Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con ricorso ritualmente notificato, B.P. chiedeva pronunciarsi la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto con P.E.P., da cui non erano nati figli, senza provvidenze economiche a suo carico. Costituitosi il contraddittorio, la P. eccepiva l’inammissibilità della domanda, posto che tra le parti era stato celebrato matrimonio civile.
Alla prima udienza davanti all’istruttore, il ricorrente modificava la propria domanda in quella di scioglimento del matrimonio.
Con sentenza non definitiva in data 25 marzo 2010, il Tribunale di Pistoia pronunciava lo scioglimento del matrimonio.
Avverso tale sentenza proponeva appello la P..
Costituitosi il contraddittorio, l’appellato ne chiedeva il rigetto.
La Corte di Appello di Firenze, con sentenza in data 1-13/10/2010 rigettava l’appello.
Ricorre per cassazione la P..
Non svolge attività difensiva il B..
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta violazione dell’art. 183 c.p.c., avendo il B. proposto domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio che invece era stato celebrato civilmente, a nulla rilevando che, successivamente in corso di causa, il ricorrente avesse modificato la domanda.
Secondo giurisprudenza consolidata di questa corte, si ha mutatio libelli quando si propone una domanda obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo un petitum diverso e più ampio oppure una causa petendi fondata su differenti situazioni giuridiche;
si ha invece una semplice emendatio, quando si incida sulla causa petendi, risultando modificata soltanto l’interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto oppure sul petitum, nel senso di ampliarlo o limitarlo per renderlo più idoneo al concreto soddisfacimento della pretesa fatta valere (così, tra le altre Cass. N. 7579 del 2007).
Nella specie, come ha chiarito il giudice a quo, la richiesta di scioglimento del matrimonio, formulata dal ricorrente alla prima udienza di comparizione, è da considerarsi mera specificazione dell’originaria domanda, non risultando modificati nè il petitum sostanziale nè la causa petendi (senza violazione alcuna dei diritti di difesa).
Come è noto, la L. n. 898 del 1970 non usa il termine divorzio (che è peraltro entrato nel linguaggio comune) ma parla di scioglimento del matrimonio contratto a norma del Codice Civile (art. 1), e di cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso e debitamente trascritto (art. 2). Si tratta di distinzione meramente terminologica (probabilmente dettata dall’esigenza di non offendere il sentimento dei cittadini di religione cattolica circa l’indissolubilità del matrimonio canonico sul quale evidentemente non può intervenire il divorzio) in quanto la regolamentazione delle due forme è assolutamente identica nei presupposti e negli effetti. L’unica differenza (che ormai ha valore soltanto storico) riguardava le questioni di legittimità costituzionale prospettate. Si sosteneva che, riguardo ai matrimoni concordatari, la legge del divorzio si poneva in contrasto con l’art. 7 Cost. che aveva "costituzionalizzato" i Patti lateranensi (attraverso i quali lo Stato Italiano aveva riconosciuto al sacramento del matrimonio, come disciplinato dal diritto canonico – e quindi caratterizzato dall’indissolubilità del vincolo effetti civili).
Al contrario, la Corte Costituzionale (Corte Cost. 8 luglio 1971 n. 169) chiarì che con i Patti Lateranensi lo Stato non aveva affatto assunto l’obbligo di escludere il divorzio dal nostro ordinamento, nè effettuato una recezione della disciplina canonica, limitandosi ad assumere il matrimonio canonico, purchè regolarmente trascritto, quale presupposto cui venivano ricollegati effetti identici a quelli del matrimonio civile (riservando comunque la giurisdizione dei tribunali ecclesiastici, ma esclusivamente per le cause di nullità matrimoniale). Dalla separazione dei due ordinamenti derivava che per lo Stato Italiano il vincolo matrimoniale dissolubile o indissolubile, trovava la sua fonte esclusiva nella legge civile e da questa era regolata.
Dunque – va ribadito – vi è piena identità di disciplina tra scioglimento e cessazione degli effetti civili, nè rileva che la domanda di divorzio sia presentata come scioglimento di matrimonio concordatario o magari come cessazione del matrimonio civile, dovendo evidentemente il giudice far riferimento al petitum e alla causa petendi sostanziali ed effettivi; nè sarebbe legittimo il rifiuto da parte dell’Ufficiale dello Stato civile della prescritta annotazione sull’atto di matrimonio se erroneamente nella sentenza si parlasse di scioglimento in caso di cessazione degli effetti civili o viceversa.
Va pertanto rigettato l’unico motivo di ricorso, in quanto infondato.
Nulla sulle spese, non essendosi costituito l’intimato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 5 marzo 2012.
Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2012
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