Cass. civ. Sez. VI – 1, Sent., 07-06-2012, n. 9254 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

che:

1. La Corte di appello di Genova ha accolto parzialmente la domanda di equa riparazione proposta da B.V. in relazione alla durata eccessiva della procedura fallimentare della Capital Italia s.r.l., dichiarata il (OMISSIS) con sentenza del Tribunale di Lucca e ancora in corso alla data di presentazione della domanda di equa riparazione, procedura fallimentare di cui si era dichiarato creditore (con istanza di ammissione al passivo del gennaio 1992).

2. La Corte genovese ha rilevato che la durata fisiologica della procedura in questione, in considerazione dell’esistenza di giudizi civili coinvolgenti come parte la curatela (e attestati nella relazione del curatore del 30 luglio 2008), doveva ritenersi di dodici anni rappresentanti il tempo ordinariamente necessario per l’espletamento delle procedure fallimentari (tre anni) cui andava aggiunto il tempo necessario per lo svolgimento di un giudizio di cognizione (4 anni per il primo grado, 3 anni per l’appello e 2 anni per il giudizio di legittimità). Ha quindi ritenuto che la durata eccessiva della procedura doveva stimarsi quanto alla posizione del ricorrente in cinque anni e in applicazione di un parametro annuo di 1.000,00 Euro ha liquidato la complessiva somma di 5.000,00 Euro al cui pagamento con interessi legali ha condannato il Ministero della Giustizia.

3. B.V. propone ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte di appello di Genova menzionato in epigrafe deducendo:

2.1 violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. e dei parametri fissati dalla C.E.D.U. in materia di ragionevole durata, violazione della L. n. 89 del 2001. La parte ricorrente rileva che in coerenza con l’orientamento della C.E.D.U. e della S.C. la durata ragionevole di un procedimento di carattere civile è di tre anni in primo grado, di due anni per la fase di appello e di un anno per quella di legittimità;

2.2 violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. e dei parametri fissati dalla C.E.D.U. in materia di ragionevole durata, violazione della L. n. 89 del 2001. La parte ricorrente rileva che la Corte di appello di Genova non ha tenuto conto che il giudizio di cassazione relativo all’opposizione allo stato passivo era stato abbandonato;

2.3 violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. e dei parametri fissati dalla C.E.D.U. in materia di ragionevole durata, violazione della L. n. 89 del 2001. A giudizio della parte ricorrente non sono stati rispettati gli orientamenti della C.E.D.U. in materia di durata ragionevole della procedura fallimentare stimata in tre anni anzichè un anno;

2.4 violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. e dei parametri fissati dalla C.E.D.U. in materia di ragionevole durata, violazione dell’art. 2697 c.c. e della L. n. 89 del 2001. A giudizio della parte ricorrente chi assume che una procedura fallimentare si sia protratta rispetto alla durata considerata ragionevole ha l’onere di fornire la prova obiettiva documentale dell’instaurazione di procedure che abbiano ritardato la definizione della procedura fallimentare collegata;

2.5 violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. e dei parametri fissati dalla C.E.D.U. in materia di ragionevole durata, violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001. Secondo la parte ricorrente nella valutazione della durata ragionevole del procedimento, ai sensi della L. n. 89 del 2001, si deve considerare la data iniziale di procedure collegate a partire dalla stessa data iniziale della procedura fallimentare mentre non dove essere considerata la fase asseritamente svoltasi davanti alla Corte di Cassazione non iscritta a ruolo o abbandonata;

2.6 omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio e cioè la determinazione della decorrenza iniziale delle procedure collegate – nella ipotesi che esse vengano considerate nel computo complessivo della durata del procedimento fallimentare – che non va aggiunta al periodo di durata della procedura fallimentare ma compresa in essa;

2.7 (art. 360 c.p.c., n. 3) violazione del criterio della posta in gioco come previsto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di indennizzo. La parte ricorrente rileva che la Corte non ha fatto riferimento, ai fini della liquidazione, alla vicenda della procedura fallimentare in questione, conseguente a un procedimento penale per truffa e altri reati a carico di M.G. e altri imputati – fra cui il legale rapp.te della Capital Italia, E. Ma. -, e alla ridottissima quota liquidata dalla curatela pari all’1.93% del capitale investito. Ritiene che la Corte di appello abbia violato il citato criterio della posta in gioco che avrebbe dovuto indurre il giudice del merito a commisurare l’indennizzo con riferimento alla fascia alta della forbice tra 1.000,00 e 1.500,00 Euro in considerazione dell’avvenuta perdita del risparmio investito e della protrazione della frustrazione morale derivante dal mancato recupero del credito e dalla contemporanea impunità degli artefici del fallimento per un cosi lungo periodo di tempo.

2.8 omessa motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) sul fatto controverso e decisivo dell’applicazione, richiesta nel ricorso introduttivo del giudizio di equa riparazione, del citato criterio della c.d. posta in gioco.

2.9 insufficiente e illogica motivazione relativamente alla aggiunta, operata da parte della Corte di merito, alla normale durata per la definizione di un procedimento fallimentare, della presunta durata per la definizione del contenzioso originato dalla stessa procedura concorsuale, senza alcuna valutazione del concreto svolgimento delle procedure.

2.10 violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione alla statuizione sulla liquidazione delle spese del giudizio per violazione della tariffa professionale di cui al D.M. 8 aprile 2004, n. 127 sia relativamente alle spese che ai diritti e agli onorari.

Secondo il ricorrente è stato altresì violato il principio fissato dalla S.C. secondo cui il giudice deve dare idonea motivazione in relazione alle voci indicate nella notula ritualmente depositata dalla parte;

2.11 omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. La parte ricorrente lamenta la omessa motivazione in merito alle ragioni della riduzione della parcella prodotta in giudizio.

3. Si difende con controricorso il Ministero.

Motivi della decisione

CHE:

4. preliminarmente, non si ravvisano le condizioni per la riunione dei ricorsi proposti avverso decisioni diverse, in quanto le pretese delle parti, pur traendo origine dalla durata, ritenuta eccessiva, della stessa procedura fallimentare, presentano elementi di differenziazione per ciò che concerne la data della domanda di insinuazione al passivo e la conseguente durata del processo presupposto al quale ciascuna di esse ha partecipato, talora anche con diversa posizione e assistenza defensionale;

5. con i primi sei motivi si censura l’impugnato decreto, sotto il profilo della violazione di legge e del difetto di motivazione, nella parte in cui ha ritenuto ragionevole una durata della procedura de qua di dodici anni;

6. la censura è fondata, nei limiti di seguito precisati;

7. in tema di ragionevole durata del procedimento fallimentare e tenendo conto della sua peculiarità, il termine è stato ritenuto elevabile fino a sette anni allorquando il procedimento si presenti particolarmente complesso: ipotesi, questa, che è ravvisabile in presenza di un numero particolarmente elevato dei creditori, di una particolare natura o situazione giuridica dei beni da liquidare, di proliferazione di giudizi connessi nella procedura ma autonomi (e quindi a loro volta di durata vincolata alla complessità del caso), di pluralità di procedure concorsuali indipendenti;

8. sebbene la procedura in questione – come già riconosciuto da questa Corte in fattispecie identica (Sez. 1, 14 novembre 2011, n. 23831) – si presenti senz’altro di particolare complessità, non è conforme al richiamato principio il decreto impugnato che ha ritenuto di poter individuare un termine di durata ragionevole superiore ai setti anni;

9. l’accoglimento degli esaminati motivi e la necessità di rideterminare, insieme al periodo di irragionevole durata, l’ammontare dell’indennizzo e di regolare le spese, comporta l’assorbimento degli ulteriori motivi;

10. il ricorso va dunque accolto nei limiti di cui in motivazione;

11. non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto e la causa può quindi essere decisa nel merito;

12. va fatta applicazione della giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1^, 14 ottobre 2009, n. 21840), a mente della quale l’importo dell’indennizzo può essere di Euro 750,00 per anno per i primi tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole, in considerazione del limitato patema d’animo che consegue all’iniziale modesto sforamento, mentre solo per l’ulteriore periodo deve essere richiamato il parametro di Euro 1.000,00 per ciascun anno di ritardo;

13. pertanto, il Ministero della giustizia deve essere condannato al pagamento di Euro 9.250,00 a titolo di equo indennizzo per il periodo di dieci anni di irragionevole durata, quale risulta sottraendo dalla durata complessiva di anni diciassette quella, da ritenersi ragionevole, di anni sette;

14. su tale somma sono dovuti gli interessi legali dalla data della domanda, in conformità ai parametri ormai consolidati ai quali questa Corte si attiene nell’operare siffatte liquidazioni;

15. le spese di entrambi i gradi – liquidate come da dispositivo – seguono la soccombenza, ravvisandosi giustificati motivi per la compensazione della metà delle spese del giudizio di cassazione, essendo il ricorso accolto in parte;

16. va disposta la distrazione in favore del difensore che ne ha fatto richiesta.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della giustizia a corrispondere a B.V. la somma di Euro 9.250,00, con interessi legali a decorrere dalla data della domanda, nonchè al pagamento delle spese processuali, liquidate, quanto al giudizio di merito, in complessivi Euro 1.140,00 (di cui Euro 490,00 per onorari ed Euro 600,00 per diritti), e, quanto al giudizio di legittimità, previa compensazione della metà, nell’importo, ridotto per effetto della compensazione, di Euro 482,50 (di cui Euro 50,00 per esborsi), oltre, in ambo i casi, alle spese generali e agli accessori di legge, con distrazione in favore del difensore antistatario.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2012

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