Cass. civ. Sez. I, Sent., 07-06-2012, n. 9251 Revocatoria fallimentare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. – Con sentenza del 23 agosto 2006, la Corte d’Appello di Brescia ha rigettato l’appello proposto dalla M.P.G. S.p.a. avverso la sentenza emessa il 3 settembre 2003, con cui il Tribunale di Bergamo aveva accolto l’azione revocatoria fallimentare proposta dal curatore del fallimento di A.M., in qualità di titolare della ditta Acro Macro. nei confronti della società appellante, dichiarando l’inefficacia di due pagamenti di debiti scaduti ed esigibili eseguiti dal fallito nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento.

Premesso che il giudice di primo grado aveva ritenuto raggiunta la prova della conoscenza dello stato d’insolvenza da parte della creditrice in virtù di una proposta di rientro parziale e dilazionato dei crediti avanzata dal fallito a mezzo di un avvocato, la Corte ha ritenuto che la conoscenza di tale proposta, contestata dall’appellante, emergesse dalla deposizione del predetto legale, il quale aveva riferito di averla formulata non già per lettera, ma in via diretta, nonchè da una lettera del fallito, anteriore all’effettuazione dei pagamenti, nella quale si faceva riferimento ad accordi intercorsi tra le parti. Tali accordi non avevano dato l’esito sperato, in quanto la società appellante aveva preteso il pagamento dell’intero capitale, maggiorato degl’interessi dovuti per la rateazione, in tal modo dimostrando di essere a conoscenza delle difficoltà tutt’altro che transitorie nelle quali si dibatteva il fallito.

2. – Avverso la predetta sentenza la M.P.G. propone ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. Il curatore del fallimento resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo d’impugnazione, la M.P.G. denuncia l’omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che, ai fini dell’accertamento della conoscenza dello stato d’insolvenza, la Corte d’Appello ha preso in considerazione soltanto le contestazioni sollevate da essa ricorrente in ordine alla valutazione della proposta di concordato stragiu- diziale formulata dal debitore, omettendo di esaminare quelle relative all’efficacia indiziaria dei rapporti commerciali intercorsi tra le parti e della lettera speditale dal fallito.

1.1. – Il motivo è infondato.

In tema di azione revocatoria fallimentare, questa Corte ha affermato che la conoscenza dello stato d’insolvenza dell’imprenditore da parte del terzo contraente, necessaria ai fini della dichiarazione d’inefficacia degli atti solutori posti in essere dal fallito nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, dev’essere effettiva e non meramente potenziale, assumendo rilievo non già la semplice conoscibilità oggettiva ed astratta delle condizioni economiche dell’imprenditore, bensì la concreta situazione psicologica del terzo al momento dell’atto impugnato, la quale può essere tuttavia desunta anche da semplici indizi, aventi l’efficacia probatoria delle presunzioni semplici ed in quanto tali soggetti a concreta valutazione da parte del giudice di merito, da compiersi in applicazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ. (cfr. tra le più recenti, Cass., Sez. 1, 26 gennaio 2011. n. 1834; 4 marzo 2010. n. 5256; 4 maggio 2009, n. 10209).

Nell’ambito di tale apprezzamento, la sentenza impugnata ha certamente dedicato prevalente attenzione alla proposta di definizione dell’esposizione debitoria del fallito da quest’ultimo avanzata tramite il proprio legale, la cui conoscenza e valenza indiziaria costituiva oggetto principale delle censure sollevate con l’atto di appello; la portata di tale indizio è stata tuttavia esaminata alla luce del comportamento complessivamente tenuto dalle parti e della successiva lettera del debitore, dalla quale la Corte di merito ha desunto sia l’avvenuta ricezione della proposta da parte della ricorrente che la formulazione di una controproposta; è stata anzi proprio la gravosità di quest’ultima, ritenuta sintomatica della difficoltà di realizzazione del credito, a consentire la formulazione del giudizio conclusivo in ordine alla consapevolezza da parte della creditrice dello stato di decozione in cui versava il debitore.

La prevalenza accordata a taluni indizi rispetto ad altri, nell’ambito della valutazione globale compiuta ai fini della decisione, non è d’altronde sufficiente ad inficiare la motivazione della sentenza impugnata, avuto riguardo alla linearità dell’iter argomentativo seguito dalla Corte territoriale, non scalfito dalle critiche della ricorrente, la quale si limita a ribadire il proprio convincimento, senza essere in grado di evidenziare vizi logici del ragionamento presuntivo. L’individuazione dei fatti da porre a fondamento del processo logico e la valutazione della loro rispondenza ai requisiti di legge costituisce infatti un apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito, e censurabile in sede di legittimità esclusivamente sotto il profilo della congruità logico-giuridica della motivazione, ai fini della quale la mancata valutazione di uno o più elementi indiziari non può assumere rilievo di per sè, quale omesso esame di un punto decisivo, ma solo in quanto il ricorrente deduca e dimostri l’illogicità e contraddittorictà del ragionamento decisorio (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. 2, 27 ottobre 2010. n. 21961: Cass., Sez. 3, 11 maggio 2007. n. 3 0847; Cass., Sez. lav., 21 ottobre 2003, n. 15737).

2. – E’ invece inammissibile il secondo motivo, con cui la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 67 sostenendo che la proposta di concordato formulata dal debitore non era idonea a far presumere la conoscenza dello stato d’insolvenza, non prevedendo mezzi anormali di definizione del rapporto, ma la semplice rateizzazione debito, con il pagamento degl’interessi dovuti per la dilazione.

2.1. – La censura ha infatti ad oggetto la valutazione di uno degli elementi addotti dalla sentenza impugnata a sostegno del ragionamento presuntivo, concernendo la possibilità d’inferirne la conoscenza dello stato d’insolvenza, quale fatto ignoto al quale risalire dalla prova di quello noto attraverso un procedimento logico fondato su un criterio di normalità. L’idoneità dell’elemento indiziario a consentire illazioni che ne discendano in termini di ragionevole certezza secondo l’id quod plerumque accidit costituisce peraltro anch’essa oggetto di un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito e sindacabile in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. 1, 5 luglio 2007, n. 15219; 20 dicembre 2006, n. 27284; Cass., Sez. 3, 8 marzo 2007. n. 5332), la cui deduzione nella specie deve ritenersi esclusa (indipendentemente dalla rubrica del motivo, non avente carattere vincolante) dal tenore delle argomentazioni svolte a sostegno della censura. riguardanti esclusivamente la riconducibilità dell’elemento assunto a fondamento del ragionamento presuntivo alla fattispecie legale di cui all’art. 67 cit.

3. – Parimenti inammissibile, infine, è il terzo motivo, con cui la M.P.G. lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto provata la ricezione della proposta di concordato da parte di essa ricorrente, sulla base della generica affermazione del teste di avere avanzato la predetta proposta, non accompagnata da alcuna precisazione in ordine al tipo di contatto avuto con i creditori ed alla relativa collocazione temporale.

3.1. – Ai fini dell’accertamento in ordine all’avvenuta ricezione della proposta da parte della ricorrente, la sentenza impugnata non si è infatti limitata a richiamare deposizione del teste, ma ne ha cercato riscontro anche in altri elementi, ravvisandoli in una lettera del debitore, pacificamente anteriore all’effettuazione dei pagamenti, in cui si faceva riferimento agli accordi intercorsi con la creditrice, e concludendo in modo logicamente ineccepibile che la proposta era stata formulata in data anteriore alla predetta lettera.

La ricorrente contesta tale valutazione, ribadendo che la genericità della deposizione resa dal teste non consentirebbe di escludere la collocazione temporale della proposta in epoca successiva alla ricezione della lettera, senza però addurre a sostegno del proprio assunto ragioni idonee ad inficiare l’iter argomentativo della sentenza impugnata, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso l’apparente deduzione del vizio di motivazione, una rivisitazione dell’apprezzamento compiuto dalla Corte d’Appello, non consentita a questa Corte, alla quale non è conferito il potere di riesaminare il merito della vicenda sottoposta al suo esame, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, le argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva il compito d’individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, nonchè scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr. ex plurimis Cass., Sez. Lav., 18 marzo 2011, n. 6288; 23 dicembre 2009, n. 27162; Cass., Sez. 3, 9 agosto 2007, n. 17477).

4. – Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Non può invece trovare accoglimento la domanda di condanna ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 4, non risultando sufficiente, a tal fine, la mera dichiarazione di inammissibilità del ricorso, ma occorrendo la dimostrazione, eventualmente in via indiziaria, che la parte soccombente abbia agito, se non con dolo, almeno con colpa grave, intendendosi con tale formula una condotta consapevolmente contraria alle regole generali di correttezza e buona fede, tale da risolversi in un uso strumentale ed illecito del processo, in violazione del dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. (cfr.

Cass., Sez. Un., 11 dicembre 2007. n. 25831; Cass. Sez. 2, 18 gennaio 2010, n. 654).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e condanna la M.P.G. S.p.a. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro 1.400,00, ivi compresi Euro 1.200,00 per onorario ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 15 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2012

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