Cass. civ. Sez. V, Sent., 06-06-2012, n. 9108 Accertamento Detrazioni Violazioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Commissione tributaria della regione Lazio con sentenza 16.2.2010 n. 62 ha accolto l’appello di ITEON s.p.a. ed in totale riforma della decisione impugnata ha annullato l’avviso di accertamento con il quale il competente Ufficio di Roma (OMISSIS) della Agenzia delle Entrate, in esito alla ispezione e verifica condotta dalla Guardia di Finanza conclusa con PVC che accertava l’utilizzo di fatture emesse per operazioni inesistenti, aveva rettificato la dichiarazione della società relativa all’anno 2003 liquidando una maggiore imposta a titolo IRPEG, IRAP ed IVA. i Giudici territoriali hanno rilevato la inconsistenza probatoria degli elementi offerti dalla Amministrazione a supporto della pretesa tributaria in quanto fondati esclusivamente sulle dichiarazioni acquisite dai dipendenti della società, mentre quest’ultima aveva documentato la effettiva esecuzione dei rapporti documentati dalle fatture producendo gli accordi scritti, le distinte bancarie attestanti i pagamenti e fornendo prova di avere ricevuto le prestazioni e reimpiegato i beni nell’esercizio della impresa.

Ritenevano altresì fondato il motivo di gravame con il quale era stata denunciata la illegittimità dell’avviso di accertamento per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, essendo stata svolta la istruttoria della Amministrazione in assenza di contraddittorio con il contribuente.

La Agenzia delle Entrate ha impugnato la sentenza con sei mezzi.

Ha resistito la società con controricorso eccependo la inammissibilità ed instando per il rigetto del ricorso.

Entrambe le parti hanno illustrato le rispettive difese con deposito delle memorie ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. La motivazione della sentenza impugnata.

La sentenza della CTR laziale si articola su due "rationes decidendi":

– premesso che la pretesa impositiva è fondata sull’utilizzo di fatture emesse per operazioni asseritamente inesistenti, grava sulla Amministrazione l’onere probatorio della difformità dalla realtà della operazione rappresentata nella fattura (Cass. 6.10.2009 n. 21317): gli unici elementi forniti dalla PA sono state le dichiarazioni dei dipendenti della società, raccolte a verbale, che costituiscono semplici indizi privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza in quanto non riscontrati da altri elementi che tengano conto delle effettive modalità di esercizio della impresa, nè da dati desunti da indagini bancarie e documentali. In mancanza della prova richiesta le operazioni risultanti dalla documentazione contabile della ditta non possono ritenersi inesistenti, in considerazione anche delle prove contrarie fornite dalla società che ha dimostrato di aver concluso accordi scritti, di aver effettivamente eseguito i pagamenti mediante operazioni bancarie, di aver ricevuto le prestazioni reimpiegando i beni nella attività produttiva;

– l’avviso di accertamento è affetto da nullità ove il contraddittorio con il contribuente non sia stato attivato e non sia motivata la urgenza ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 12, u.c..

2. Eccezioni di inammissibilità.

La resistente ha sostenuto che la CTR laziale avrebbe deciso in conformità della giurisprudenza della Cassazione con la conseguente inammissibilità del ricorso non avendo la Agenzia delle Entrate dedotto motivi idonei a mutare tale orientamento (art. 360 bis c.p.c.). La eccezione è priva di pregio in quanto la società resistente omette di riferire i precedenti necessari per verificare la asserita conformità della decisione alla giurisprudenza della Corte.

Di mero stile e del tutto generica la eccezione di inammissibilità per difetto di autosufficienza in quanto estesa indistintamente all’intero ricorso (il riferimento al controricorso deve intendersi errore materiale).

Inammissibile è del pari la eccezione di omessa pronuncia della CTR laziale in ordine al motivo di gravame con il quale veniva dedotta la tardiva costituzione dell’Ufficio in primo grado e la "non utilizzabilità delle eccezioni di merito e di rito non rilevabili di ufficio": premesso che la pronuncia di merito della CTR favorevole al contribuente che ha riformato integralmente la sentenza di prime cure priva la società resistente dell’interesse a proporre la eccezione, occorre considerare che se come sembra dal controricorso trattasi di eccezione rivolta a contestare l’utilizzo del materiale probatorio prodotto in primo grado – e non a contestare la omessa dichiarazione di inammissibilità della costituzione in giudizio tardiva -, allora tale eccezione – al pari della medesima eccezione formulata in controricorso in relazione alla tardiva costituzione dell’Ufficio finanziario nel giudizio di appello – non soltanto andava supportata – ai fini del requisito di autosufficienza – della indispensabile esposizione del fatto processuale e, nella specie, degli elementi idonei a consentire la verifica della tempestiva proposizione della eccezione nei gradi di merito e la verifica della tardività della produzione documentale in primo od in secondo grado (mentre dal controricorso a) non risulta che sia mai stata formulata la relativa eccezione in primo grado, essendosi limitata la società "a contestare puntualmente le deduzioni dell’amministrazione finanziaria convenuta": b) non sono indicati i documenti prodotti dalla Amministrazione, nè quando gli stessi sarebbe stati depositati ed in quale grado del giudizio), ma avrebbe dovuto costituire oggetto di specifico motivo di ricorso incidentale per vizio processuale in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), atteso che il vizio di omessa pronuncia su un motivo di gravame ex art. 112 c.p.c., non si sottrae al principio di conversione delle nullità in motivi di impugnazione, non integrando una eccezione pregiudiziali e preliminari di rito e di merito rilevabile "ex officio". 3. I motivi di ricorso.

3.1 Il primo motivo con il quale la Agenzia denuncia la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 (comma 2 e 3), e della L. n. 212 del 2000, art. 7, (comma 1), per avere omesso la CTR laziale di considerare che l’avviso di accertamento era adeguatamente motivato "per relationem" al contenuto del PVC – notificato in allegato allo stesso avviso – redatto dalla Guardia di Finanza in esito alla verifica svolta nei confronti della ITOP s.p.a. e delle società c.d. cartiere, è inammissibile in quanto manifestamente inconferente rispetto alle statuizioni del "decisum" come individuate nel precedente paragrafo.

La CTR laziale, infatti, non ha accertato la nullità dell’atto impositivo in relazione a vizi formali (difetto di motivazione per omessa allegazione dei documenti richiamati; mancata enunciazione dei presupposti di fatto e delle ragioni di diritto su cui la pretesa è fondata) di cui alle norme tributarie indicate in rubrica, ma ha ritenuto, invece, insufficienti quanto a capacità dimostrativa dei fatti allegati (inesistenza delle operazioni fatturate) gli elementi indiziari forniti dalla Amministrazione finanziaria mediante "relatio" ai risultati delle indagini svolte dalla Guardia di Finanza.

Trova, pertanto, applicazione il principio di diritto ripetulamente enunciato da questa Corte e ribadito dal Collegio secondo cui "la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4, con conseguente inammissibilità – rilevabile anche d’ufficio – del ricorso stesso" (cfr. Corte Cass. sez. lav.

13.10.1995 n. 10695; id. li sez. 9.10.1998 n. 9995; id. 1^ sez. 24.2.2004 n. 3612; id. 5^ sez. 3.8.2007 n. 17125).

3.2 Con il secondo motivo la Agenzia impugna la sentenza appello per violazione di un complesso di norme (D.P.R. n. 600 del 73, art. 39, art. 75 – ora 64 – TUIR, D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19, 21 e 54, artt. 2697 e 2729 c.c.) deducendo che la CTR laziale ha fatto scorretta applicazione dei principi giurisprudenziali alla stregua dei quali debbono essere interpretate le norme che regolano il riparto dell’onere della prova in materia di emissione di fatture per operazioni inesistenti. La Agenzia delle Entrate riferisce, al proposito, della esistenza di tre indirizzi giurisprudenziali principali, a nessuno dei quali si sarebbero conformati i Giudici territoriali: il primo che privilegia la natura di documento contabile da attribuirsi alla fattura – gravando sulla PA l’onere della prova del disconoscimento dei fatti documentati -; il secondo che invece fa leva sul principio per cui spetta al contribuente che intenda avvalersi della fattura, ai fini della imputazione di costi inerenti ovvero della detrazione dell’IVA assolta, fornire la prova – ove contestata dalla PA – della corrispondenza alla realtà dei fatti rappresentati nel documento; un terzo filone che riequilibra il riparto dell’onus probandi, ritenendo che la mera apodittica contestazione della fattura da parte della PA non è sufficiente a fare scattare l’onere della prova contraria a carico del contribuente, essendo necessario che la Amministrazione finanziaria formuli una contestazione "vestita" almeno da elementi indiziari che, se pure non idonei ad integrare una prova presuntiva, risultino tuttavia logicamente coerenti con l’assunto della inesistenza delle operazioni documentate dalla fattura.

La ricorrente denuncia, in particolare, la erronea affermazione contenuta in sentenza secondo cui ^per esplicare la loro efficacia le presunzioni semplici devono essere gravi, precisi e concordanti e devono avere il conforto di altri semplici ma necessari elementi presuntivi o probatori che tengono conto delle caratteristiche e delle condizioni reali dell’esercizio della professione, nonchè di dati desunti da indagini contabili, bancarie, o documentali, per cui l’accertamento in esame appare del tutto carente …… l’Amministrazione … deve dimostrare l’effettiva inesistenza delle operazioni stesse e, in altre parole, deve sempre accampare elementi certi che inficiano la contabilità", e rileva che dalle norme indicate in rubrica, come interpretate da questa Corte, emerge al contrario che l’Amministrazione finanziaria non è tenuta a fornire una "prova piena", essendo sufficiente la prova presuntiva della inesistenza delle operazioni fatturate.

Occorre premettere che la fattura che in tema di IVA è documento idoneo a rappresentare un costo dell’impresa, come si evince chiaramente dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21, che ne disciplina il contenuto, prescrivendo tra l’altro l’indicazione dell’oggetto e del corrispettivo di ogni operazione commerciale, sicchè nella ipotesi di fatture che l’Amministrazione ritenga relative ad operazioni inesistenti, non spetta al contribuente provare che l’operazione è effettiva, ma spetta all’amministrazione, che adduce la falsità del documento e quindi l’inesistenza di un maggiore imponibile, provare che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, in realtà non è mai stata posta in essere (cfr.

Corte Cass. 5^ sez. 12.12.2005 n. 27341).

Tale prova è raggiunta se l’amministrazione fornisca validi elementi – alla stregua del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e art. 40, e del D.P.R. 26 ottobre 1972. n. 633, art. 54, comma 2 -, che possono anche assumere la consistenza di attendibili indizi (presunzione semplice), per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni (anche solo parzialmente) fittizie, ovvero che – ai sensi dell’art. 32, comma 1, lett. c), e dell’art. 54, comma 3, dei decreti indicati-dimostrino "in modo certo e diretto" la "inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegatì ovvero la "inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione" (prova che può essere data anche attraverso "i verbali relativi ad ispezioni seguite nei confronti di altri contribuenti, nonchè da altri alti e documenti" in possesso dell’Ufficio). In tal caso passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 19.10.2007 n. 21953;

id. 11.6.2008 n. 15395; id. 7.2.2008 n. 2847). Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma solo per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi dell’art. 2727 c.c. e ss., e art. 2697 c.c., comma 2, (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 23.4.2010 n. 9784).

Con specifico riferimento alla fattispecie in esame, riconducibile alle c.d. "frodi carosello" (caratterizzate dal tallo che la merce acquistata dal contribuente che esercita il diritto alla detrazione IVA proviene in realtà da soggetto diverso da quello interposto o c.d. "fantasma" che ha emesso la Iattura incassando l’IVA ed omettendo poi di versarla all’erario), la giurisprudenza di questa Corte ha stabilito che, una volta fornita dalla Amministrazione finanziaria la prova della interposizione fittizia della società "cartiera o fantasma" nella operazione commerciale effettivamente posta in essere dal cessionario/committente con un diverso soggetto – cedente/prestatore – che non figura nella fatturazione, spetta al contribuente (cessionario/committente) che ha portato in detrazione l’IVA fornire la prova contraria che l’apparente cedente/prestatore non è un mero soggetto (fittiziamente) interposto e che la operazione è stata "realmente" conclusa con esso, non essendo tuttavia sufficiente a tale scopo la regolarità della documentazione contabile esibita e la mera dimostrazione che la merce sia stata effettivamente consegnata o che sia stato effettivamente versato il corrispettivo, "trattandosi di circostanze non concludenti, la prima in quanto insita nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente, e la seconda perchè relativa ad un dato di fatto inidoneo di per sè a dimostrare l’estraneità alla frode" (e in Corte Cass. 5^ sez. 24.7.2009 n. 17377; id. 20.1.2010 n. 867; id.

11.3.2010 n. 5912. Giurisprudenza costante: id. 3.12.2001 n. 15228, id. 6.2.2003 n. 1779, id. 23.12.2005 n. 28695, id. 23.3.2007 n. 7146).

Risulta dunque evidente che la Amministrazione finanziaria che intenda contestare i dati indicati dal contribuente nella dichiarazione può assolvere all’onere probatorio tanto con la prova logica – o indiretta – quanto con la prova storica – o diretta -, nel primo caso dovendo essere individuato il "minimum" della sufficienza probatoria del fatto indiziante allegato a supporto della contestazione della documentazione contabile (e della pretesa tributaria) nei caratteri richiesti dalla "praesumptio hominis" (art. 2727 c.c., e art. 2729 c.c.. comma 1).

La tenuta delle scritture e dei documenti contabili i cui dati vengono utilizzati dal contribuente ed esposti nella dichiarazione fiscale, non onera, pertanto, il contribuente anche alla ulteriore indicazione degli elementi probatori attestanti la effettiva corrispondenza alla realtà dei dati indicati in fattura, trascritti nei registri obbligatori e riportati nella dichiarazione annuale, gravando invece sulla Amministrazione finanziaria – che pretenda una maggiore imposta o che ritenga indebita la eccedenza detraitele o rimborsabile – la relativa prova come emerge in modo inequivoco dal testo delle disposizioni normative per cui "l’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici…" (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d)) e "le false ed inesatte indicazioni possono essere indirettamente desunte…anche sulla base di presunzioni semplici…" (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2).

Appare opportuno fornire alcune precisazioni in ordine al livello della efficacia probatoria richiesto dalle predette norme, atteso che nel nostro ordinamento la prova presuntiva non è collocata su un piano gerarchicamente subordinato rispetto alle altre fonti di prova (cfr. Corte Cass. 3^ sez. 18.4.2007 n. 925; id. 3^ sez. 12.9.2011 n. 18644), sicchè appare certamente censurabile come errore di diritto l’affermazione dei Giudici di merito secondo cui le presunzioni semplici (per assurgere a livello di prova) debbono essere supportate da altri elementi probatori.

Occorre rilevare, in proposito, che nel processo tributario, gli elementi indiziar, concorrono a formare il convincimento del giudice, se confortati da altri elementi di prova. Ove rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 c.c., essi danno luogo a presunzioni semplici (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, e D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54), generalmente ammissibili nel contenzioso tributario, nonostante il divieto di prova testimoniale (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 20.4.2007 n. 9402 – con riferimento alla dichiarazione del terzo acquisita dalla Guardia di finanza nel corso di un’ispezione il cui verbale era stato debitamente notificato al contribuente-).

Le presunzioni semplici costituiscono, pertanto, una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione (cfr. Corte Cass. 3^ sez. 11.5.2007 n. 10847; id. 3^ sez. 13.11.2009 n. 24028; id. 2^ sez. 27.10.2010 n. 21961), atteso che, nel nostro ordinamento, fondato su principio del libero convincimento del giudice, non esiste una gerarchia di efficacia delle prove, per cui i risultati di talune di esse debbano necessariamente prevalere nei confronti di altri dati probatori, essendo rimessa la vantazione delle prove al prudente apprezzamento del giudice. Da ciò consegue che il convincimento dei giudice sulla verità di un fatto può basarsi anche su una sola presunzione, eventualmente in contrasto con altre prove acquisite, se da lui ritenuta di tale precisione e gravità da rendere inattendibili gli altri elementi di giudizio ad esso contrari, alla sola condizione che fornisca del convincimento così attinto una giustificazione adeguata e logicamente non contraddittoria (cfr. Corte Cass. 1^ sez. 26.3.2003 n. 4472; id. 3^ sez. 18.4.2007 n. 9245; id. 3^ sez. 11.9.2007 n. 19088; id. 1^ sez. 1.8.2007 n. 16993; id. 5^ sez. 8.4.2009 n. 8484). con la ulteriore precisazione che non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, cioè che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possano verificarsi secondo regole di esperienza (cfr. Corte Cass. 1^ sez. 1.8.2007 n. 16993; id. 5^ sez. 8.4.2009 n. 8484).

Ne consegue che se il fatto od i fatti indizianti allegati dalla Amministrazione finanziaria, unitariamente considerati, rivestono i caratteri della presunzione semplice in quanto reputati idonei, in relazione ai requisiti di precisione, rilevanza e convergenza, a soddisfare il meccanismo logico di inferenza del fatto ignorato, allora alcun ulteriore dato probatorio occorre ai fini del raggiungimento della prova, non essendo richiesta la acquisizione "a conforto" di ulteriori "elementi presuntivi o probatori" (cfr. motivazione sentenza CTR) desunti dall’esame della documentazione contabile o bancaria del contribuente ("tertium non datur": se gli indizi hanno raggiunto la consistenza di prova presuntiva, non occorre ricercarne altri, nè tanto meno si rende necessaria la ricerca di ulteriori fonti di prova): ed infatti "le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza ed infine scegliere tra gli elementi probatori sottoposti al suo esame quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione" (cfr Corte Cass. sez. lav. 21.10.2003 n. 15737; id. 2^ sez. 16.11.2005 n. 23079; id. sez. lav. 4.6.2004 n. 10669; 3^ scz. 11.5.2007 n. 10847; id. 3^ sez. 13.11.2009 n. 2408;

id. 2^ sez. 27.10.2010 n. 21961).

La critica mossa alla sentenza, astrattamente fondata, è inidonea tuttavia ad inficiare la motivazione che sostiene la decisione, atteso che la CTR laziale – al di là di una evidente confusione nella astratta descrizione dello schema normativo della presunzione contemplato dagli artt. 2727 e 2729 c.c. – ha ritenuto con giudizio in fatto:

a) che la Amministrazione non aveva indicato "alcun elemento valido che giustifichi la sua pretesa tributaria" essendosi l’imitata a richiamare le dichiarazioni rese dai dipendenti della società (delle quali non è riportalo il tenore nè nella sentenza, nè nel ricorso per cassazione) che ex se integravano semplici indizi (privi dei requisiti ex art. 2729 c.c.). b) che la società aveva, di contro, fornito prova dei fatti attcstanti la effettiva esecuzione delle operazioni fatturate.

Ne segue che le erronee affermazioni giuridiche, formulate in astratto dalla CTR, in ordine ai requisiti che debbono assistere la prova presuntiva semplice, possono comportare una mera correzione della motivazione, ma non intaccano la valutazione probatoria, compiuta in concreto, che fonda il "decisum". 4. Con il quarto motivo nella esposizione non è rubricato il terzo motivo la Agenzia ricorrente contesta la falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, (comma 4), atteso che nel processo tributario, come peraltro affermato anche dal Giudice delle Leggi nella sentenza n. 18/2000 il divieto della "prova testimoniale" non postula la inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dai terzi che, rivestendo il carattere di "elementi indiziari", non possono, pertanto, ritenersi illegittimamente acquisite.

Anche questa censura va dichiarata inammissibile in quanto non coglie la "ratio decidendi" della sentenza, ed è comunque infondata.

I Giudici appello, infatti, diversamente dalla opinione della ricorrente, non hanno affatto espunto dalla valutazione del materiale probatorio le dichiarazioni rese dai dipendenti della società e trascritte nel PVC, ma, prescindendo dalla pur rilevata – ma immotivata – illegittima acquisizione delle stesse (verosimilmente tale rilievo contenuto nella sentenza va correlato alle deduzioni contenute nell’atto di appello della ITEON s.p.a. secondo cui l’attività di verifica si sarebbe svolta "illegittimamente in violazione dei principi innovativi costituiti alle garanzie offerte dallo Statuto del contribuente" – cfr. premessa in fatto della motivazione della sentenza -), hanno poi valutato tali dichiarazioni nel merito statuendo che l’Amministrazione aveva offerto a supporto della pretesa tributaria soltanto dette dichiarazioni, e che non poteva pertanto ritenersi assolto l’onere probatorio con la allegazione di meri elementi indiziari, con ciò facendo corretta applicazione della norma processuale indicata in rubrica, avuto riguardo ai principi enunciati in materia da questa Corte secondo cui nel processo tributario le dichiarazioni rese da terzi agli organi della Amministrazione finanziaria (o della Polizia giudiziaria) possono trovare ingresso a carico del contribuente, fermo il divieto di ammissione della prova testimoniale posto dall’art., D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, "con il valore probatorio proprio degli elementi indiziali, i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisionè (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 25.3.2002 n. 4269 – che estende tale potere anche al contribuente in virtù del principio di parità delle armi tra le parti processuali e della effettività del diritto di difesa ex art. 111 Cost. – Corte Cass. 5^ sez. 15.11.2000 n. 14774; id. 23.10.2001 n. 13005; id 25.1.2002 n. 903; id. 8.8.2003 n. 11994; id. 20.4.2007 n. 9402; id. 17.2.2010 n. 3724 – che estende detta facoltà anche alla produzione di "atti notori". aventi valore probatorio indiziario "quali documenti facenti fede solo riguardo alla data, all’esistenza ed alla provenienza delle dichiarazioni in essi scritte, ma non quanto all’attendibilità delle dichiarazioni medesime, da ritenersi soggette, allo stesso modo di qualsiasi altra scrittura privata, al vaglio del giudicante che deve tener conto di ogni elemento da cui possa desumersi la maggiore o minore veridicità delle stessè-. Vedi Corte cost. sent. 21.1.2000 n. 18).

5. La sentenza è censurata con il quinto motivo sotto il profilo del vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), avendo i Giudici di merito ritenuto apoditticamente la inconsistenza probatoria degli elementi indiziari emergenti dal PVC senza tuttavia esplicitare l’iter logico del ragionamento posto a fondamento della decisione. La corretta vantazione di tali elementi singolarmente e complessivamente esaminati avrebbe determinato, secondo la ricorrente, un diverso esito del giudizio atteso che da tali elementi emergeva anche la inconsistenza delle prove fornite dal contribuente che invece la CTR ha ritento prevalenti.

Il motivo è fondato.

Il vizio di omessa od insufficiente motivazione implica un obiettivo difetto nello sviluppo logico della argomentazione posta a fondamento della decisione, difetto che – rilevando come "errore sul fatto" – trova genesi nella omessa od inesatta rilevazione e valutazione delle prove acquisite al giudizio, con inevitabili riflessi sulla esatta comprensione e ricostruzione della fattispecie concreta da sussumere nello schema normativo astratto dal quale viene desunta la "regula iuris" che disciplina il rapporto controverso.

La critica per vizio motivazionale non può quindi risolversi nella mera contrapposizione alla valutazione compiuta dal Giudice di merito di una diversa prospettazione soggettiva della rilevanza probatoria delle risultanze istruttorie – essendo insindacabile l’attività volta alla individuazione delle fonti di prova rilevanti, alla selezione tra gli elementi probatori di quelli ritenuti maggiormente attendibili ed al riconoscimento della idoneità dimostrativa degli stessi, trattandosi di scelte che sono espressione del principio del libero convincimento e dunque riservate in via esclusiva all’organo giudicante: art. 116 c.p.c., ma deve individuare specificamente le carenze nello svolgimento del percorso logico che sostiene il "decisum" e che, salva la ipotesi limite di inconcludenza logica del discorso tale da rendere incomprensibili le ragioni giustificative della decisione, possono consistere oltre che in un omesso od inesatto apprezzamento della fonte di prova (ad es. del contenuto di un documento) anche nella mancata rilevazione della incompatibilità tra fonti di prova e dunque nella mancanza di un adeguato giudizio di prevalenza, in ogni caso sempre che tali omissioni od inesattezze rivestano carattere decisivo, nel senso che senza il vizio logico la decisione sarebbe stata – con certezza – differente (cfr. Corte Cass. 3^ sez. 11.5.2007 n. 10847; id. 3^ sez. 2.4.2009 n. 8023; id. 2^ sez. 27.10.1010 n. 21961).

Nella specie la Amministrazione finanziaria ha indicato nel ricorso per cassazione una notevole serie di elementi indiziari – non riducibili alle sole dichiarazioni dei terzi raccolte a verbale dalla Guardia di Finanza – tratti dal PVC allegato all’avviso (trattasi di circostanze di fatto dirette a comprovare la attività fittizia delle società Eco Cogest e Master Qualità che avevano emesso le fatture utilizzate da ITEON s.p.a.: in particolare dalle indagini svolte risultava che entrambe le società avevano sede legale inesistente;

dai cinti correnti intestati a tali società non risultavano pagamenti a favore di dipendenti o collaboratori; presso la F.co Cogest non era stata rinvenuta documentazione contabile, ne a supporto delle fatture emesse: l’amministratore unico della Eco Congest, società che forniva prestazioni di consulenza in materia di smaltimenti rifiuti era privo delle necessario competenze tecnico – professionali; la predetta società operava nei locali e con le strutture organizzative di altra società NUOVA ESA come riferito anche dai clienti sentiti dai verbalizzanti; anche per la società Master Quality non risultavano pagamenti in favore dei dipendenti o collaboratori; detta società svolgeva consulenza in materia di gare di appalto in favore di Aziende sanitarie, ma da riscontri incrociati era emerso che i progetti e la documentazione da presentare in gara era predisposta da ingegneri delle società del Gruppo ITEON o da professionisti esterni, come riferito anche dai dipendenti della società ai verbalizzanti; i contralti relativi a dette consulenze erano privi di data certa) che non risultano presi in considerazione dai Giudici di merito i quali hanno ritenuto infondata la pretesa tributaria basandosi esclusivamente sulle dichiarazioni rese da terzi, difettando, pertanto, nella motivazione della sentenza la esplicitazione delle ragioni per cui – con affermazione del tutto apodittica – vengono definiti come "fragili rilievi" gli elementi indiziari indicati.

Se infatti la individuazione della fonti di prova da assumere a base della decisione è, come visto, riservata al Giudice, questi deve tuttavia esercitare tale discrezionalità in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, dovendo evidenziare nella motivazione della sentenza il procedimento che deve necessariamente seguirsi in tema di prova per presunzioni e che si articola in due momenti valutativi: a) in primo luogo, occorre che il giudice valuti in maniera analitica ognuno degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e, invece, conservare quelli che, presi singolarmente, rivestano i caratteri della precisione e della gravità, ossia presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; b) successivamente, egli deve procedere a una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati e accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni indizi, con la conseguenza che deve ritenersi "censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento" (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 18.9.2003 n. 13819; id. 1^ sez. 13.10.2005 n. 19894; id. 5^ sez. 15.1.2007 n. 722; id. SU 11.1.2008 n. 584).

6. Con il sesto motivo la Agenzia censura, ritenendolo viziato da violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, del D.P.R. n. 600/3, artt. 32 e 33, e del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 51 e 52, il capo della sentenza di appello nella parte in cui i Giudici di appello hanno riconosciuto fondato il motivo di gravame con il quale si deduceva la illegittimità dell’avviso di accertamento per omessa osservanza dei contraddicono con la società contribuente nel corso delle verifiche eseguite presso la Eco Congest e la Master Qualità.

Il motivo è fondato.

La statuizione con la quale il Giudice di appello accoglie il motivo di gravame di ITBON s.p.a., previo richiamo ai principi enunciati nella ordinanza della Corte costituzionale in data 16.7.2009 n. 244, rilevando che mi l’omessa attivazione del contraddittorio, in assenza di espressa motivazione della urgenza, può determinare la nullità dell’avviso di accertamento", induce incertezza in ordine alla esatta individuazione del contenuto dispositivo, non apparendo del tutto chiaro se il motivo di gravame della ITEON s.p.a. sia stato accolto in relazione alla violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 2, (difetto di previa informativa al contribuente delle ragioni che giustificano la verifica con avviso allo stesso contribuente della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa avanti le Commissioni tributarie e degli altri diritti ed obblighi connessi alla verifica), ovvero in relazione alla violazione del comma 7, del medesimo art. 12, per omessa motivazione in ordine alla urgenza del provvedere (secondo cui l’avviso di accertamento può essere emesso solo dopo il decorso di giorni sessanta dalla consegna del PVC al contribuente, salvo casi di particolare e motivata urgenza) disposizione legislativa sulla quale si è pronunciato il Giudice delle leggi con l’ordinanza sopra richiamata.

La soluzione del dubbio interpretativo deve essere risolta a favore della prima delle due ipotesi, deponendo in tal senso il breve riferimento – contenuto in sentenza nella parte relativa allo "svolgimento del processo" – al rilievo mosso all’avviso di accertamento dal contribuente in quanto "redatto in Venezia in assenza del contribuente e quindi non consentendo osservazioni e rilievi" integrato dalla circostanza in fatto, specificata nella esposizione del motivo di ricorso in esame, che la verifica fiscale si era svolta, in Venezia, presso i locali delle società Eco Congest e Master Quality senza la presenza del rappresentate della società ITEON. Tanto premesso, la pronuncia della CTR laziale incorre in errore di diritto laddove estende le garanzie istruttorie previste dal la L. n. 212 del 2000, art. 12, anche a soggetto (ITEON s.p.a.) da ritenersi terzo rispetto al contribuente destinatario della verifica fiscale (le due società che hanno emesso le fatture contestate). La norma richiamata trova, infatti, chiara collocazione esclusivamente nell’ambito dei rapporti tra contribuente ed Amministrazione finanziaria, che devono svolgersi nel rispetto del principio di cooperazione, risultando pertanto coerente l’invito alla partecipazione alla fase della acquisizione documentale rivolto al solo soggetto che ha la disponibilità dei documenti ritenuti rilevanti ai fini della verifica fiscale.

Nessun pregiudizio al diritto di difesa subisce, peraltro, il terzo che dai documenti acquisiti nel corso della verifica risulti avere intrattenuto rapporti commerciali con il contribuente verificato, tenuto conto da un lato che l’utilizzo di dati, documenti ed informative acquisite presso terzi ai fini dell’attività di accertamento di ufficio o in rettifica è pienamente legittimo in quanto espressamente contemplata dal D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 33, e dal D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 51 e 52; dall’altro che il contribuente, nei cui confronti l’Amministrazione finanziaria emetta avvisi di accertamento fondati in tutto od in parte sulla documentazione od informative acquisite presso terzi, è posto comunque in grado di esercitare in modo pieno e senza alcun limite il proprio diritto di difesa sia nella fase extragiudiziale con a richiesta di attivazione della autotutela, sia nella fase giudiziale con la opposizione all’atto impositivo avanti le Commissioni tributarie.

Non essendosi la CTR laziale attenuta agli indicati principi di diritto la sentenza deve essere cassata con rinvio.

7. La società resistente ha eccepito nel controricorso la violazione da parte dei giudici di merito del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 33, conv. in L. 24 novembre 2003, n. 326, la violazione della L. n. 350/350, art. 2, comma 10, e dell’art. 53 TUIR, avendo omesso le Commissioni tributarie di rilevare la nullità dell’avviso impugnato in quanto l’accertamento tributario rimaneva precluso dalla adesione della società al concordato preventivo.

La "eccezione" di omessa pronuncia rivolta alla sentenza di appello e palesemente inammissibile, trattandosi di vizio del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), che avrebbe dovuto costituire oggetto di impugnazione mediante proposizione di specifico motivo di ricorso incidentale.

8. In conclusione il ricorso deve essere accolto, quanto al quinto e sesto motivo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio ad altra sezione della medesima Commissione tributaria della regione Lazio perchè provveda ad emendare i vizi logici riscontati, attendendosi ai principi di diritto enunciati al precedente paragr. 6 della motivazione, nonchè a liquidare le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

– accoglie il ricorso, quanto al quinto e sesto motivo, inammissibili gli altri motivi proposti con il ricorso principale nonchè il motivo proposto con il controricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della medesima Commissione tributaria della regione Lazio perchè provveda ad emendare i vizi logici riscontati, attendendosi ai principi di diritto enunciati al precedente paragr. 6 della motivazione, nonchè a liquidare le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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