Cass. civ. Sez. I, Sent., 07-06-2012, n. 9235

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 22/10/2003 il Tribunale di Roma, pronunciando nei giudizi riuniti, promossi il primo dalla S.p.A. FOFFANO e dai fideiussori F.E. e F., B.L. contro la S.p.A. Banca Nazionale del Lavoro circa la nullità di alcuni contratti di finanziamento, il secondo dagli stessi attori in opposizione avverso decreto ingiuntivo ottenuto dalla medesima banca per il pagamento di saldi passivi maturati su vari conti correnti, revocava il decreto ingiuntivo opposto e, previa declaratoria di nullità di una clausola dei relativi contratti, condannava la società e i fideiussori in solido al pagamento della somma di Euro 300.568,30.

Avverso tale pronuncia proponevano appello la S.p.A. FOFFANO e i suoi fideiussori. Costituitosi il contraddittorio, la banca ne chiedeva il rigetto.

In corso di causa la società appellata dava atto della cessione dei crediti oggetto di causa alla S.p.A. BNL Progetto e dichiarava di essersi fusa per incorporazione nella BNP PARISBAS S.A., che si costituiva chiedendo la propria estromissione; interveniva pure la S.p.A. Banca Nazionale del Lavoro, nuova denominazione assunta dalla cessionaria dei crediti.

La Corte di Appello di Roma, con sentenza in data 7/5 – 17/9/2009, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarava la nullità dei contratti di finanziamento addebitati sul conto corrente n. (OMISSIS) e condannava gli appellanti in solido a pagare alla S.A. BNP PARISBAS S.A. e, per essa, alla cessionaria S.p.A. B.N.L. la somma di Euro 219.007,48.

Ricorrono per cassazione la S.p.A. FOFFANO nonchè E. e F.F., B.L..

Resistono, con separati controricorsi, BNP PARISBAS S.A. e BNL S.p.A. che pure propongono ricorsi incidentali.

Resistono, con controricorso ai ricorsi incidentali i ricorrenti principali.

I ricorrenti principali hanno depositato memoria per l’udienza.

Motivi della decisione

Per ragioni sistematiche vanno esaminati dapprima i ricorsi incidentali.

Con un unico motivo, presente nei due ricorsi separati, i ricorrenti lamentano violazione del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117, commi 1 e 3 avendo la pronuncia impugnata dichiarato nulli, per inosservanza della forma scritta, i contratti di finanziamento all’importazione intercorsi tra BNL S.p.A. e FOFFANO S.p.A..

E’ infondata l’eccezione di giudicato sollevata dai ricorrenti principali nella memoria per l’udienza.

Il primo giudice aveva affermato che i rapporti di finanziamento in questione andavano ricollegati al contratto di conto corrente redatto per iscritto e che, comunque, per singoli contratti richiedenti la forma scritta, l’accettazione poteva desumersi anche per implicito da una successiva dichiarazione scritta. Il giudice di appello ha attribuito autonomia alle singole operazioni di finanziamento costituenti altrettanti contratti, dichiarandoli nulli per mancanza di forma scritta e, come si è detto, questo è il profilo considerato nei ricorsi incidentali.

La censura è generata, non si fonda su specifici atti o documenti e dunque non ha pregio l’ulteriore eccezione di inammissibilità, sollevata dai ricorrenti principali circa la violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 novellato, per mancata indicazione di atti e documenti.

Il motivo va comunque dichiarato inammissibile.

Sotto l’apparenza di violazione di legge i ricorrenti incidentali introducono profili di fatto, rispetto a quanto indicato nella sentenza impugnata, ed una diversa valutazione delle risultanze istruttorie, elementi tutti insuscettibili di controllo in questa sede.

Si richiamano infatti l’interrogatorio libero del legale rappresentante della S.p.A. FOFFANO, nonchè genericamente la sottoscrizione di documenti contenenti termini e modalità di pagamento (sotto questo ultimo aspetto i ricorsi si presentano pure, all’evidenza, non autosufficienti). Tutto ciò, a fronte della chiara indicazione della sentenza impugnata, ove si precisa che i contratti venivano sempre stipulati verbalmente e con documentazioni unilaterali successive, occorrendo invece che fosse espressa per iscritto la volontà delle parti rispettivamente di fare ricorso e concedere il finanziamento.

Conclusivamente, vanno dichiarati inammissibili i ricorsi incidentali.

Passando al ricorso principale, con il primo motivo i ricorrenti lamentano violazione dell’art. 112 e 115 c.p.c. e art. 2697 c.c., in punto nullità dei contratti di finanziamento e, conseguentemente, dei relativi addebiti.

Il motivo va rigettato, in quanto infondato.

Non si ravvisa, nella sentenza impugnata, violazione alcuna delle norme suindicate. Come si è detto, correttamente il Giudice a quo precisa che ogni operazione di finanziamento per l’importazione o per l’esportazione, costituisce contratto autonomo, nullo se privo di forma scritta, come prescrive la vigente legislazione. E dunque devono, nella specie, ritenersi privi di valido titolo causale gli addebiti concernenti tale tipologia di finanziamento. Ma altrettanto correttamente precisa la sentenza impugnata che l’accertamento della nullità dell’addebito in conto corrente non significa ovviamente che tutti gli addebiti si riferiscano alla predetta tipologia.

Il giudice a quo fa corretta applicazione dei principi generali sull’onere della prova: la banca ha prodotto in giudizio gli estratti integrali dei conti correnti, con indicazione della natura di ciascuna operazione; competeva dunque alla controparte che eccepiva l’invalidità di alcune di esse, indicarne gli estremi e dimostrarne il vizio formale e la conseguente carenza di titolo del credito.

La prova della esistenza di operazioni di finanziamento all’importazione per le quali la banca non ha fornito indicazioni circa la sottoscrizione di un valido contratto, è limitata al conto corrente di derivazione n. (OMISSIS), mentre la società cliente non è stata in grado di evidenziare tra le centinaia di operazioni passive registrate sul conto n. (OMISSIS), quelle riferibili ad addebiti per finanziamenti all’importazione.

Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano violazione dell’art. 329 c.p.c., comma 2 e art. 112 c.p.c., in relazione alla clausola che permetteva alla banca di modificare i tassi e le condizioni economiche applicate ai rapporti regolati in conto corrente, senza determinazione preventiva dei relativi parametri.

Il motivo va dichiarato inammissibile.

I ricorrenti sostengono sotto vari profili la nullità della clausola, ma non censurano l’affermazione della sentenza impugnata (necessariamente pregiudiziale) circa la carenza di interesse a far valere tale nullità, essendo rimasta la clausola stessa del tutto inoperante si afferma, con valutazione di fatto, comunque insuscettibile di controllo in questa sede: "per tutte le tipologie di finanziamenti transitate sul conto, l’assenza di variazione dei tassi applicati in pejus per la cliente", così richiamando le conclusioni di consulenza tecnica espletata.

Con i motivi terzo e quarto strettamente collegati, i ricorrenti lamentano violazione dell’art. 345 c.p.c., art. 2697 c.c., nonchè degli artt. 1842, 1858 e 1284 c.c. in punto estensione del tasso, pattuito con il contratto di conto corrente, e, più in generale delle condizioni pattuite con detto contratto, alle relative linee di credito.

Sulla "novità" della prima censura, secondo il giudice a quo proposta solo in sede di appello, i ricorrenti riportano vari passi di atti difensivi del giudizio di primo grado: da essi emerge che, seppur con una certa genericità, la questione era già stata sollevata.

Tuttavia il successivo quarto motivo va dichiarato inammissibile. La sentenza impugnata non sostiene, come sembrano ritenere i ricorrenti che il contratto di apertura di credito, in qualche modo collegato ad un contratto di conto corrente, sempre e comunque non richieda la forma scritta, ma che, nella specie, apertura di credito e sconto effetti erano già pattuiti nel contratto di conto corrente e che le operazioni rientranti negli speciali rapporti di finanziamento non prevedevano particolari condizioni economiche in deroga a quelle generali che regolavano tutte le altre operazioni di conto corrente (ivi compresa – evidentemente – la misura del tasso pattuito). Tale affermazione non è stato oggetto di censura (e doveva semmai essere proposto vizio di motivazione al riguardo). Ne risulta, per quanto si è detto, assorbito il terzo motivo.

Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta violazione dell’art. 1419 c.c., comma 2, artt. 1283 e 1284 c.c., sulla capitalizzazione degli interessi.

Il motivo è fondato.

Il giudice a quo ritiene erroneamente legittima la capitalizzazione annuale degli interessi in luogo di quella trimestrale.

In realtà la invalidità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi deriva non già dal tipo di cadenza temporale della capitalizzazione, ma dal meccanismo stesso della produzione di interessi su interessi, in mancanza delle condizioni imperative (e quindi inderogabili) previste dall’art. 1283 c.c.: usi normativi contrari, pattuizione degli interessi anatocistici in una convenzione posteriore alla scadenza di quelli principali, ovvero decorrenza dalla domanda giudiziale.

Esclusa pacificamente nel caso di specie la ricorrenza di tali presupposti, va esclusa ogni forma di capitalizzazione degli interessi passivi, anche con periodicità annuale, per contrasto con la norma imperativa di cui all’art. 1283 c.c. (al riguardo, Cass. S.u. n. 24418 del 2010).

Con il sesto motivo i ricorrenti lamentano violazione del D.Lgs. n. 285 del 1993, art. 117 n. 1 e art. 3 nonchè degli artt. 1284 e 2697 c.c., precisando che i contratti di cui ai conti correnti n. (OMISSIS) dovevano ritenersi nulli, per inosservanza della forma scritta.

Afferma il giudice a quo, seguendo le indicazioni della consulenza tecnica espletata, che si trattava di meri conti di derivazione, creati per facilitare la contabilizzazione separata dei debiti residui passati in sofferenza dopo la revoca dei fidi; non ne derivava dunque novazione alcuna dei rapporti preesistenti e, conseguentemente, nessun onere di formalizzazione, essendo essi conseguenza della "cessazione" di tali rapporti. Anche in tal caso, si è in presenza di valutazione di fatto che, comunque, i ricorrenti non censurano con vizio di motivazione.

Il motivo va pertanto dichiarato inammissibile.

Va conclusivamente accolto il quinto motivo del ricorso, cassata la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese, alla Corte di Appello di Roma, che si atterrà a quanto sopra indicato con riferimento a tale motivo di ricorso.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quinto motivo del ricorso principale rigettando per il resto dichiara inammissibili i due ricorsi incidentali; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di Appello di Roma che pure si pronuncerà sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 1 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2012
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