell’art. 1051 cod. civ., comma 4, non prevede un’esenzione assoluta delle aree indicate dalla servitù di passaggio, bensì solo un criterio di scelta, ove possibile, nei casi in cui le esigenze poste a base della richiesta di servitù siano realizzabili mediante percorsi alternativi, tra i quali deve attribuirsi priorità a quelli non interessanti le menzionate aree -, sostengono che la Corte territoriale, omettendo di chiarire la natura della interclusione del proprio fondo, avrebbe ritenuto che l’esenzione di cui al citato art. 1051 cod. civ., comma 4, sarebbe invece sempre operativa e applicabile, essendo sempre ipotizzabile un percorso alternativo rispetto a quello che possa interessare le aree indicate nella citata disposizione.

I ricorrenti censurano ancora la sentenza impugnata, sempre in ordine al mancato riconoscimento della situazione di assoluta interclusione del fondo di loro proprietà, sottolineando, con particolare riferimento alla affermata esistenza di un percorso alternativo, la carenza della motivazione che non avrebbe tenuto conto delle risultanze istruttorie, dalle quali emergeva invece una situazione del tutto diversa da quella ritenuta provata dalla Corte d’appello.

Questa, infatti, avrebbe recepito acriticamente le conclusioni del c.t.u., omettendo di considerare che il percorso indicato come alternativo interessava una strada della quale il c.t.u. non aveva indicato la larghezza, la pendenza e la praticabilità, specialmente nei mesi invernali. In realtà, il percorso alternativo non presentava affatto gli stessi requisiti richiesti per la costituzione di un passaggio coattivo, in quanto non costituiva il collegamento più breve con la via pubblica, non consentiva di contemperare nel modo migliore le esigenze del fondo dominante e di quello servente, non sarebbe risultato sicuro e cioè percorribile senza ostacoli o pericoli e, soprattutto, non era al momento esistente. Nella sentenza impugnata difetterebbe poi ogni valutazione comparativa tra il percorso richiesto da essi ricorrenti e quello individuato come alternativo dal c.t.u..

2.1. Il motivo è infondato.

La Corte d’appello, condividendo le conclusioni del c.t.u., ha ritenuto che il tragitto individuato dal Tribunale, che prevedeva il passaggio sul fondo degli appellanti, odierni resistenti, andava ad interessare un’area soggetta all’esenzione di cui all’art. 1051 cod. civ., u.c.. Senza incorrere nella denunciata violazione di legge, ha poi ritenuto che la detta esenzione potesse essere superata solo nella eventualità in cui non fosse ipotizzabile un percorso alternativo.

Ha quindi verificato, sulla base delle conclusioni del c.t.u., l’esistenza di un possibile percorso alternativo, dando atto che, secondo l’apprezzamento del tecnico, ribadito anche con un supplemento di indagini a seguito delle critiche sollevata da parte attrice, il percorso alternativo era di lunghezza analoga a quella del percorso individuato dal Tribunale sul fondo degli appellanti, aveva una consistenza tale da consentirne la utilizzazione anche con mezzi meccanici, non presentava pendenze non consentite dalla normativa, e non diveniva impraticabile in inverno.

L’iter logico seguito dalla Corte d’appello appare dunque coerente con la giurisprudenza di questa Corte, nella quale si è affermato che la disposizione dell’art. 1051 cod. civ., comma 4, non prevede un’esenzione assoluta delle aree indicate dalla servitù di passaggio, bensì solo un criterio di scelta, ove possibile, nei casi in cui le esigenze poste a base della richiesta di servitù siano realizzabili mediante percorsi alternativi, tra i quali deve attribuirsi priorità a quelli non interessanti le menzionate aree (Cass. n. 12340 del 2008); in altri termini, "l’esonero dei cortili (oltre che delle case, dei giardini e delle aie) dalla servitù coattiva, sancita dalla norma di cui all’art. 1033 cod. civ., non opera in presenza di situazioni di interclusione assoluta non altrimenti eliminabile" (Cass. n. 8426 del 1995; Cass. n. 5223 del 1998) . In sostanza, "l’esenzione dalla servitù di passaggio coattivo, stabilita dall’art. 1051 cod. civ., u.c., per le case, i cortili, i giardini e le aie ad essi attinenti, è limitata al caso in cui il proprietario del fondo intercluso abbia la possibilità di scegliere tra più fondi, attraverso i quali attuare il passaggio, di cui almeno uno non sia costituito da case o pertinenze delle stesse;

conseguentemente la norma indicata non trova applicazione allorchè, rispettando l’esenzione, l’interclusione non potrebbe essere eliminata, comportando l’interclusione assoluta del fondo conseguenze più pregiudizievoli rispetto al disagio costituito dal transito attraverso cortili, aie, giardini e simili" (Cass. n. 6814 del 1988;

Cass. n. 832 del 1993).

In tale contesto, le censure dei ricorrenti, lungi dall’evidenziare violazioni di legge o insufficienze della motivazione della sentenza impugnata, si risolvono nella richiesta di un diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie, adeguatamente valutate dalla Corte d’appello, la quale ha valorizzato tutti gli elementi emergenti dagli elaborati tecnici, anche in replica alle deduzioni degli appellati, odierni ricorrenti, in ordine alla esistenza e alla praticabilità di un percorso alternativo, che non andasse ad interessare, sui terreni di proprietari diversi da quelli appartenenti agli odierni resistenti, case, cortili, giardini e aie ad esse attinenti.

E’ noto, del resto, che "con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente; l’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione" (v., da ultimo, Cass. n. 7941 l del 2011).

3. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.; insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata; nullità della stessa ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 4, I ricorrenti sostengono che nessuna delle parti in causa abbia mai chiesto nè in via principale nè in via incidentale l’individuazione di un percorso alternativo a quello da essi richiesto con l’atto introduttivo. La Corte d’appello sarebbe quindi incorsa nel denunciato vizio, in quanto ha accertato in maniera incontrovertibile un unico percorso alternativo, da costituirsi in sostituzione a quello richiesto.

3.1. Il motivo è infondato.

La verifica della esistenza o no di un percorso alternativo, allorquando la richiesta servitù di passaggio interferisca con i beni per i quali opera l’esenzione di cui all’art. 1051 cod. civ., u.c., invero, costituisce proprio l’oggetto dell’accertamento devoluto al giudice, come affermato dalla citata sentenza n. 12340 del 2008. Questa Corte ha del resto avuto modo di affermare che "ai fini della costituzione di una servitù di passaggio in favore di un fondo intercluso, il proprietario di quest’ultimo è tenuto soltanto a provare lo stato di interclusione, spettando poi al giudice di merito il compito di accertare e determinare in concreto il luogo di esercizio della servitù. A tal fine devono essere contemperati il criterio della maggiore brevità di accesso alla pubblica via con quello del minor aggravio per il fondo servente, con una valu-tazione che – ove la soluzione più conveniente riguardi il proprietario di un fondo non parte in causa – non presuppone la necessaria integrazione del contraddittorio nei confronti del medesimo" (Cass. n. 10045 del 2008).

L’accertamento della esistenza di un percorso alternativo, dunque, si pone come condizione preclusiva della costituzione coattiva di una servitù di passaggio allorquando questa interferisca con case, cortili, giardini e aie ad esse attinenti che si trovino sul fondo che si pretende di asservire. Ben poteva quindi la Corte d’appello, a prescindere da una domanda in tal senso, che peraltro, ove proposta, avrebbe determinato la necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti dei proprietari degli altri fondi interessati, accertare l’esistenza di un percorso alternativo onde escludere la costituzione coattiva della richiesta servitù di passaggio.

4. Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano ancora violazione e falsa applicazione dell’art. 1051 cod. civ. e insufficiente e contraddittoria motivazione, censurando la sentenza impugnata per avere affermato che l’area del fondo degli appellanti, odierni resistenti, godesse della esenzione di cui all’art. 1051 cod. civ., u.c..

In particolare, i ricorrenti si dolgono del fatto che la Corte d’appello non abbia considerato nè la circostanza che la cucina, la cui esistenza era stata valorizzata ai fini dell’applicazione dell’art. 1051 cod. civ., u.c., fosse stata realizzata dagli appellanti successivamente alla introduzione del giudizio, nè il fatto che, in realtà, il terreno degli appellanti non costituisse un giardino, trattandosi invece di un orto.

4.1. Il motivo è inammissibile.

La Corte d’appello ha infatti accertato che il passaggio richiesto attraverserebbe un luogo attualmente utilizzato come cucina all’aperto, insistente su uno spazio costituente cortile recintato e tenuto a giardino.

Ne deriva, per un verso, che non sono censurabili in questa sede le assorbenti valutazioni di merito circa la ricorrenza dei requisiti (cortile, giardino e cucina) in base ai quali possa essere ritenuta operante l’esenzione di cui all’art. 1051 cod. civ., u.c., e cioè la valutazione se un determinato luogo abbia le caratteristiche del giardino o del cortile, come ritenuto dalla Corte d’appello sulla base delle risultanza della c.t.u. e della documentazione, anche fotografica, in atti. Mentre, per altro verso, stante le su dette destinazioni dello spazio da attraversare, risulta irrilevante che la cucina sia stata realizzata dopo l’inizio della causa. Considerato anche che "l’art. 1051 cod. civ., u.c., che esenta dalla servitù coattiva di passaggio le case, i cortili, i giardini e le aree ad esso attinenti, contiene un’elencazione tassativa che trova la sua ratto nell’esigenza di tutelare l’integrità delle case di abitazione e degli accessori che le rendono più comode e quindi, per stabilire se sussista o meno l’ipotesi del cortile o del giardino occorre aver riguardo alla loro destinazione non soltanto attuale, ma anche potenziale, desumibile dalla situazione dei luoghi. (Nella specie la S.C. ha confermato la pronuncia del giudice del merito che aveva ritenuto che sussisteva la condizione ostativa alla Costituzione della servitù di passaggio in un’ipotesi in cui l’area, su cui l’attore aveva domandato la Costituzione della servitù, era stata destinata dal convenuto a giardino dopo la notifica dell’atto di citazione)" (Cass. n. 2367 del 1988).

Risulta, dunque, priva di rilievo la circostanza, evidenziata dai ricorrenti, che dopo la proposizione della domanda volta alla costituzione coattiva della servitù di passaggio, i proprietari del fondo abbiano realizzato una cucina all’aperto.

5. Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 112 e 91 cod. proc. civ., nonchè vizio di omessa motivazione, dolendosi del fatto che la Corte d’appello, nel rideterminare le spese del giudizio di primo grado, abbia proceduto ad una liquidazione diversa e superiore rispetto a quella disposta dal Tribunale.

5.1. Il motivo è manifestamente infondato.

Il giudice di appello, allorchè riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, dato che l’onere di esse va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite (Cass. n. 18837 del 2010;

Cass. n. 7486 del 2006).

Nel procedere alla rideterminazione delle spese, il giudice di appello che abbia accolto il gravame, e che quindi debba condannare l’appellato al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio, non deve tuttavia attenersi agli importi già liquidati dal giudice di primo grado in favore della parte allora vincitrice, ma risultata soccombente all’esito del giudizio di gravame. Ben poteva, dunque, la Corte d’appello determinare le spese del giudizio di primo grado in misura superiore a quella indicata dal Tribunale, con l’unico limite, valido in ogni caso di determinazione delle spese da parte del giudice, di non violare i limiti massimi della tariffa professionale per lo scaglione applicabile. E nella specie, i ricorrenti non deducono che, nel rideterminare le spese del giudizio, la Corte d’appello sia incorsa in tale violazione.

6. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti, in solido tra loro e in applicazione del principio della soccombenza, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte suprema di Cassazione, il 2 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2012

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