Cass. civ. Sez. V, Sent., 06-06-2012, n. 9110 Successione a titolo universale e particolare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso proposto dei confronti della s.a.s. "Il Chiostro" ("cancellata il 14 gennaio 2011") nonchè dei suoi soci C. R. e L.D., l’AGENZIA delle ENTRATE, in forza di un solo motivo, chiedeva di cassare la sentenza n. 44/44/11 depositata il 28 marzo 2011 dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia che aveva accolto l’appello di detta società avverso la decisione (126/06/09) della Commissione Tributaria Provinciale di Varese la quale (si assume:

"senza motivazione") aveva respinto il ricorso avverso l’"avviso IRPEG per il 2002 con cui l’Ufficio …, dato atto che la società aveva ricevuto finanziamenti fruttiferi dai propri soci, ammontanti al 31 dicembre 2001 in L. 1.677. 000. 000, e che il 30 giugno 2002 tutto il debito era stato imputato a capitale sociale" ("come se fosse stato riscosso e poi versato ai soci", "atto che comportava la … riscossione degli interessi con il suo debito corrispondente servito all’aumento di capitale"), aveva ritenuto che "su tale riscossione d’interessi era stata omessa la ritenuta D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 26, comma 5, esigendola e irrogando sanzioni".

Il C. instava per la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione (suo "difetto di legittimazione passiva"), chiedendo, comunque, di dichiarare "cessata la materia del contendere" o di rigettare il gravame nel merito.

La società ed il L. non svolgevano attività difensiva.

L’Agenzia depositava memoria ex art. 378 c.p.c. con documenti.

Motivi della decisione

p. 1. "Cancellazione" della società dal registro delle imprese:

inammissibilità del ricorso contro la stessa;

successione sostanziale e processuale dei soci.

il "14 gennaio 2011" la (società di persone) s.a.s. Il Chiostro, come dichiarato dalla stessa Agenzia nell’epigrafe del suo ricorso, è stata cancellata dal registro delle imprese.

Gli effetti sostanziali e processuali di tale evento sono già stati definiti dalle sezioni unite di questa Corte (sentenza 22 febbraio 2010 n. 4062) la quale – ricordato che: (a) "fino alla riforma organica della disciplina delle società di capitali e cooperative di cui al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, era stata unanime la scelta ermeneutica dei giudici di legittimità di ritenere la cancellazione dal registro delle imprese della iscrizione di una società commerciale, di persone o di capitali, mera pubblicità dichiarativa, che non produceva l’estinzione della società stessa, in difetto dell’esaurimento di tutti i rapporti giuridici pendenti facenti capo ad essa, per cui permaneva la legittimazione processuale di essa e il processo già iniziato proseguiva nei confronti o su iniziativa delle persone che già la rappresentavano in giudizio o dei soci, anche con riferimento alle fasi di impugnazione (con … Cass. n. 646/0, 12114/06, 7972/00, 3221/99, cfr. pure Cass. 21 agosto 2004 n. 16500, 28 maggio 2004 n. 10324, 20 ottobre 2003 n. 15691, 2 agosto 2001 n. 10555, 1 luglio 2000 n. 8842, 15 giugno 1999 n. 5941, 20 ottobre 1998 n. 10380, 16 novembre 1996 n. 10065, tra altre) ovvero negli eventuali procedimenti di esecuzione, relativi ai medesimi rapporti accertati con sentenza costituente titolo esecutivo a base dei crediti da esigere (Cass. 8 agosto 1964 n. 2273)"; (2) "la posizione giurisprudenziale esposta, costituente ius receptum, era stata criticata da quasi tutta la dottrina, in base alla lettera del combinato disposto dei già vigenti artt. 2312, 2324 e 2456 c.c., norme per le quali, dopo la cancellazione delle iscrizioni, sia delle società di persone che di quelle di capitali, i creditori sociali possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci delle società in nome collettivo e di quelli accomandatari delle s.a.s., illimitatamente e nei confronti dei soci delle società persone giuridiche in proporzione alla rispettiva quota di riparto per questa parte così come con l’attuale art. 2495 c.c., (giacchè la novella del 2003 per le società con personalità giuridica ha lasciato in sostanza immutata la previgente disciplina)"; (3) "la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 319 del 21 luglio 2000, ha rilevato come la lettura delle norme sugli effetti della pubblicità della cancellazione delle società espressione dell’allora diritto vivente comportasse una chiara disparità di trattamento tra imprese individuali e imprese collettive ai fini della dichiarazione di fallimento, in quanto per l’imprenditore persona fisica la stessa era consentita entro un anno dalla cancellazione mentre per le imprese collettive, rimaneva sempre incerto il momento della loro fine o estinzione, da cui far decorrere il termine di un anno entro cui, ai sensi del previgente L. Fall., art. 10, poteva essere dichiarato il loro stato di insolvenza" – ha affermato i seguenti principi di diritto:

– "L’art. 2495 c.c., comma 2, come modificato dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, art. 4 è norma innovativa e ultrattiva, che, in attuazione della legge di delega, disciplina gli effetti delle cancellazioni delle iscrizioni di società di capitali e cooperative intervenute anche precedentemente alla sua entrata in vigore (1 gennaio 2004), prevedendo a tale data la loro estinzione, in conseguenza dell’indicata pubblicità e quella contestuale alle iscrizioni delle stesse cancellazioni per l’avvenire e riconoscendo, come in passato, le azioni dei creditori sociali nei confronti dei soci, dopo l’entrata in vigore della norma, con le novità previste agli effetti processuali per le notifiche intraannuali di dette citazioni, in applicazione degli artt. 10 e 11 preleggi, e dell’art. 73 Cost., u.c.";

– "il citato articolo, incidendo nel sistema, impone una modifica del diverso e unanime pregresso orientamento della giurisprudenza di legittimità fondato sulla natura all’epoca non costitutiva della iscrizione della cancellazione che invece dal 1 gennaio 2004 estingue di certo le società di capitali nei sensi indicati";

– "dalla stessa data per le società di persone, esclusa l’efficacia costitutiva della cancellazione iscritta nel registro, impossibile in difetto di analoga efficacia della loro iscrizione, per ragioni logiche e di sistema, può affermarsi la efficacia dichiarativa della pubblicità della cessazione dell’attività dell’impresa collettiva, opponi bile dal 1 luglio 2004 ai creditori che agiscano contro i soci, ai sensi degli artt. 2312 e 2324 c.c., norme in base alle quali si giunge ad una presunzione del venir meno della capacità e legittimazione di esse, operante negli stessi limiti temporali indicati, anche se perdurino rapporti o azioni in cui le stesse società sono parti, in attuazione di una lettura costituzionalmente orientata delle norme relative a tale tipo di società da leggere in parallelo ai nuovi effetti costituivi della cancellazione delle società di capitali per la novella";

– "la natura costitutiva riconosciuta per legge a decorrere dal 1 gennaio 2004, degli effetti delle cancellazioni già iscritte e di quelle future per le società di capitali che con esse si estinguono, comporta, anche per quelle di persone, che, a garanzia della parità di trattamento dei terzi creditori di entrambi i tipi di società, si abbia una vicenda estintiva analoga con la fine della vita di queste contestuale alla pubblicità, che resta dichiarativa degli effetti da desumere dall’insieme delle norme pregresse e di quelle novellate, che, per analogia iuris determinano una interpretazione nuova della disciplina pregressa delle società di persone";

– "per queste ultime, come la loro iscrizione nel registro delle imprese ha natura dichiarativa, anche la fine della loro legittimazione e soggettività è soggetta a pubblicità della stessa natura, desumendosi l’estinzione di esse dagli effetti della novella dell’art. 2495 c.c., sull’intero titolo 5^ del Libro quinto del codice civile dopo la riforma parziale di esso, ed è l’evento sostanziale che la cancellazione rende opponibile ai terzi (art. 2193 c.c.) negli stessi limiti temporali indicati per la perdita della personalità delle società oggetto di riforma".

L’effettività della analogia (evidenziata dalle sezioni unite) della "vicenda estintiva" delle società di persone con quella delle società di capitali impone di applicare anche alle prime i conseguenti principi elaborati per le altre, in particolare quello secondo cui (Cass. 15 ottobre 2008 n. 25192, 18 settembre 2007 n. 19347, 28 agosto 2006 n. 18618) "la cancellazione dal registro delle imprese produce l’effetto" ("dichiarativo" o "costitutivo", rispettivamente) della "perdita della capacità processuale della società… ".

Dopo la cancellazione dal registro delle imprese (anche) di una società di persone, quindi, il processo può essere instaurato soltanto nei confronti di "soggetti effettivi" – senza nessun "margine scusante neppure in caso di ignoranza della cessazione (fisica o giuridica) del soggetto" (Cass., 3^, 10 novembre 2010 n. 22830) – di tal che (cfr. sentenza testè richiamata) "la proposizione del ricorso per cassazione verso i soggetti non più esistenti e non legittimati, come le società e i loro rappresentanti legali, deve dichiararsi inammissibile (v, Cass. n. 19347/07; Cass. S.U. n. 17914/07)", con la precisazione (anche qui rilevante perchè operata) secondo cui "resta in piedi, perchè corretta, l’evocazione in giudizio dei soggetti (i soci, che sempre hanno agito o si sono costituiti in proprio) nei cui riguardi le azioni, attive e passive, fanno capo dopo l’estinzione delle società, sia di capitale che personale, di cui fanno parte".

L’evento detto – che non ha prodotto (come altrimenti) l’interruzione del giudizio di appello perchè (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 40, comma 2) ivi non dichiarato dal difensore -, come statuito in caso analogo da Cass., 1^, 12 dicembre 2008 n. 29242, ha "nondimeno, …

procurato la perdita della capacità processuale del liquidatore" (il quale, perciò, "non" ha "il potere di rilasciare la procura per la proposizione del … ricorso").

Per effetto della cancellazione, quindi, (1) sono venuti meno il soggetto giuridico societario e la legittimazione (sostanziale e processuale) dei suoi organi anteriori, ivi compresi quella dell’ultimo suo "liquidatore", con conseguente inammissibilità del ricorso proposto nei confronti della società, e (2) la legittimazione sostanziale e processuale, attiva e passiva, essendosi "in presenza di debiti insoddisfatti o di rapporti non definiti", si è trasmessa ex art. 110 c.p.c.: cfr., Cass., 1^, 19 maggio 2011 n. 11059 per l’ipotesi di estinzione di una società per sua incorporazione, per fusione, in altra "nella disciplina vigente prima della riforma del diritto societario di cui al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6", per la quale "il fenomeno della fusione e dell’incorporazione provoca l’estinzione automatica delle società fuse ovvero incorporate … con la conseguente confusione dei rispettivi patrimoni delle società preesistenti e realizzando una successione universale corrispondente alla successione universale mortis causa (vedi, tra i numerosi precedenti, Cass. 23 ottobre 2008, n. 25618; 19 ottobre 2006, n. 22489; 3 agosto 2005, n. 161949)" automaticamente ai soci perchè Cass., trib., 3 novembre 2011 n. 22863 (ordinanza) l’estinzione ha determinato la costituzione di una "comunione" fra gli stessi soci "in ordine ai beni residuati dalla liquidazione ovvero sopravvenuti alla cancellazione" : per la medesima decisione, infatti, "è connaturato all’effetto estintivo …la successione dei soci alla società ai fini dell’esercizio, nei limiti e alle condizioni dalla legge stabilite" (art. 2312 cod. civ., comma 2, o "art. 2495 c.c., comma 2") "delle azioni dei creditori insoddisfatti" (anche in quella "specie", "l’amministrazione erariale").

Vanamente, quindi e di conseguenza, il C. protesta la sua estraneità al "giudizio" ("non è mai stato parte") "sino al presente grado" attesi gli evidenziati effetti giuridici ("successione … alla società") necessariamente prodotti, nei suoi confronti, dall’evento (estinzione della società di persone di cui egli era socio, che ha volontariamente concorso a produrre, e dei cui rapporti tributari è chiamato a rispondere) fin dal momento ("24 gennaio 2011") del suo verificarsi.

p. 2. Inammissibilità del ricorso contro il L. Questo ricorso deve essere dichiarato inammissibile per inosservanza del termine di "sessanta giorni" (dichiarato "perentorio" dall’art. 326) di cui al secondo comma dell’art. 325 c.p.c., decorrente dalla data della prima notificazione al L. del ricorso per cassazione effettuata dall’Agenzia il 5 ottobre 2011 perchè quella notificazione, comunque, ha determinato la "legale conoscenza" (Cass., 2^, 13 maggio 2011 n. 10686, che richiama, "troie altre, Cass. nn. 22957/10, 9265/10, 9058/10, 5053/09, 15297/07") della sentenza impugnata "nei confronti della stessa" Agenzia "impugnante":

il ricorso al L., infatti, dopo gli inutili tentativi compiuti il 5 detto (ai sensi dell’art. 140 c.p.c, ma con raccomandata non consegnata per essere "sconosciuto" il destinatario) nonchè il 27 ottobre 2011 ed il 3 novembre 2011 (entrambi ai sensi dell’art. 149 c.p.c., ma senza deposito dell’avviso di ricevimento), è stato notificato ("a mani proprie", in "Veroli Cda S. Anastasia") soltanto il "3 gennaio 2012", quindi ampiamente oltre il termine detto.

L’accertata decadenza, intuitivamente, rende inutile il richiamo, operato dall’Agenzia nelle memorie depositate, alla "regola" ("fissata" da "Cass., 13183-/04") secondo la quale "ove anche a seguito dell’esito della raccomandata ex art. 140 c.p.c. (nel nostro caso negativo) sorga il sospetto della non attualità del domicilio indicato, il giudice debba autorizzare la nuova notifica" atteso che l’applicazione di quella "regola" suppone di necessità che la "nuova notifica" sia ancora giuridicamente possibile.

p. 3. La sentenza gravata.

La Commissione Tributaria Regionale ha accolto l’appello della società affermando:

– "la somma corrisposta ai soci, come risulta dagli atti e come l’Agenzia stessa conferma, in base ai documenti presentati, era costituita dal solo rimborso in conto capitale" sì che "l’Ufficio … cade in contraddizione" non potendo "la stessa somma comprendere anche gli interessi";

– "non appare chiaro il ragionamento che vuole che nella quota capitale versata ai soci vi fosse una quota di interessi poichè "il trasferimento a capitale degli interessi è assimilabile alla corresponsione degli stessi e che tale circostanza assume rilevanza per la tassazione nell’anno in cui vengono erogati";

– "da quanto documentalmente provato appare chiaro che la somma corrisposta ai soci fosse costituita di solo capitale e che pertanto non vi fossero interessi da dichiarare da parte della società stessa e dei suoi soci".

Lo stesso giudice, quindi, richiamate le pronunce di questa Corte "nn, 2947/1996 e 6257/2001" per la prima delle quali con il "termine "corresponsione" … il legislatore "non ha … inteso fare riferimento alla materiale corresponsione dei redditi di capitale (… interessi) "ma" all’obbligo di pagare gli interessi", ha ritenuto che "per l’anno 2002" non vi erano "interessi da dichiarare … essendo gli interessi maturati in anni precedenti".

p. 4. Il ricorso dell’Agenzia.

Questa censura la decisione per tre motivi.

A. Con il primo la ricorrente denunzia "insufficiente motivazione" ("art. 360, n. 5") esponendo che il giudice di appello, ritenendo "assoluta" ("mentre è espressamente qualificata relativa") "la presunzione ex art. 43, comma 2", ha omesso di "valutare la prova contraria al fatto della corresponsione degli interessi nell’anno di maturazione … ammesso dalla parte … come emerge dalla lettura dei doc. all. 2 (accertamento) e doc. all. 3 (ricorso)":

– "nell’all. 2 si legge: "sono stati rilevati nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2001 debiti nei confronti dei soci per un finanziamento ricevuto nel 1994 … comprensivo degli interessi maturati a partire dal 1995 anno in cui è stato deliberato la fruttuosità del capitale al tasso del 6,50% ";

– "nel ricorso" (riprodotto) "non si nega l’esistenza di quegli interessi non corrisposti".

Per la ricorrente, quindi, "l’art. 43 non era applicabile e la ritenuta D.P.R. n. 600, ex art. 26, comma 5, si doveva fare alla corresponsione, identificato nel passaggio a capitale della somma":

"ciò perchè il ricorso da atto che gli interessi non erano stati corrisposti sino al 31 dicembre 2001".

B. Nel successivo motivo ("art. 360 c.p.c., n. 4 – art. 112") l’Agenzia, assunto esser "compito del giudice tributario …

determinare imponibile e tributo", scrive: "imperniatosi nella presunzione D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, ex art. 43, comma 2, ha omesso di pronunciarsi sulla domanda se quegli interessi passati a capitale fossero da considerare corrisposti e soggetti a ritenuta …".

C. In terzo (ed ultimo) luogo la ricorrente – "copia(ta)" la "motivazione" dell’"avviso" – denuncia "illogica motivazione" sulla "contraddizione" rilevata dalla Commissione Tributaria Regionale sostenendo che "non vi è nessuna contraddizione" perchè "l’Ufficio qualifica rimborso di capitale nei soli limiti di Euro. 250.000;

interessi il resto": "solo una parte (il rimborso)", quindi, "era in conto capitale".

p. 5. Le ragioni della decisione.

Il ricorso – i cui motivi vanno scrutinati congiuntamente – deve essere respinto.

A. La tesi dell’Agenzia – riassumibile nella conclusione (testuale) di tal parte secondo cui "l’art. 43 non era applicabile e la ritenuta D.P.R. n. 600, ex art. 26, comma 5 si doveva fare alla corresponsione, identificato nel passaggio a capitale della somma":

"ciò", in particolare, "perchè il ricorso da atto che gli interessi non erano stati corrisposti sino al 31 dicembre 2001" -, invero, è destituita di fondamento in fatto, perchè il giudice del merito ha accertato che "la somma corrisposta ai soci, come risulta dagli atti e come l’Agenzia stessa conferma, in base ai documenti presentati, era costituita dal solo rimborso in conto capitale": siffatto accertamento fattuale non può ritenersi contrastato dall’assunto secondo cui "nel ricorso" (di primo grado) "non si nega l’esistenza di quegli interessi non corrisposti" in quanto nei passi testuali di tal "ricorso" riprodotti in quello contenente l’impugnazione qui in esame non si rinviene nessuna affermazione propria della contribuente ma solo la riproduzioni delle tesi dell’Ufficio di tal che l’accertamento detto non risulta affatto smentito dalla società.

B. Le spese del giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra l’Agenzia ed il C., ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, in considerazione della sostanziale novità delle questioni giuridiche concernenti gli effetti della cancellazione della società di cui il C. stesso era socio.

Nessun provvedimento, invece, deve essere adottato in ordine alle medesime spese quanto alla società ed al L. non avendo nessuna di tali parti svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso contro la s.a.s. IL CHIOSTRO e quello contro il L.; rigetta il ricorso contro il C.; compensa integralmente tra quest’ultimo e l’Agenzia le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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