Cass. civ. Sez. I, Sent., 07-06-2012, n. 9247 Opera dell’ingegno cinematografica e televisiva

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione del 1 dicembre 2003, la Srl Compass Film la Srl Movietime, la Srl Filmec convenivano davanti al Tribunale di Roma, sezione specializzata in materia di proprietà industriale ed intellettuale, la società Mediaset poi incorporata nella R.T.I. spa per sentirla, condannare al risarcimento dei danni ad esse attrici provocati dalla Arri trasmissione all’estero di films via satellite, in violazione dei diritti di sfruttamento di cui le stesse erano titolari.

R.T.I. si costituiva e resisteva alla domanda. Il Tribunale di Roma con sentenza n. 6320 del 2009 accoglieva la domanda delle prime due società attrici ovvero della Compass e della Movietime, dichiarava illecita la trasmissione di films mediante satellite irradiante segnale in territori per i quali la RTI non era titolare di alcun diritto di sfruttamento e condannava quest’ultima al risarcimento dei danni, liquidandoli equitativamente per ciascuna delle predette società attrici.

Proponeva appello RTI e la Corte di merito lo rigettava. Per quel che riguarda la presente fase di legittimità la Corte romana prendeva le mosse dalla ricostruzione della posizione processuale della RTI, secondo la quale, avendo le attrici proposto una domanda di rivendicazione ex art. 948 c.c., avrebbero dovuto esse offrire la prova della titolarità dei diritti di sfruttamento dei films in questione in capo ai precedenti danti causa, sino a risalire agli acquirenti al titolo originario ovvero ai produttori delle opere cinematografiche, primi cedenti. Quindi osservava che la sentenza sottoposta al suo esame aveva ritenuto raggiunta la prova della titolarità, in capo alle predette attrici, dei diritti di sfruttamento per tutto il mondo esclusa l’Italia sui film in questione, sulla base della documentazione dalle stesse società versate atti.

Il giudice di secondo grado condivideva tale conclusione rilevando che la turbativa del possesso dei diritti cinematografici non si era sostanziata in una pretesa di titolarità delle opere in questione relativamente allo sfruttamento anche all’estero. Era infatti rimasta sempre incontestata la circostanza che RTI era titolare dei diritti di trasmissione televisiva per il solo territorio italiano , e che la fruizione delle opere stesse oltre i confini nazionali, ovvero fuori del proprio dominio giuridico, era avvenuto in conseguenza della diffusione nel territorio nazionale appunto di un segnale non criptato. Pertanto, poichè l’appellante RTI non aveva mai rivendicato diritti incompatibili con quelli fatti valere dalle due attrici, il richiamo alla prova del diritto di proprietà ex art. 948 c.c. risultava fuori luogo.

Osservava quindi il giudice di secondo grado che in alcun modo era avvenuta una immutazione della domanda e che pertanto l’onere della prova incombente alle attrici era rimasto quello relativo alla sola allegata turbativa del possesso di diritti pacificamente ad esse spettanti. In proposito, quindi, rilevata la regolarità degli atti di acquisto dei diritti cinematografici da parte delle appellate, rispettosi anche dei requisiti di forma richiesti per tali negozi dalla L. n. 633 del 1941, art. 110 riteneva che le stesse si trovassero nel legittimo possesso dei vantati diritti di sfruttamento e che pertanto ben potessero far valere, ai sensi degli artt. 19 e 167 LA, e con il conseguente regime probatorio, la violazione di specifiche facoltà esclusive ad esse spettanti.

Riteneva provate,come già il primo giudice, le violazioni allegate dalle società appellate sottolineando anche il carattere generico e sostanzialmente immotivato della contestazione effettuata da RTI. Riteneva infine corretta la quantificazione del danno operata al tribunale sulla base dei valori desumibili dall’accordo Anica, ridotto in considerazione della durata delle violazioni ed altresì del fatto che l’irradiazione non criptata dei films era avvenuta verso paesi di lingua diversa da quella italiana. Riteneva, conclusivamente, ben utilizzato il potere di liquidazione del danno ai sensi dell’art. 1226 c.c..

Contro questa sentenza ricorre per cassazione la RTI spa, con atto articolato su sei motivi. Resistono con controricorso e spiegano ricorso incidentale parziale e condizionato le società Compass film e Movietime. Le parti hanno presentato memorie.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo del ricorso principale RTI lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. ovvero il vizio di ultrapetizione.

Richiama nella intestazione del suo mezzo anche la norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Sostiene che la sentenza della Corte romana incorrendo nel vizio di ultrapetizione ha rigettato il gravame proposto da essa RTI, pronunciandosi su di una domanda mai proposta dalle controparti ovvero una domanda di manutenzione avverso ritenute molestie nel possesso di diritti su beni immateriali. Infatti, secondo tale prospettazione, le società oggi resistenti non avevano mai dedotto di essere possessori dei diritti di sfruttamento economico in territorio estero su beni immateriali oggetto della causa. Pertanto la Corte di merito si sarebbe pronunciata individuando un’azione diversa da quella proposta.

2. Con il secondo motivo la medesima società lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1140 c.c. e segg. nonchè artt. 19, 110 e 167 LA. Afferma che comunque la Corte territoriale ha errato rilevando che gli atti di acquisto dei diritti cinematografici da parte delle odierne appellate soddisfano il requisito di forma scritta richiesto dall’art. 110 LA, e da ciò, erroneamente ancora concludendo che entrambe le società si trovavano nel possesso legittimo dei diritti di utilizzazione dei films. Ritengono che la prova del possesso in questione non si poteva esaurire nella produzione di un atto di cessione ma invece avrebbe richiesto la dimostrazione della sussistenza del potere di sfruttamento sul bene in questione. Prova,questa, che in alcun modo il giudice di merito avrebbe ricercato prima ancora che raggiunto.

3. Con il terzo motivo di ricorso RTI lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 948, 949, 2697 c.c.. Indica l’ulteriore errore della sentenza in esame consistito nella interpretazione errata delle norme innanzi citate e quindi nella erronea ricostruzione degli oneri probatori conseguentemente gravando le parti di in un’ azione di rivendicazione. Diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza impugnata l’azione di rivendicazione, al contrario dell’azione negatoria i non presuppone un conflitto tra soggetti che entrambi si affermano titolari di diritti reali, fra loro incompatibili, sul medesimo bene. Pertanto nel caso di cui si tratta l’attore, sedicente acquirente a titolo derivativo del diritto di proprietà in questione, per ottenere il ripristino del pieno godimento del bene, con la cessazione della interferenza a suo avviso realizzata dal convenuto, avrebbe dovuto dimostrare l’effettiva titolarità del bene, risalendo, per l’appunto attraverso la serie dei passaggi, dal proprio dante causa fino al produttore del bene ai sensi dell’art. 45 della LA. 3.a. I tre motivi in quanto connessi alla fondamentale questione del meccanismo probatorio conseguente alla corretta identificazione dell’azione esercitata da parte del giudice del merito, possono essere esaminati insieme. Il primo motivo è anzitutto ammissibile contrariamente a ciò che ritiene la difesa resistente, benchè la sua epigrafe connetta ai denunciati vizi anche la norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Tale menzione può considerarsi in parte ultronea, ma non tale da rendere per ciò stesso inammissibili le formulate doglianze.

3.b. Osserva dunque il collegio che la sentenza in esame ha preso le mosse, condividendone le conclusioni dell’accertamento del primo giudice secondo il quale era stata raggiunta la prova della titolarità, in capo alle due società attrici, dei diritti di sfruttamento per il mondo, esclusa l’Italia, dei film in questione, sulla base della documentazione esibita. Il giudice di secondo grado ha rilevato che nella vicenda di cui si tratta la turbativa del possesso dei diritti cinematografici in questione non si è mai sostanziata in una pretesa, ovvero in una questione riguardante il diritto allo sfruttamento sulle opere cinematografiche dentro e fuori del territorio italiano. In sostanza, secondo il giudice di secondo grado, le due attrici si erano dichiarate titolari dei diritti di trasmissione televisiva per territori diversi da quello italiano, e mai dal suo canto RTI si era dichiarata titolare di diritti di trasmissione relativamente a territori estranei a quello italiano. La sentenza impugnata pertanto muove dalla constatazione della pacificità della convivenza, a monte della controversia, di due diversi diritti di sfruttamento,uno per il solo territorio italiano ed altro per il resto del mondo, salvo dunque l’Italia.

Non essendo dunque in questione un conflitto fra titoli ovvero un conflitto tra titoli legittimanti in astratto il medesimo sfruttamento, ma essendo in questione una pretesa interferenza ovvero sia una avvenuta trasmodazione da parte di R.T.I di trasmissione televisive che anzichè essere ristrette al territorio italiano, erano andate verso territori di altri Stati, non vi è questione di rivendica ma vi è questione di turbativa di un pacifico possesso di diritti cinematografici. Conseguentemente a tale ricostruzione ha escluso il giudice di merito doversi far ricorso alla probatio diabolica ovvero alla ricerca dell’acquisto a titolo originario legittimante i passaggi successivi, da parte dell’ attore. Nella specie invece, a legittimare un’azione a tutela del proprio possesso ovvero del diritto di sfruttamento su paesi diversi da quello italiano, da alcuno rivendicato, era sufficiente provare da parte delle attrici il titolo di acquisto derivativo.

3.e. Osserva il collegio che la Corte di merito menziona l’art. 110, e quindi gli artt. 19 e 167 LA. E’ di tutta evidenza pertanto la ricostruzione giuridica effettuata dal giudice di secondo grado il quale, movendo dalla premessa esplicita della insussistenza di una esercitata azione di rivendicazione, ha fatto riferimento immediato alle norme della legge speciale che individuano le facoltà di esercizio di ciascuno dei diritti di utilizzazione economica riconosciute a chiunque si trovi nel possesso legittimo dei medesimi.

Con ciò , in modo assolutamente perspicuo e da questa Corte condiviso, il giudice di merito ha fatto tenuto conto del principio generale di cui all’art. 949 c.c., comma 2 che consente al proprietario di tutelare il proprio diritto non solo da pretese che contestino la sua titolarità in radice, ma anche nei confronti di più limitate aggressioni, quali possono definirsi le turbative.

L’art. 167 L.a. citato dal giudice di merito, infatti, esplicita quanto al regime dei diritti di autore di cui si tratta, la regola generale per la quale il diritto di proprietà non incontra limiti che non siano stabiliti dalla legge o dalla volontà del suo titolare. Esso si presume libero da pesi. Pertanto, incombe a chi sostiene l’esistenza di limitazioni, ovvero in concreto eserciti attività che oggettivamente pongano in essere limitazioni a quel diritto, a fronte dell’allegazione di un valido titolo di proprietà, l’onere di dimostrare l’esistenza di un proprio particolare diritto, ovvero la invalidità del titolo allegato dal suo contraddittore.

Correttamente dunque il giudice del merito ha rilevato che mai nel giudizio si è fatta questione dalle parti di un proprio titolo di natura originaria, per lo sfruttamento dei film di cui si tratta fuori del territorio nazionale. In particolare RTI mai ha posto una questione di conflitto fra titoli per il medesimo sfruttamento, pacificamente dunque appartenente alle società sue contraddittrici.

Non può dunque pretendere che quegli che si afferma danneggiato nel godimento del mai contestato suo diritto relativo a spazi diversi dal territorio italiano, provi l’esistenza del medesimo secondo le regole che incombono al rivendicante, e liberandosi così del proprio onere probatorio che, a fronte dell’allegazione di un titolo derivativo, deve consistere nella dimostrazione dell’esistenza di un proprio particolare diritto a quel particolare e contestato sfruttamento.

3.d. Conseguentemente è infondato il primo motivo che per l’appunto allega la violazione dei principi che disciplinano la relazione tra il chiesto ed il pronunciato, giacchè la Corte di merito si è pronunciata sulla domanda sottoposta al suo esame.

E’ infondata la doglianza di violazione dell’art. 1140 c.c. e segg.

nonchè degli artt. 19, 110, e 167 L.a. giacchè, per le ragioni dette, le due attrici altro non dovevano allegare che il proprio atto di acquisto a titolo derivativo sullo sfruttamento all’estero dei films in questione, ed è infondato la terza doglianza giacchè la Corte di merito non ha , per le ragioni dette, violato i principi sull’onere della prova da applicarsi alla vicenda e che riguardano i possessori legittimi.

4. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2043, 2050, 2697 c.c. con riferimento all’elemento soggettivo dell’illecito. Sostiene che la Corte di merito ha sbrigativamente affermato la responsabilità di essa ricorrente relativamente alle trasmissioni effettuate via satellite, senza considerare l’impossibilità tecnica di limitare l’area territoriale di ricezione del segnale televisivo e dunque quella che potrebbe essere stata la casualità della irradiazione oltre i confini nazionali.

4.a. E’ appena il caso di osservare che accertato l’illecito sarebbe spettato, salvo poi a verificare la rilevanza di siffatta dimostrazione, al soggetto illegittimamente irradiante di provare la inevitabilità di siffatto effetto lesivo del altrui diritto.

Pertanto la secca osservazione, per l’appunto in questo senso,conseguente al compiuto accertamento di fatto,da parte del giudice del merito, è più che sufficiente a sostenere la assunta decisione.

5. Con il quinto motivo di ricorso RTI lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2043 e 2697 c.c., con riferimento alla sussistenza di un pregiudizio risarcibile. Lamenta anche sul punto il difetto ovvero l’illogicità della motivazione. Sostiene che il giudice di merito non ha chiarito quale sarebbe stato il pregiudizio ricevuto dalle titolari del diritto di sfruttamento all’estero, per la irradiazione della trasmissione in lingua italiana presso territori nei quali, la barriera linguistica impediva una efficacia lesiva di qualunque genere.

5.a. Osserva il collegio che la corte territoriale di fronte alla certezza di un illecito, e alla difficoltà di provare con precisione il pregiudizio derivato, ha ritenuto di fare ricorso, come avvenuto in primo grado, al criterio di cui all’art 1226 c.c., osservando peraltro che la barriera linguistica non poteva in questo caso che aver reso tenue il danno. Siffatto procedimento logico dimostra che il giudice di merito, contrariamente a quanto ritiene il ricorrente, si è posto il problema e lo ha risolto facendo uso della propria discrezionalità, pertanto motivata. Il motivo tende a riesaminare i fatti della causa ed è ,come tale, inammissibile.

6. Con il sesto motivo la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1226, 1372, 2043, 2056 e 2697 c.c., nonchè il difetto di motivazione sui relativi punti decisivi della causa.

6.a. Il motivo che costituisce una prosecuzione ovvero una specificazione di quello antecedente in realtà pone in essere un ulteriore tentativo di riesaminare i fatti di causa per dimostrare come la valutazione equitativa sia stata comunque eccessiva. La stessa invece, per le ragioni dette innanzi, è adeguatamente motivata. Come tale non può essere riesaminata in questa sede. Il motivo è dunque inammissibile.

7. Il ricorso principale deve dunque essere complessivamente rigettato.

Il ricorso incidentale è esplicitamente condizionato all’accoglimento di quello principale. Pertanto il suo esame risulta assorbito dal rigetto del ricorso principale. Il ricorrente principale deve essere condannato al pagamento delle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbita la trattazione del ricorso incidentale. Condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio liquidate in Euro 15200,00 di cui Euro 15000,00 per onorari oltre alle spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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