Cass. civ. Sez. I, Sent., 07-06-2012, n. 9248 Società

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

In data 30.6 – 6.7.1994 il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere dichiarava il fallimento della Rosario Esposito Petroli s.n.c. e dei soci illimitatamente responsabili M.A. e A. S., il cui recesso era intervenuto quando la società già appariva in stato di insolvenza.

I due soci sopra indicati proponevano opposizione avverso la detta sentenza, deducendo l’insussistenza dell’insolvenza all’epoca del loro recesso, nonchè la violazione della L. Fall., art. 10, poichè dalla data del recesso a quella del fallimento sarebbe trascorso un periodo superiore all’anno.

Il tribunale rigettava l’opposizione, che viceversa la Corte di Appello di Napoli, riformando la decisione di primo grado, accoglieva, revocando per l’effetto il fallimento di M. e S.. Questa Corte, successivamente adita dal fallimento, cassava però la sentenza impugnata, rinviando alla medesima Corte di Appello di Napoli, perchè provvedesse ad apprezzare il profilo della decorrenza del termine annuale, e quindi ad accertare se fosse stato o meno rispettato il predetto limite, facendo a tal fine riferimento non alla data del recesso, ma a quella della relativa pubblicità.

All’esito del giudizio di rinvio, riassunto dal fallimento, la Corte di Appello confermava la decisione di primo grado con la quale era stata rigettata l’opposizione dei soci receduti. In particolare la Corte territoriale rilevava: che per entrambi i soci la cessione delle quote era avvenuta il 23.6.1993; che il fallimento era stato dichiarato il (OMISSIS); che la M. non aveva provveduto a iscrivere nel registro delle imprese l’avvenuta cessione delle quote;

che viceversa lo S. vi aveva provveduto, ma solo a far tempo dal 7.7.1993, e quindi prima (per un giorno) che fosse maturato il termine annuale indicato dalla L. Fall., art. 10; che non deponeva in senso contrario la certificazione della Camera di Commercio relativa alla data in cui sarebbe stata pubblicizzata l’iscrizione da lui effettuata, dovendosi dare "piena valenza alle risultanze che da essa promanano, segnatamente la data (7.7.1993) della denuncia della cessazione di tutte le cariche o qualifiche per S.A." (p. 7).

Avverso la decisione quest’ultimo proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi, poi ulteriormente illustrati da memoria, cui ha resistito il fallimento con controricorso. La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza pubblica del 15.5.2012.

Motivi della decisione

Premesso che non occorre procedere all’integrazione del contraddittorio nei confronti del Credito Emiliano (secondo quanto richiesto dal Procuratore Generale), essendo stata depositata la documentazione comprovante l’avvenuta notifica del ricorso, si osserva che con i tre motivi di impugnazione S. ha rispettivamente denunciato:

1) violazione degli artt. 100, 101 disp. att. c.c., L. n. 580 del 1993, art. 8, L. n. 310 del 1993, art. 9, D.P.R. n. 581 del 1995, artt. 25, 26, D.P.R. n. 558 del 1999, per la duplice considerazione che l’entrata in vigore del registro delle imprese risaliva al 1996 e l’atto di cessione era stato depositato presso il registro delle società, istituito nella cancelleria del Tribunale di Napoli, in data 5.7.1993.

In tal senso avrebbero infatti univocamente deposto l’annotazione sul frontespizio della copia dell’atto notarile di cessione di quota, oltre che la certificazione del Tribunale di Napoli, e da ciò sarebbe derivata l’erroneità della dichiarazione di fallimento di esso ricorrente in quanto tardiva, essendo la stessa intervenuta il (OMISSIS) e quindi dopo un anno dall’adempimento delle formalità pubblicitarie relative all’atto di trasferimento;

2) violazione dell’art. 112 c.p.c., degli artt. 100, 101 disp. att. c.c., della L. n. 310 del 1993, art. 8, del D.P.R. n. 581 del 1995, artt. 25 e 26, D.P.R. n. 558 del 1999, per l’omesso esame del motivo di appello con il quale era stato denunciato l’avvenuto decorso del termine annuale per la dichiarazione di fallimento, stante la pubblicità effettuata nel registro delle società in tribunale;

3) vizio di motivazione in relazione all’applicazione della normativa richiamata sub 1) e 2). Sulla questione relativa alla scadenza o meno del termine annuale sopra richiamato si sarebbe configurato un contrasto fra la tesi della parte appellata (fallimento), secondo cui la pubblicità si sarebbe dovuta realizzare con l’iscrizione nel registro delle imprese, e quella della parte appellante (esso ricorrente), secondo cui viceversa la pubblicità si sarebbe perfezionata con il deposito dell’atto presso la cancelleria del Tribunale competente " nel cosiddetto registro delle società".

Su tale punto la Corte territoriale avrebbe omesso ogni motivazione, così come analogamente avrebbe mancato di indicare le ragioni per le quali la documentazione prodotta e le argomentazioni derivanti dal relativo esame sarebbero state irrilevanti e non meritevoli di attenzione. Osserva il Collegio che è inammissibile il secondo motivo di impugnazione, mentre sono infondati il primo ed il terzo, che peraltro devono essere esaminati congiuntamente perchè fra loro connessi. Ed infatti quanto al secondo motivo la violazione dell’art. 112 c.p.c. sarebbe configurabile sotto il profilo che la Corte territoriale, non avrebbe dato adeguata risposta alla censura concernente il preteso decorso del termine annuale dall’avvenuta iscrizione dell’atto di cessione delle quote nel registro delle società.

La pretesa omissione è tuttavia insussistente, atteso che la doglianza risulta implicitamente assorbita dalla ragione della decisione adottata, con la quale è stato più specificamente affermato che la certificazione della Camera di Commercio avrebbe indicato gli estremi della pubblicità precedentemente effettuata nel registro delle imprese, dalla quale sarebbe emerso che la pubblicità dell’atto di cessione sul quale è sorta controversia era stata effettuata il 7.7.1993, e che conseguentemente il fallimento era stato legittimamente dichiarato.

Venendo quindi all’esame del primo e del terzo motivo, essi pongono sostanzialmente la medesima questione, consistente nel fatto che la Corte di Appello avrebbe errato nel considerare la pubblicità del registro delle imprese, atteso che all’epoca detto registro non era stato ancora istituito, mentre in mancanza veniva utilizzato per le medesime finalità il registro della società presso la cancelleria del Tribunale.

L’incontestabile esattezza del rilievo concernente le modalità di attuazione della pubblicità degli atti societari non comporta tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la fondatezza della censura.

Al riguardo va invero considerato che la Corte di Appello, pur avendo basato il proprio convincimento sulla certificazione della Camera di Commercio, ha fatto espresso riferimento alle risultanze che dalla stessa promanano, in esse compresi, dunque, anche i dati successivamente acquisiti concernenti iscrizioni effettuate prima del 1996, vale a dire in epoca antecedente all’iscrizione nel registro delle imprese, deponente nel senso sopra riferito. Ciò esclude, conseguentemente, la pertinenza della censura prospettata con i due motivi in esame (sotto il duplice aspetto della violazione di legge e del vizio di motivazione), aventi ad oggetto la pretesa errata identificazione del sistema pubblicitario degli atti societari vigente all’epoca dell’iscrizione in questione. In realtà la questione rilevante ai fini del decidere sarebbe stata, eventualmente, quella relativa al contenuto della contestata certificazione, sotto il profilo della sua (astratta e del tutto ipotetica) non conformità alla certificazione precedentemente effettuata, censura che non è stata tuttavia in alcun modo formulata.

Al riguardo lo S. di è infatti limitato a sostenere (denunciando impropriamente un vizio di motivazione, per il mancato apprezzamento da parte della Corte territoriale di alcuni documenti) che la documentazione acquisita (e segnatamente "copia dell’atto con l’attestazione a margine dell’iscrizione nel registro delle società e la certificazione allegata all’atto dell’iscrizione nel registro delle società nella data indicata") avrebbe comprovato l’avvenuta iscrizione dell’atto di cessione in data 5.7.1993, "ossia in tempo superiore all’anno".

Si tratta, com’è evidente, di rilievo del tutto generico, non essendo specificamente indicato il contenuto del documento nè rappresentate le ragioni per le quali il giudizio della Corte di Appello, incentrato sul contenuto della certificazione dell’organo deputato a rilasciarla, sarebbe errato. Per di più non è inutile considerare come il controricorrente abbia contrastato l’assunto dello S. sostenendo l’inadeguatezza della documentazione da lui richiamata, per essere la copia prodotta non conforme all’atto notarile contenente l’annotazione della trascrizione nel registro delle società e non corredata del timbro del tribunale, della data e della firma del cancelliere preposto (p. 5 controricorso), rilievi non contrastati in punto di fatto dal ricorrente, che pure ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidare in Euro 1.400,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2012

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