Cass. civ. Sez. I, Sent., 07-06-2012, n. 9253 Stato d’insolvenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente M.V. impugna la sentenza 5.3.2010, n. 57/2010 della Corte d’Appello di Potenza che, respingendo il proprio appello avverso la sentenza del Tribunale di Potenza del 2.8.2007, confermò la pronuncia dichiarativa di fallimento emessa a proprio carico dal medesimo tribunale il 29.4.2005 su istanza, tra gli altri, dei creditori intimati nel presente giudizio, altri essendo rimasti contumaci e sulle conclusioni volte al rigetto dell’appello assunte dal solo creditore costituito in appello D.G.G..

Con l’appello, M. aveva chiesto che, in riforma della sentenza resa dal tribunale ai sensi della L. Fall., art. 18 (nel testo anteriore alla riforma del D.Lgs. n. 5 del 2006), fosse accertata l’insussistenza dei presupposti del proprio fallimento, così revocandosi quello dichiarato. L’appellante invocò l’accertamento della mancanza dello stato di insolvenza, avendo continuato l’attività d’impresa nonostante il sequestro conservativo subito sui propri beni e per un debito poi escluso giudizialmente, estinto passività anche in fase prefallimentare, mantenuto un’eccedenza dell’attivo sul passivo, ininfluenti essendo le risultanze dello stato passivo fallimentare. L’unico creditore costituito, D. G., eccepì la tardività dell’appello, oltre che l’inammissibilità dell’impugnazione per difetto di specificità dei motivi di gravame e, nel merito, l’infondatezza delle censure. La corte dichiarò la tempestività e la specificità dell’appello, notificato ad una serie di creditori dichiarati contumaci, l’inammissibilità dell’impugnazione ove notificata a creditori ammessi allo stato passivo e non anche, decisivamente, ai soli istanti originati per la dichiarazione di fallimento ed infine l’infondatezza del gravame.

Ritenne la corte che la natura inquisitoria ed il carattere officioso del giudizio di opposizione alla dichiarazione di fallimento abilitavano il giudice ad attingere la conoscenza di profili di fatto rilevanti per la decisione altresì dal fascicolo fallimentare, nella specie ritualmente acquisito e contemplante uno stato passivo per circa 440.000,00 Euro, senza specifica contestazione del fallito.

Quanto all’elemento oggettivo, la sua ricorrenza era attestata secondo i termini irreversibili di cui alla L. Fall., art. 5, a nulla rilevando l’esistenza di un attivo eccedente il passivo, tanto più che pendevano a carico di M. procedure esecutive immobiliari fin dal 2001 ed il debitore non appariva in grado di adempiere obbligazioni da tempo scadute verso il concessionario ed altri creditori, risolvendosi all’opposto i pagamenti preferenziali verso i creditori istanti per il fallimento in atti sintomatici dell’insolvenza. Aggiunse la corte le circostanze acclarate della cessazione dell’attività edile ed il licenziamento dei dipendenti, con ripercussioni sulla vendita degli immobili costruiti anche per via del blocco dei beni, causa irrilevante ai fini dello scrutinio della L. Fall., art. 5 nonostante il successivo diniego giudiziale dell’esistenza del diritto a cautela del quale il sequestro era stato ottenuto.

Il ricorso è affidato a due motivi, con memoria.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e contraddittorietà illogicità e insufficienza della motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, contestandosi che la sentenza impugnata abbia considerato, contrariamente alla elencazione molteplice dell’appellante, un solo motivo di appello e non invece quattro. Tale reductio ad unum avrebbe pregiudicato una valutazione unitaria di circostanze il cui apprezzamento frammentato, per converso, solo consentì alla corte di confermare la statuizione di primo grado.

Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione ancora della L. Fall., art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e contraddittorietà illogicità della motivazione e falsità del giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, disconoscendosi che l’inadempimento protratto verso il concessionario ed il pagamento di alcuni creditori, in pendenza di un’esecuzione immobiliare, siano indizianti dell’insolvenza, considerando poi l’impedimento iussu iudids dell’esercizio dell’attività d’impresa, gravata da un sequestro, quale causa di esclusione dell’insolvenza stessa.

1. Il primo motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

Negando il ricorrente di aver interposto, avverso la sentenza di primo grado, un solo motivo e così censurando la sentenza d’appello per non aver essa ritenuto il gravame articolato su quattro motivi, la conseguente doglianza refluisce in un vizio di omessa pronuncia, non puntualmente denunziato indicando il corrispondente vizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Per questa parte il ricorso stesso è dunque inammissibile, dovendosi ribadire l’indirizzo per cui "La decisione del giudice di secondo grado che non esamini e non decida un motivo di censura della sentenza del giudice di primo grado è impugnabile per cassazione non già per omessa o insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia e neppure per motivazione "per relationem" resa in modo difforme da quello consentito bensì per omessa pronuncia su un motivo di gravame. Ne consegue, quindi, che, se il vizio è denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 o n. 5 anzichè dell’art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 112 c.p.c., il ricorso si rivela inammissibile.

(Cass. 12952/2007; 25825/2009; 26598/2009).

2. In ogni caso, qualificando il motivo ove esso censura le plurime doglianze dell’atto d’appello, se ne osserva che esso non coglie la ratio decidendi della pronuncia impugnata, la quale non manca di ascrivere a ciascuna delle circostanze oppositive sollevate in appello un’autonoma valenza apprezzabile già di per sè quale sintomatica dello stato di insolvenza (il profilo soggettivo venne abbandonato dallo stesso ricorrente), senza che la parte a sua volta abbia contrapposto ad ognuna altre circostanze, di segno storico o presuntivo opposto, nè a tal fine bastando il richiamo ad una valutazione contemporanea di tutte, quale invece effettuata dalla corte e della quale, ancora inammissibilmente, si chiede un diverso apprezzamento. Per questa parte il motivo è anche contraddittorio ove da un lato censura la sentenza in quanto non avrebbe considerato la pluralità dei motivi d’appello, ricondotti ad una contestata unità valutativa, mentre dall’altro avversa la corte d’appello proprio per non aver operato una considerazione di ciascun motivo di censura "anche in relazione ai restanti".

3. Inoltre, sotto il profilo del vizio di motivazione, il motivo non è ammissibile in quanto non indica con sufficiente chiarezza il rapporto di causalità tra il fatto controverso e decisivo per il giudizio asseritamente trascurato (e non indicato con alcuna puntualità) e la soluzione giuridica accolta per risolvere la controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa decisione (Cass. 21249/2006). Per quel che concerne il profilo della violazione di legge, e ricordato che la fattispecie risulta interamente regolata dalla disciplina anteriore alla riforma del D.Lgs. n. 5 del 2006 quanto alla L. Fall., artt. 6, 15 e 18, non ha trovato alcun contrasto diretto il principio, correttamente affermato dalla pronuncia impugnata e presupposto per la valorizzazione di una pluralità di indici di insolvenza desumibili direttamente dagli atti della procedura, per cui "nel procedimento di opposizione alla dichiarazione di fallimento, il carattere officioso ed inquisitorio del giudizio abilita il giudice ad attingere la conoscenza di profili di fatto rilevanti per la decisione dagli atti del fascicolo fallimentare, indipendentemente dalla costituzione in giudizio del curatore e dalle sue produzioni documentali." (Cass. 4476/2003). A sua volta, e condivisibilmente, la sentenza impugnata si è attenuta alla regola per cui "la sussistenza dello stato di insolvenza può essere correttamente desunta anche dalle risultanze non contestate dello stato passivo, oltre che in genere dagli atti del fascicolo fallimentare." (Cass. 19141/2006; 9760/2011).

4. Quanto al secondo motivo se ne rileva in parte l’inammissibilità ed in parte l’infondatezza. Sotto il primo profilo, una più esatta individuazione della ratio decidendi avrebbe consentito di cogliere come essenziale la considerazione di oggettiva crisi finanziaria in capo al debitore, rinveniente da una constatazione oggettiva di illiquidità, incapacità a fronteggiare in modo ordinato e generale i propri creditori, paralisi dell’attività aziendale, blocco rilevante – ai fini della gestione caratteristica – dei beni segregati in una procedura esecutiva, dismissione della forza lavoro, pagamenti parziali e preferenziali di alcuni creditori. Tali fattori sono stati ritenuti con motivazione logica e coerente tutti indizianti in sè ed anche in una lettura contestuale dell’elemento oggettivo di cui alla L. Fall., art. 5, mirando allora e per questa parte il ricorrente solo ad un’inammissibile sostituzione di decisione a sè favorevole, estranea alle prerogative del giudice di legittimità (Cass. 2717/2011; 2357/2004). Quanto al vizio di violazione di legge, il risultato è nel senso di una netta infondatezza, in quanto il ricorrente, invocando la valutazione della misura cautelare relativa alle "volumetrie realizzate" dal costruttore-imprenditore come causa di impedimento all’ordinaria attività determinata iussu iudicis, perviene ad infrangere il principio, in realtà ben governato in sentenza, della tendenziale indifferenza causale dell’insolvenza concorsuale di cui alla L. Fall., art. 5 e dunque dell’ineludibile considerazione unitaria di tutti i fattori produttivi e patrimoniali al fine di valutare la prognosi di incapacità ad adempiere ivi tratteggiata, essendo emersi invero crediti per circa 440.000,00 Euro dallo stato passivo e senza che gli inadempimenti già all’epoca della dichiarazione riguardassero semmai – com’era onere del debitore far tempestivamente rilevare – solo la controparte della lite giudiziaria ingiustamente subita. Nè è ammissibile un’interpretazione della continuità dei pagamenti da circoscrivere alle sole risorse aziendali o comunque patrimoniali che non siano segregate per via di provvedimenti giudiziali e perciò tecnicamente libere di autodeterminazione da parte dell’imprenditore, dovendo invero il giudizio di insolvenza essere generale e, tanto più in caso di imprenditore individuale, guardare alla complessità dell’esposizione debitoria (Cass. s.u.

115/2001), a prescindere dalla natura giuridica dei debiti (accettabili anche da giudici diversi da quello ordinario per Cass. s.u. 1997/2003) ed apprezzando "quanto all’attivo che i cespiti vanno considerati non solo per il loro valore contabile o di mercato, ma anche in rapporto all’attitudine ad essere adoperati per estinguere tempestivamente i debiti, senza compromissione – di regola – dell’operatività dell’impresa, salvo che l’eventuale fase della liquidazione in cui la stessa si trovi renda compatibile anche il pronto realità dei beni strumentali e dell’avviamento." (Cass. 5215/2008). Già questa S.C. ha invero ed inoltre statuito, con proposizioni cui si intende dare continuità, che "Ai fini della dichiarazione di fallimento, lo stato di insolvenza deve essere valutato secondo dati oggettivi, prescindendo da qualsiasi indagine in ordine alle relative cause; pertanto, l’interruzione brutale del credito bancario, se anche può essere causa di risarcimento del danno ove in concreto assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari, non consente, tuttavia, di ritenere insussistente lo stato di insolvenza se da tale condotta, ancorchè illegittima, sia derivato uno stato di impotenza economica dell’imprenditore, mentre a diversa conclusione potrebbe giungersi soltanto nel caso in cui l’imprenditore fosse inadempiente esclusivamente nei confronti degli istituti che avessero illegittimamente esercitato il recesso dal rapporto di apertura di credito." (Cass. 15769/2004).

4. Il ricorso va dunque respinto. Quanto al regolamento delle spese, non se ne dispone la liquidazione, essendo mancata attività difensiva da parte degli intimati.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2012

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